Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9829 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9829 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARRI SILVANO N. IL 06/02/1950
BARRI DANIELE N. IL 25/11/1958
avverso la sentenza n. 3731/2004 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. \t. Fa Pi I
che ha concluso per
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Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Silvano BARRI e Daniele BARRI sono imputati di concorso in bancarotta
fraudolenta documentale in relazione ai fallimenti Sem srl (capo B), Lombardia
Minerali Metalli srl (capo D), Elinvest srl (capo H), e in bancarotta fraudolenta
patrimoniale in relazione al fallimento Sem (capo C) e al fallimento Elinvest (capo
I), nonché il solo Silvano di bancarotta fraudolenta documentale in relazione al

erroneamente indicato come L nell’intestazione della sentenza) e di bancarotta
fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento Eucar (capo G).
2.

L’affermazione di responsabilità per i reati indicati, di cui a sentenza 26-11-2003
del Tribunale di Como, era sostanzialmente confermata dalla Corte di Appello di
Milano con pronuncia in data 23-11-2011, che, dichiarata la prescrizione dei reati
di cui ai capi A) ed E), rideterminava la pena inflitta a ciascuno degli imputati.

3. Il ricorso proposto nell’interesse di Silvano Barri è articolato in quattro
motivi.
4.

Con il primo si deduce carenza di motivazione non essendo stati affrontati dalla
corte milanese gli analitici motivi di appello in punto responsabilità per i singoli
reati, in assenza altresì di una motivazione autonoma per effetto del ricorso alla
tecnica del ‘copia e incolla’ dalla sentenza di primo grado, con un richiamo
frammentario ed aspecifico a dichiarazioni testimoniali ed un brevissimo accenno a
neppure tutte le società dei cui fallimenti si tratta, e con l’apodittica affermazione
che le lettere di consegna della contabilità agli ultimi amministratori delle società
poi fallite avevano un valore solo formale.

5.

Il secondo motivo investe con la censura di violazione di legge l’applicazione
dell’aggravante del danno di rilevante gravità alla bancarotta impropria, con
interpretazione analogica in malam partem dell’art. 219 legge fall. (difatti oggetto
di interpretazione analogica in bonam partem da parte di Sez U, 21039/2011
soltanto quanto ai più fatti di bancarotta) stante il mancato richiamo da parte
dell’art. 223 stessa legge al trattamento sanzionatorio previsto per il reato
aggravato.

6.

Il terzo motivo attribuisce alla sentenza vizio di motivazione in ordine al diniego
della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti, per aver considerato
soltanto il mancato risarcimento, sia pure parziale, del danno, trascurando gli
elementi di attenuazione indicati nell’atto di appello.

7.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione di norma prevista a pena di
nullità (art. 546 cod. proc. pen.) per mancata indicazione nell’intestazione della
sentenza del capo C) d’imputazione, neppure espressamente e specificamente

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fallimento Eucar srl (capo F) e in relazione al fallimento Creta srl (capo M,

trattato nel corpo della decisione (Cass. 4098/2009 e 1137/2008), con
conseguente violazione del diritto di difesa.

1. Il ricorso proposto nell’interesse di Daniele Barri è articolato in due
motivi.
2.

Il primo ricalca il secondo del ricorso proposto nell’interesse del coimputato e dalla
inapplicabilità alla bancarotta fraudolenta impropria dell’aggravante del danno di

in quello di prevalenza delle generiche con l’ulteriore conseguenza della
prescrizione dei reati, il cui termine massimo verrebbe ad essere quello di quindici
anni essendo applicabili le norme previgenti in materia di prescrizione.
3.

Con il secondo, analogo al primo dell’altra impugnazione, si deduce vizio di
motivazione in punto affermazione di responsabilità per essersi la corte territoriale
rifatta in modo tautologico alle argomentazioni del primo giudice senza
controbattere agli specifici elementi indicati nei motivi di appello. In ordine ai capi
B), D) ed I) il ricorrente cita stralci della sentenza impugnata per evidenziarne
profili di illogicità.

4.

In subordine è stata formulata richiesta di applicazione dell’indulto.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Entrambi i ricorsi sono inammissibili.

2.

Il primo motivo di quello nell’interesse di Silvano Barri, nel lamentare il mancato
esame da parte della corte milanese degli analitici motivi di appello, omette però
qualunque indicazione degli stessi, limitandosi al richiamo di alcune pagine di quell’atto
di impugnazione, del tutto inidoneo a dar conto delle questioni dedotte asseritamente
non considerate dal giudice di secondo grado, così come non sono state precisate le
parti della decisione impugnata che sarebbero state oggetto di ‘copia e incolla’ da quella
del tribunale.

3. Tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione è affetta da genericità e lo rende
inammissibile alla stregua di consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa corte
secondo il quale detto gravame è inammissibile quando i motivi si limitino a lamentare,
per dedurre mancanza di motivazione della sentenza impugnata, l’omessa valutazione,
da parte del giudice d’appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame,
rinviando genericamente ad esse, per relationem, senza indicarne specificamente, sia
pure in modo sommario, il contenuto al fine di consentire l’autonoma individuazione
delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di
legittimità. Infatti i motivi di ricorso devono avere il requisito della specificità e quindi
contenere al proprio interno la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto (art. 581 lett. c, cod. proc. pen.) da sottoporre a verifica, in mancanza

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rilevante gravità fa discendere la necessità di modifica del giudizio di comparazione

di che l’atto di impugnazione è inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio (Cass.
21858/2006, 2896/1998).
4. Il secondo motivo del ricorso in esame è inammissibile in quanto proposto per violazione
di legge non dedotta con i motivi di appello (art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc.
pen.).
5. Con esso è stata sollevata la questione dell’applicabilità alla bancarotta impropria
dell’aggravante del danno di rilevante gravità, che, secondo il ricorrente, esigerebbe

partem, non consentita per le leggi penali.

6. Orbene, pur essendo questa corte esonerata dall’esame della questione, inammissibile
per la ragione già indicata, vale comunque la pena osservare che la soluzione
prospettata nel gravame non appare condivisibile alla stregua dell’indirizzo
giurisprudenziale di legittimità (Cass. 18695/2013, 10791/2012, 127/2011) formatosi
sulla scia della pronuncia delle sezioni unite di questa corte (Cass. Sez. U, 21039/2011)
in tema di applicabilità alla bancarotta impropria dell’aggravante dei più fatti di
bancarotta, ritenuta ontologicamente una forma di continuazione, ma configurata
funzionalmente, quoad poenam, come una circostanza del reato.
7. In linea con tale indirizzo il collegio ritiene che il richiamo dell’art. 223 legge fall. all’art.
216 stessa legge, che rende applicabile agli amministratori di società fallite e agli altri
soggetti ivi indicati la disciplina della bancarotta fraudolenta, vada coordinato con il
richiamo dell’art. 219, tra gli altri, all’art. 216, nel senso che il primo richiamo (dall’art.
223 all’art. 216) implica indirettamente quello all’art. 219 (il quale richiama l’art. 216),
con la conseguenza che la bancarotta impropria di cui all’art. 223, comma primo, legge
fall., nel mutuare la propria struttura dal corrispondente reato previsto per
l’imprenditore individuale, ne mutua anche gli elementi accidentali e quindi le
circostanze sia aggravanti che attenuanti di cui all’art. 219 legge citata, sicché il rinvio in
ordine alla determinazione della pena deve ritenersi integrale e basato sul presupposto
dell’identità oggettiva delle condotte.
8. Sarebbe infatti irragionevole differenziare le stesse condotte a seconda che siano poste
in essere dall’imprenditore fallito oppure dall’amministratore -e dagli altri soggetti
indicati nell’art. 223- di società fallita. Si esula quindi totalmente, alla stregua di tale
linea interpretativa che ricostruisce l’architettura della bancarotta impropria di cui al
primo comma dell’art. 223 citato su quella della bancarotta dell’imprenditore individuale,
dal ricorso all’analogia paventato dal ricorrente, vedendosi invece nel campo
dell’interpretazione testuale, sistematica e sulla base della voluntas legis.
9. Invano poi si cercherebbe di rinvenire nella pronuncia delle sezioni unite sopra
richiamata ragioni ostative all’interpretazione qui condivisa sul rilievo che, mentre
l’applicazione dell’aggravante dei più fatti di bancarotta anche alla bancarotta impropria
risponde al principio del favor rei essendo più favorevole, ai fini del trattamento
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soluzione negativa, pena, a diversamente ritenere, un’applicazione analogica in malam

sanzionatorio, della continuazione, la norma che prevede l’aggravante del danno di
rilevante gravità è sfavorevole all’imputato dando luogo ad un trattamento sanzionatorio
più afflittivo, con la conseguenza che la conclusione dell’applicabilità della prima alla
bancarotta impropria comporterebbe, a contrariis, l’inapplicabilità della seconda.
10. Tale assunto sconta il vizio di base di presupporre che le leggi penali siano suscettibili di
interpretazione analogica se in bonam partem, mentre l’interpretazione analogica è
sempre vietata nel diritto penale (art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale).

richiamato, è dato trarre conferma all’assunto dell’impugnante da tale decisione. Invero
le sezioni unite hanno mostrato expressis verbis di aderire, sia pure al limitato fine di
ritenere applicabile alla bancarotta impropria l’aggravante dei più fatti di bancarotta, ‘al
consolidato orientamento di questa Suprema Corte’ per il quale ‘il richiamo contenuto
nelle norme incriminatici della bancarotta impropria allo stesso trattamento
sanzionatorio previsto per le corrispondenti ipotesi ordinarie non legittima margini di
dubbio sull’applicabilità del relativo regime nella sua interezza’ soggiungendo con
cristallina chiarezza ‘D’altra parte, avendo il legislatore posto su un piano paritario i reati
di bancarotta propria e quelli di bancarotta impropria, non v’è ragione, ricorrendo
l’eadem ratio, di differenziare la disciplina sanzionatoria’ (così testualmente Cass. Sez.

U, 21039/2011).
12.A fronte di tale ineccepibile premessa, che recepisce in toto la tesi dell’equiparazione
normativa delle fattispecie della bancarotta propria e di quella impropria in esame,
l’ulteriore accenno delle sezioni unite al favor rei insito nella disciplina della pluralità di
fatti di bancarotta (‘L’applicazione analogica della L. Fall., art. 219, ai reati di bancarotta
impropria non può ritenersi preclusa, trattandosi di disposizione favorevole
all’imputato”), costituisce, come da condivisibile interpretazione della giurisprudenza
successiva, un quid rafforzativo, ma sostanzialmente superfluo, alla stregua del
complessivo apparato argomentativo della pronuncia (Cass. 10791 del 25/01/2012).
13.La stessa genericità che caratterizza il primo motivo di ricorso nell’interesse di Silvano
Barri connota anche il terzo che, nel censurare di vizio motivazionale il diniego di
attenuanti generiche per mancato esame degli elementi di attenuazione indicati
nell’atto di appello, si sottrae all’obbligo di farne precisa menzione, risultando quindi
aspecifico.
14. Manifestamente privo di fondamento è il quarto motivo.
15. Invano il ricorrente invoca violazione di norma prevista a pena di nullità (art. 546 cod.
proc. pen.) per mancata indicazione nell’intestazione della sentenza del capo C)
d’imputazione.
16. Invero non solo la norma richiamata è specifica nel correlare la sanzione della nullità,
pur indicando tra i requisiti della sentenza anche l’imputazione, alle sole ipotesi di
mancanza od incompletezza degli elementi essenziali del dispositivo e di mancanza della
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11. Né, come evidenziato dall’indirizzo successivo alla decisione delle sezioni unite, sopra

sottoscrizione del giudice, sicché lo sforzo di ritenere causa di nullità la mancanza
dell’imputazione è destinato a sicuro insuccesso alla luce del principio di tassatività delle
nullità (Cass. 15324/2009, 4098/2008, 2117/1997), ma, contrariamente a quanto
sostenuto nel gravame, il tema della distrazione del corrispettivo della vendita
dell’immobile sito in Merlara in relazione al fallimento Sem srl, risulta trattato nel corpo
della decisione impugnata, con conseguente mancata violazione del diritto di difesa, sia
alle pagg. 8, 9 e 10, nella parte riepilogativa della pronuncia di primo grado, sia a pag.

d’imputazione (Cass. 1137/2008, 2117/1997).

17. Quanto al ricorso nell’interesse di Daniele Barri, mentre per il primo motivo valgono le
considerazioni già svolte in relazione al secondo dell’altra impugnazione, qui
espressamente ed integralmente richiamate, il secondo, analogo al primo del gravame
già trattato, soffre della stessa genericità di quest’ultimo laddove ascrive alla sentenza
impugnata la tautologica condivisione delle argomentazioni del primo giudice senza
controbattere agli specifici elementi indicati nei motivi di appello, dei quali tuttavia
omette di fare specifica menzione.
18. Né ha maggior consistenza la censura di illogicità, in ordine ai capi B), D) ed I), di taluni
stralci della decisione di secondo grado riportati testualmente nel gravame.
19. Invero, laddove, quanto al capo I), si cita la parte della sentenza in cui la corte ammette
di non aver affrontato punto per punto le critiche mosse con l’appello alle singole
deposizioni, si trascura che tali critiche sono state ritenute superate, nella decisione
impugnata, dalle considerazioni precedentemente svolte, ritenute atte a confermare la
validità del quadro di riferimento generale.
20. Così quando, in ordine al capo B), si censura la sentenza per aver ritenuto fin troppo
chiara la funzionalizzazione della Sem srl agli interessi del Daniele attraverso la
consegna in pegno delle quote a garanzia di un proprio debito e l’accredito di 1080
milioni (pag. 36), della cui destinazione mancavano valide giustificazioni, in tal modo
effettuando un salto logico -dal momento che la mancata giustificazione di uno
spostamento di danaro non si ribalta automaticamente in accertamento di condotta
distrattiva-, si trascura che il capo B) si riferisce al reato di bancarotta fraudolenta
documentale, in relazione al quale la mancanza delle scritture contabili aveva impedito
la ricostruzione del rapporto sottostante al pagamento di cui sopra a società
riconducibile ai fratelli Barri.
21. Laddove poi, in ordine al capo D), si lamenta che la corte abbia valorizzato la conduzione
da parte dell’imputato delle trattative per la cessione alla Versiggia srl di un complesso
immobiliare, senza chiarire perché ciò sarebbe stato dimostrativo della bancarotta
documentale ascritta al predetto, si mostra di ignorare che l’iter argomentativo della
sentenza impugnata non è diretto tanto a dar prova della distrazione (oggetto del capo
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36, sia pure senza citare espressamente la lettera (C) che contraddistingue tale capo

E, dichiarato prescritto), ma piuttosto a dimostrare che Daniele Barri era
l’amministratore di fatto della Lombardia Minerali Metalli srl, come contestatogli al capo
D).
22. La richiesta subordinata di applicazione dell’indulto è inammissibile essendo il ricorso per
cassazione sul punto ammissibile solo qualora il giudice di merito abbia esplicitamente
escluso detta applicazione, mentre nel caso in cui abbia omesso di pronunciarsi, come
nella specie in cui la relativa decisione è stata demandata al giudice dell’esecuzione,

23. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi seguono le statuizioni di cui all’art. 616
cod. proc. pen., determinandosi in C 1000, in ragione della natura delle questioni
dedotte, la somma che ciascun imputato dovrà corrispondere alla Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 8-1-2014

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deve essere adito quest’ultimo giudice.

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