Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9827 del 08/01/2014

Penale Sent. Sez. 5 Num. 9827 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 1021/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del
12/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA

Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12-4-2012 la Corte d’Appello di Lecce, confermando quella in data 42-2009 del tribunale della stessa sede, riconosceva la responsabilità di Enzo
A.A., quale amministratore unico della XX srl, dichiarata fallita 1’11-12005, per il reato di bancarotta preferenziale, in relazione al pagamento nel 1999 di
una serie di debiti della società (quello verso Giovanni Laghi per 700 milioni di lire

di un contributo pubblico vincolato ad altro titolo di spesa; quello di 50 milioni di lire
verso lo stesso A.A. ; quello di 154 milioni di lire verso Servizi Italia sas; quello di
26 milioni di lire verso la YY srl) allo scopo di favorire alcuni creditori in danno di
altri.
2.

La corte territoriale osservava che gli esercizi della società, che non aveva mai iniziato
ad operare concretamente, si erano chiusi sempre in perdita, evidenziando che l’ingente
credito insoluto verso la Adriano Rivoli spa, per oltre 712 milioni di lire, che aveva
portato alla dichiarazione di fallimento, era stato azionato con procedimento monitorio
già nel 2001 e che i pagamenti ritenuti preferenziali erano stati effettuati in danno
anche dei dipendenti della società, ricorrendo quindi il dolo in quanto, oltre alla volontà
di recare un vantaggio ai creditori soddisfatti, tra i quali lo stesso imputato, era stato
anche accettato il rischio del danno per gli altri creditori essendo la società già allora in
sofferenza.

3.

Ricorre personalmente l’imputato avverso tale decisione deducendo con il primo motivo
violazione di legge trattandosi di pagamenti di debiti certi, liquidi ed esigibili, non
revocabili in quanto effettuati molti anni prima del fallimento, quando la società era
fisiologicamente in perdita essendo appena nata.

4.

Con il secondo motivo si deduceva vizio di motivazione per carenza di indicazioni circa
l’elemento sia oggettivo che soggettivo del reato, in quanto la società nel 1999 non era
in stato d’insolvenza, essendo rimasta in bonis fino al 2004.

5. Con motivi nuovi depositati il 6-12-2013 il difensore ha eccepito la prescrizione del
reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2.

La sentenza impugnata è esente da difetti di tipo interpretativo e motivazionale.

3. Il primo motivo del gravame, afferente a violazione di legge, limitandosi a sostenere la
non revocabilità del pagamento dei debiti in quanto effettuato alcuni anni prima della
dichiarazione di fallimento, senza peraltro negare che la società fosse fin dall’inizio in
perdita (sia pure definendo tale situazione fisiologica in relazione alla recente

2

nascente da anticipazioni in favore della società, pagamento effettuato utilizzando parte

costituzione dell’ente), evita in realtà di confrontarsi con gli snodi della filiera
argonnentativa della sentenza impugnata, secondo i quali a) la società non aveva mai
concretamente operato (avendo solo acquistato terreni, realizzato un opificio
industriale, acquisito una quota di un’altra società, erogato prestiti e reperito mezzi di
finanziamento per tali investimenti solo, in sostanza, attraverso agevolazioni finanziarie
ai sensi della legge 488/1992, le cui tranches corrisposte dal Ministero per lo Sviluppo
erano state utilizzate per impieghi del tutto diversi e svincolati dalle finalità per le quali

perdita; c) l’ingente credito insoluto verso la R.R. spa, per oltre 712 milioni di
lire, causa dell’assoggettamento alla procedura concorsuale, era assai risalente essendo
stato azionato con procedimento monitorio fin dal 2001, ben quattro anni prima della
dichiarazione di fallimento.
4. Elementi di fatto in base ai quali la corte territoriale è logicamente pervenuta alla
conclusione, solo genericamente contestata dal ricorrente, che la società, già all’epoca
dei pagamenti preferenziali, non fosse in bonis.
5. Il provvedimento gravato supera indenne anche la censura di vizio motivazionale, di cui
al secondo motivo, in punto di elemento sia oggettivo che soggettivo del reato, in
quanto detta censura sotto il primo profilo reitera l’assunto, già sopra ritenuto non
condivisibile, secondo cui la società sarebbe stata solvente fino al 2004, sotto il secondo
lamenta mancata giustificazione del dolo, trascurando però che la corte di Lecce ha
evidenziato come, essendo i pagamenti preferenziali in danno anche dei dipendenti
della società, l’elemento psicologico del reato era rappresentato, oltre che dalla volontà
del A.A. di recare un vantaggio ai creditori soddisfatti, tra i quali si annovera egli
stesso, anche dall’accettazione del rischio del danno per gli altri creditori (Cass.
31894/2009).
6. L’inammissibilità originaria del ricorso, non consentendo il formarsi di un valido rapporto
di impugnazione, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod. proc. pen., e quindi anche la prescrizione del reato, maturata nelle
more del procedimento di legittimità (Cass. 28848/2013).
7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso seguono le statuizioni di cui all’art. 616
cod. proc. pen., determinandosi in C 1000, in ragione della natura delle questioni
dedotte, la somma da corrispondere alla Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 8- -201
Il consigliRre est.

EPOSITAT IN CANCELLERIA

la Fruttafollia srl era stata costituita); b) i suoi esercizi si erano chiusi sempre in

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