Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9796 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9796 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI BELLA ANGELO N. IL 11/05/1954
avverso l’ordinanza n. 187/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
11/01/2013
sentita la r1azione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott. 5. gtArreco
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CD

Data Udienza: 30/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Procura generale della repubblica presso la Corte di appello di Palermo
emetteva nei confronti di Angelo Di Bella ordine di esecuzione della pena di anni
dieci di reclusione con decorrenza dal 5.12.2008 inflitta al predetto per il reato di
cui all’art. 416

bis cod.pen. e per il reato di intestazione fittizia di beni.

Con ordinanza in data 11.1.2013 la Corte di appello di Palermo, decidendo
sull’incidente di esecuzione proposto dal Di Bella, dichiarava la fungibilità,

predetto dal 30.3.2004 all’8.1.2007 con riferimento al reato di cui all’art. 416

bis cod. pen. dal quale era stato poi assolto.
In particolare, richiamata la disciplina di cui all’art. 657 comma 4 cod. proc.
pen., rilevava che nella specie il reato associativo cui si riferisce la pena in
espiazione è contestato in permanenza «sino alla data odierna>>, mentre il
reato di intestazione fittizia di beni è contestato «dal 28.5.2002 con condotta
permanente>>. Riteneva, quindi, che nel caso di specie il reato associativo è
stato consumato sino alla data della sentenza di primo grado, cioè sino al marzo
2010; pertanto, la custodia sofferta in precedenza sine titulo non può essere
detratta. Diversamente, parte di detta custodia sofferta sine titulo può essere
detratta dalla pena da espiare (mesi otto di reclusione) con riferimento al reato
di intestazione fittizia di beni che è stato consumato il 28.5.2002.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Di Bella, a
mezzo dei difensori di fiducia, con due atti distinti, denunciando la violazione di
legge ed il vizio di motivazione con riferimento all’art. 657 cod. proc. pen..
Rileva che i giudici dell’esecuzione hanno omesso di procedere alla verifica in
concreto della commissione del reato associativo e della effettiva cessazione
della permanenza, limitandosi ad affermare che la permanenza cessa con la
sentenza di primo grado. In tal modo non è stata fatta corretta applicazione della
regola secondo la quale, trattandosi di contestazione cd. aperta, il giudice è
tenuto a verificare se nel procedimento cui si riferisce la condanna risulta la
prova della effettiva permanenza sino alla data di emissione della sentenza.
Lamenta, altresì, che la Corte di appello confonde il concetto di commissione
con quello di consumazione del reato associativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.
Come è noto, la ratio del principio sancito dall’art. 657, comma 4, cod. proc.
pen. è quella di non consentire ad alcuno di fruire di crediti di pena che possano
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limitatamente a mesi otto di reclusione, della custodia cautelare sofferta dal

agevolare la commissione di fatti criminosi nella consapevolezza della assenza di
conseguenze sanzionatorie.
Tale principio determina conseguenze in tutti i casi in cui vi sia per qualsiasi
ragione una pena espiata sine título che non può automaticamente essere
imputata alla detenzione da eseguire, operando il disposto della richiamata
norma secondo cui, a tal fine, vanno computate solo la custodia cautelare
sofferta e le pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato.
Deve essere ribadito, altresì, che nell’ipotesi della cd. «contestazione

in concreto se il giudice di merito abbia o meno ritenuto provato il protrarsi della
condotta criminosa. Ne consegue, che «nel caso di condanna per un reato
associativo che sia stato contestato senza l’indicazione della data di ritenuta
cessazione della condotta criminosa, l’esclusione del computo del periodo di pena
espiata inutilmente per altro reato non deve prescindere, ove la sentenza di
condanna di primo grado per il reato associativo sia successiva al periodo di
detenzione subito in relazione all’altro reato, dalla verifica in ordine alla
sussistenza della prova della effettiva permanenza della condotta sino alla data
di pronuncia della sentenza, non potendosi presumere – in forza della regola
giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di contestazione in modo “aperto” del
fatto associativo, è possibile affermare la penale responsabilità anche con
riferimento al periodo successivo alla data di accertamento – che il momento
consumativo coincida con la pronuncia della sentenza di condanna di primo
grado» (Sez. 1, n. 20238, 22/03/2007, Lounici, rv. 236664).
Nel provvedimento impugnato, pur essendo stati richiamati correttamente i
suddetti principi, tuttavia, il giudice dell’esecuzione non ha operato, sulla base
degli argomenti posti a fondamento della sentenza di condanna, la valutazione in
concreto della permanenza del reato associativo sino alla data della sentenza di
primo grado, essendosi limitato ad affermare, senza alcuna indicazione delle
circostanze di fatto indicate nella sentenza di condanna, che «può ritenersi
certo che per la natura stessa e la persistenza del vincolo criminoso il reato
associativo, in quanto reato permanente, è stato consumato sino alla data della
sentenza di primo grado».
Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente al
parziale diniego dell’applicazione della fungibilità con rinvio degli atti alla Corte di
appello di Palermo per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

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aperta» in sede di esecuzione, ai fini di ogni effetto giuridico occorre verificare

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al parziale diniego di
applicazione dell’art. 657 cod. proc. pen. e rinvia per nuovo esame al rigurado
alla Corte di appello di Palermo.

Così deciso, il 30 gennaio 2014.

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