Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9825 del 18/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9825 Anno 2014
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Massarelli Fulvio, Marinelli Luigi, Cantaluppi Fabio, Caterano Dina
Vanessa, Cipriano Roberto, Cocchi Neva, Del Bello Patrizio, Mancini
Valentina, Mucignat Domenico, Nuzzi Filippo, Pazzagli Silvana, Renna
Doriana, Bondi Francesco, Di Gennaro Daniele, Papetti Paola, Pizio
Daniele, Ronchi Valentina, Parrinello Giacomo, Palmi Alvin, avverso la
sentenza pronunciata dalla corte di appello di Bologna 1’8.6.2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Aurelio Galasso, che ha concluso per l’annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dei reati;

Data Udienza: 18/10/2013

uditi i difensori presenti, avv. Gamberini Alessandro, Giuseppe
Giampaolo e Marcuz Mario, che, in difesa dei propri rispettivi assistiti
hanno concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata l’8.6.2011 la corte di appello di Bologna,
riformava esclusivamente sotto il profilo del trattamento sanzionatorio in
senso più favorevole agli imputati, la sentenza con cui il tribunale di
Bologna, in data 11.7.2007, aveva condannato Massarelli Fulvio,
Marinelli Luigi, Cantaluppi Fabio, Caterano Dina Vanessa, Cipriano
Roberto, Cocchi Neva, Del Bello Patrizio, Mancini Valentina, Mucignat
Domenico, Nuzzi Filippo, Pazzagli Silvana, Renna Doriana, Bondi
Francesco, Di Gennaro Daniele, Papetti Paola, Pizio Daniele, Ronchi
Valentina, Parrinello Giacomo, Palmi Alvin, alle pene ritenute di giustizia,
in relazione ai reati di cui agli artt. 81, cpv., 110, 610, c.p. (capo A) e
634, c.p. (capo B).
2. I suddetti, imputati, in particolare, sono stati ritenuti responsabili di
avere costretto Morandi Berselli Alessando, responsabile della sala
cinematografica bolognese “Capitol”, Romagnoli Graziella e Passannante
Francesco, dipendenti del suddetto esercizio cinematografico, a tollerare
che circa settanta persone assistessero allo spettacolo cinematografico in
programmazione senza pagare il biglietto, nonché un numero
imprecisato di persone che intendevano assistere al suddetto spettacolo
pagando il biglietto, di allontanarsi dalle casse del cinematografo.
L’azione costrittiva si era dispiegata attraverso la minaccia “consistita
nell’essere” gli imputati “un gruppo numeroso di persone organizzate,
nel dichiarare che non si sarebbero allontanate se non fosse stato loro
concesso di vedere lo spettacolo senza pagare e lasciando intendere che
avrebbero causato danni se si fosse cercato di sgomberarli”.
Infine i suddetti imputati venivano riconosciuti colpevoli di avere turbato
con la menzionata condotta il pacifico possesso dell’immobile ove si
trovava il cinema “Capitol.

2

,4,-

3.

Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiedono

l’annullamento, hanno proposto ricorso per Cassazione i predetti
imputati, deducendo motivi sostanzialmente comuni, con cui lamentano:
1) l’insussistenza, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo dell’ipotesi
di reato di cui all’art. 610, c.p., dovendosi inquadrare la condotta degli

nell’ambito di manifestazioni realizzate nell’ottobre del 2004, finalizzate
a porre al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica il problema della
possibilità di accedere ai mondi del sapere e della cultura, che, nell’ottica
degli imputati, è ormai appannaggio solo di quella ristretta cerchia di
persone dotate dei mezzi economici per sostenere i costi imposti per
l’accesso ai luoghi dove si svolgono attività culturali; 2) l’impossibilità di
configurare il reato di cui all’art. 634, c.p.; 3) la violazione delle norme
in tema di concorso di persone nel reato, non essendo stato dimostrato,
in relazione a ciascuno degli imputati, quale sia stato il contributo fornito
alla consumazione dei reati oggetto di contestazione; 4) la violazione del
principio di specialità di cui all’art. 15, c.p., che non consente di ritenere
sussistente il concorso tra i reati di cui agli artt. 610 e 634, c.p.
4. In via preliminare va rilevato che il decorso del termine di prescrizione
di entrambi i reati (corrispondente a sette anni e sei mesi), commessi il
27.10.2004, pur tenuto conto degli atti interruttivi intervenuti e dei
periodi di sospensione disposti (pari a tre mesi e dodici giorni), risulta
compiuto alla data dell’8.8.2012.
Si è pertanto verificata, dopo la pronuncia della sentenza di secondo
grado, una causa di estinzione di entrambi i reati, che compete a questa
Corte di Cassazione rilevare d’ufficio, stante la evidente non
inammissibilità dei ricorsi presentati dagli imputati, incentrati su
questioni di diritto non manifestamente infondate.
Ed invero il principio della immediata declaratoria di determinate cause
di non punibilità, sancito dall’art. 129 cod. proc. pen., opera anche nel
caso di cause estintive del reato rilevate nel giudizio di Cassazione (cfr.,
ex plurimis, Cass., sez. III, 01/12/2010, n. 1550, rv. 249428; Cass.,
sez. un., 27/02/2002, n. 17179, Conti).

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imputati, tutti appartenenti ad associazioni politiche e studentesche,

Logico corollario di tale affermazione è che anche nel giudizio di
legittimità sussiste l’obbligo di dichiarare una più favorevole causa di
proscioglimento ex art. 129, co. 2, c.p.p., pur ove risulti l’esistenza della
causa estintiva della prescrizione, obbligo che, tuttavia, opera, in
considerazione dei caratteri tipici del giudizio di legittimità, nei limiti del

denunciati (cfr. Cass., sez. I, 18/04/2012, n. 35627, rv. 253458).
Il sindacato di legittimità che, pertanto, si richiede alla corte in questo
caso deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle
condizioni per addivenire a una pronuncia di proscioglimento nel merito
con una delle formule prescritte dall’art. 129, co. 2, c.p.p.: la
conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova
dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità a esso dell’imputato risulti
evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni
posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove
indagini e ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il
principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il
congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui
è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto
complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri
richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più
favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione
immediata del processo (cfr. Cass., sez. IV, 05/11/2009, n. 43958, F.)
In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, la formula di
proscioglimento nel merito (art. 129, comma 2, c.p.p.) può essere
adottata solo quando dagli atti risulti “evidente” la prova dell’innocenza
dell’imputato, sicché la valutazione che in proposito deve essere
compiuta appartiene più al concetto di “constatazione” che di
“apprezzamento” (cfr. Cass., sez. II, 11/03/2009, n. 24495, G.)
4. 1 Orbene nel caso in esame difetta una prova dotata di tale evidenza.
Premesso, infatti, che, secondo il consolidato e condivisibile
insegnamento della giurisprudenza di legittimità, integra gli estremi del
delitto di violenza privata la minaccia, ancorché non esplicita, che si

4

controllo del provvedimento impugnato, in relazione alla natura dei vizi

concreti in un qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad
incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al
fine di ottenere che, mediante la detta intimidazione, il soggetto passivo
sia indotto a fare, tollerare o ad omettere qualcosa (cfr. ex plurimis,
Cass., sez. V, 21/03/2013, n. 23945, C.A.M.), non appare revocabile in

dubbio che la condotta posta in essere dagli imputati non possa essere
qualificata in termini diversi da quelli recepiti nella fattispecie
incriminatrice dell’art. 610, c.p.
Come correttamente rilevato dalla corte territoriale, infatti, gli imputati
hanno operato congiuntamente, avvalendosi della forza oggettivamente
promanante dall’agire in gruppo, prima impedendo ai potenziali clienti
che intendevano assistere alla rappresentazione cinematografica di
acquistare il relativo biglietto ed alla cassiera di svolgere le proprie
mansioni, poi entrando nella sala di proiezione n. 4 per assistere, senza
pagare, alla rappresentazione in corso, che, interrotta per la loro
presenza, veniva poi ripresa nell’adiacente sala n. 3, dove i manifestanti,
in massa, si trasferivano, vincendo le resistenze del responsabile
dell’esercizio cinematografico e del dipendente addetto al controllo dei
biglietti.
Sicché appare evidente che il comportamento tenuto dalle persone
offese investite dall’azione collettiva, che va considerata unica, pur in
presenza di una pluralità di atti, in quanto offensivi del medesimo
interesse tutelato e svolgentisi in un unico contesto (cfr. Cass., sez. V,
14.1.1987, n. 4554, A. e altri, rv. 175658), non può ritenersi
conseguenza di una libera scelta.
Ed invero i potenziali clienti si sono allontanati dalla biglietteria della
sala; la cassiera non ha venduto i biglietti, l’addetto al controllo dei
biglietti ed il responsabile dell’esercizio cinematografico hanno
acconsentito a che i manifestanti assistessero alla rappresentazione
senza pagare il prezzo del biglietto, non sulla base di una autonoma
determinazione, ma solo perché intimoriti (e, quindi, costretti) dalla
presenza del gruppo, cioè dalla preoccupazione che un loro rifiuto
avrebbe potuto innescare una reazione violenta.

5

/J.-

Preoccupazione che, nel caso di specie, non era meramente ipotetica,
ma plausibilmente fondata alla luce del comportamento stesso dei
manifestanti ed, in particolare, della determinazione con cui questi ultimi
hanno perseguito il proprio proposito, dichiarando che “non sarebbero
andati via se non fosse stato loro concesso di vedere il film senza

Condivisibile, pertanto, appare la conclusione cui è giunta la corte
territoriale, anche sotto il profilo della sussistenza degli elementi del
concorso di persone nel reato, “ciascun partecipe avendo contribuito,
nella consapevolezza della forza del presentarsi numerosi ed uniti, a
porre in essere la condotta minacciosa e, in definitiva, alla realizzazione
dell’obiettivo della protesta, ossia della visione gratuita del film”, non
potendo, peraltro, incidere sulla punibilità degli imputati, al fine di
escluderla, le finalità di critica politica cui sarebbe stata orientata la loro
azione.
4.2 Nessun dubbio sussiste nemmeno sulla configurabilità del
concorrente delitto di cui all’art. 634, c.p., che punisce chiunque, fuori
dei casi indicati nell’articolo 633, c.p., turba, con violenza alla persona o
con minaccia, l’altrui pacifico possesso di cose immobili, dovendosi
considerare, ai sensi del secondo comma del suddetto articolo, compiuto
con violenza o minaccia il fatto commesso, come nel caso in esame, da
più di dieci persone.
Al riguardo va solo precisato che, a differenza di quanto affermato dalla
corte territoriale, non possono considerarsi turbati nel pacifico
godimento dell’immobile dove erano collocate le sale cinematografiche
quegli spettatori che si sono allontanati dal cinema dopo avere iniziato
ad assistere alle proiezioni interrotte dal trambusto creato dai
manifestanti.
Ed invero tali spettatori devono considerarsi titolari, nei confronti del
titolare dell’esercizio cinematografico, di un semplice diritto alla
esecuzione della prestazione corrispondente al pagamento del biglietto
(vale a dire alla proiezione del film), giammai di un diritto reale
sull’immobile in cui era ubicato l’esercizio cinematografico.

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pagare”.

Ciò non significa, tuttavia, che il delitto in questione non sia
configurabile.
Non appare revocabile in dubbio, infatti, come evidenziato dalla stessa
corte territoriale, che i manifestanti, con la loro condotta, hanno turbato
il diritto di pacifico godimento dell’immobile da parte del possessore,

disponibilità rientrava l’edificio in cui erano collocate le sale di proiezione
e la biglietteria, compromettendo l’esercizio del suo potere di signoria
sul bene stesso.
Risulta, pertanto, integrata la fattispecie di cui si discute, che si riferisce,
come affermato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità e dalla
dottrina, alla turbativa dei beni immobili e dei diritti reali che hanno ad
oggetto beni immobili (cfr. Cass., 10.6.1952, De Carolis).
Va, infine, rilevato che la corte territoriale ha operato correttamente
anche nel ritenere il concorso di entrambi i reati.
Come affermato, infatti, concordemente dalla migliore dottrina e dalla
giurisprudenza di legittimità, col delitto di cui all’art. 634, c.p., può
concorrere l’altro previsto dall’art. 610, c.p., quando la violenza o la
minaccia, come nel caso in esame, vengano usate anche al fine di
coartare la libertà o la volontà del soggetto passivo in una sfera (quale
appunto quella della libertà di autodeterminazione delle persone offese
in precedenza indicate) o attività diversa da quella che ha per oggetto la
turbativa di possesso di un immobile, quale appare il libero esercizio
dell’attività di impresa cinematografica (cfr. Cass., sez. II, 16.5.1967, n.
907, M., rv. 105887).
5. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va,
pertanto, annullata senza rinvio per essere i reati estinti per intervenuta
prescrizione.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per
intervenuta prescrizione.
Così deciso in Roma il 18.10.2014

vale a dire del titolare dell’esercizio cinematografico nella cui

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