Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9822 del 14/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9822 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEL MONTE ANGELO SALVATORE N. IL 19/11/1965
avverso l’ordinanza n. 5233/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 05/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;
lette/sentite le conclusioni del PG 1ìt.
11,PAP GLQ

tL:C41«1″.”9

Data Udienza: 14/02/2014

ritenuto in fatto

1.

Con ordinanza del 5.6.2013 il Tribunale di Sorveglianza di Roma

rigettava l’istanza di detenzione domiciliare presentata da DEL MONTE Angelo
Salvatore, collaboratore di giustizia, sul presupposto che non era ancora
possibile affermare che il prevenuto, resosi autore di gravissimi reati quali
l’omicidio, avesse raggiunto un grado di ravvedimento necessario per iniziare

collaborazione ma aveva riportato condanna in materia di armi, nel 2011.
Veniva evidenziato che lo stesso doveva espiare una pena con termine finale
ancora lontano, perché cadente al 29.1.2021.

2.

Avverso tale decisione interponeva ricorso per cassazione il

prevenuto, pel tramite del difensore, per dedurre violazione dell’art. 47 ter OP
e 16 nonies L. 82/2001, nonché manifesta contraddittorietà ed illogicità della
motivazione. Si rileva che il ricorrente avrebbe intrapreso un percorso di
riabilitazione, tanto da aver goduto di regolari permessi di cui viene dato atto
anche nel provvedimento

impugnato, in cui sarebbe stata omessa la

valutazione del comportamento tenuto dall’imputato dopo i reati perpetrati,
così come del resto attestato nelle annotazioni della DIA e della DNA; veniva
sottolineato che il prevenuto era stato collocato nel 2011 agli arresti domiciliari
per un fatto che aveva commesso prima di iniziare il percorso collaborativo, di
irrilevante portata criminale essendosi trattato del porto di un coltellino,
sanzionato con mesi uno di arresto ed euro 100 di ammenda. Veniva ribadito
che l’istante aveva prestato collaborazione per uno dei reati di cui all’art. 51 c.
3 bis cod.proc.pen., che aveva scontato già più di un quarto della pena, che la
condotta post delictum deponeva per favorevole valutazione, cosicchè veniva
ritenuto che l’ordinanza evidenziasse tutta la sua intrinseca contraddittorietà.

3.

Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso.

4.

E’ stata medio tempore depositata memoria difensiva con cui

vengono richiamati alcuni arresti di questa Corte di legittimità, in base ai quali
se la Corte riconosce tutti i requisiti formali e sostanziali necessari per un
positivo riscontro della domanda, non può essere respinta la richiesta, dopo
aver apprezzato un’affidabile assunzione di responsabilità, sul solo
presupposto della gravità dei reati a suo tempo commessi. Vien poi contestata
l’enfatizzazione dell’episodio di condanna per la detenzione di un semplice
coltellino, che tra l’altro poteva servire per il disimballaggio di merci.
2
e—L/

il percorso di reinserimento sociale, poiché era stato messo in libertà dopo la

Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Come è stato già affermato da questa Corte, attraverso le misure
alternative al carcere l’ordinamento ha inteso attuare una forma
dell’esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i
quali, alla luce dell’osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed

completo reinserimento sociale all’esito della misura alternativa. I criteri ed i
mezzi di conoscenza utilizzabili da parte del Tribunale di Sorveglianza per
pervenire a tale positiva previsione sono indicati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza nel reato commesso, ineludibile punto di partenza, nei
precedenti penali, nelle pendenze processuali, nelle informazioni di P.S. ma
anche, nella condotta carceraria e nei risultati dell’indagine socio-familiare
operata dalle strutture carcerarie di osservazione. La norma che si assume
violata,ovverosia il D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 16-nonies, convertito in
L. 15 marzo 1991, n. 82, contempla il provvedimento per cui è causa in
costanza del ravvedimento del detenuto, che secondo l’insegnamento di
questa Corte deve essere espresso in termini di certezza, ovvero di elevata e
qualificata probabilità confinante con la certezza, ossia basato su una
valutazione complessiva della personalità del condannato in relazione al suo
evolversi in senso positivo durante l’arco della detenzione (Sez. I, 14.1.2009,
n. 3422). Questo significa che l’ammissione alla detenzione domiciliare,
anche nei confronti dei collaboratori di giustizia, non comporta nessun
automatismo, essendo in ogni caso sempre necessaria la valutazione da parte
del competente tribunale, della complessiva condotta serbata dal soggetto, al
fine di verificare se l’azione rieducativa globalmente svolta abbia avuto come
risultato il compiuto ravvedimento del condannato, all’esito di una revisione
critica della propria vita anteatta (Sez. I, 16 gennaio 2007, n. 3675,rv.
235796; Sez. I, 1° febbraio 2007, n. 9887, rv. 236548).
Ciò premesso, deve rilevarsi che il discorso giustificativo dell’ordinanza
impugnata è conforme a questi principi, essendo state evidenziate emergenze
concrete quale la condanna per il porto di un coltello, fatto valutato con
insindacabile apprezzamento di merito come non trascurabile, che hanno
indotto a ritenere non ancora intervenuto il ravvedimento del condannato
rispetto ad una devianza contraddistinta dalla consumazione di delitti di
particolare allarme sociale (tra cui anche un omicidio) e quindi necessario
ancora un periodo di valutazione della personalità del condannato in regime
3

elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di

inframurario. Per questa ragione l’ordinanza non ha forzato i parametri
normativi di riferimento, ma è stata espressa in osservanza degli stessi, con
chiaro riguardo alla condotta tenuta dall’interessato in epoca successiva
all’intrapresa della scelta collaborativa.
Al rigetto del ricorso deve seguire la condanna al pagamento delle spese
processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, addì 14 Febbraio 2014.

p.q.m.

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