Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9790 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9790 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPADARO ANTONINO N. IL 04/07/1941
avverso il decreto n. 263/2011 TRIBUNALE di PALERMO, del
18/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI;
lette/sontite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 19/11/2013

N.18143/13-RUOLO N.13 C.C.N.P.(2386)

RITENUTO IN FATTO
1.SPADARO Antonino impugna innanzi a questa Corte per il tramite del suo
difensore il decreto del 18 marzo 2013, con il quale il Tribunale di Palermo ha
respinto la sua istanza intesa ad ottenere la revoca del provvedimento con il
quale il giudice delegato aveva fissato a suo carico un’indennità d’occupazione
per un immobile a lui sequestrato ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2011 e da lui

2.11 Tribunale di Palermo aveva ritenuto che l’art. 2-sexies comma 4 della legge
n. 575 del 1965, poi integralmente trasfuso nell’art. 40 comma 2 del d.lgs. n.
159 del 2011, non prevedeva un’automatica destinazione dell’immobile
sequestrato alle esigenze abitative del proposto e dei suoi familiari, ma
l’adozione da parte del giudice delegato di un provvedimento discrezionale ed
eventuale, come poteva desumersi dall’espressione “può adottare” e dall’uso
ipotetico del congiuntivo usati usato nelle parole “quando ricorrano le condizioni
previste dall’art. 47 I.f.”.
Il giudice delegato era quindi chiamato a realizzare, nel caso concreto, un
bilanciamento tra le esigenze del soggetto che subiva il sequestro del bene e
quelle pubblicistiche connesse all’esecuzione del provvedimento, esigenze,
consistenti nel dovere primario di acquisire il possesso dei beni e di amministrarli
anche al fine di incrementarne la redditività (art. 2 sexies comma 8 della legge
n. 575 del 1965, letteralmente ripreso dall’art. 35 co. 5 del d.lgs. n. 159 del
2011).
Pertanto, qualora il sequestro di prevenzione avesse posto il soggetto passivo
nella medesima condizione del fallito (espropriato dei propri beni), il giudice
delegato avrebbe dovuto valutare l’applicabilità, sino alla definizione del
procedimento, di uno dei provvedimenti di favore previsti dall’art. 47 I.f., qualora
avesse accertato l’indisponibilità, da parte del proposto, di altri immobili di
proprietà da destinare ad abitazione (requisito della “necessità” abitativa previsto
dal comma 2 art. 47 cit.).
Viceversa qualora il proposto non si fosse trovato in condizioni di emergenza
abitativa, in quanto avesse avuto la disponibilità di redditi adeguati o di altri
immobili di proprietà, la sua situazione non avrebbe potuto essere assimilata a
quella del fallito, con conseguente esclusione dell’applicabilità dei provvedimenti
di cui all’art. 47 I.f.
Il Tribunale di Palermo era consapevole che quanto sopra ritenuto fosse in
contrasto con l’orientamento giurisprudenziale più recente, secondo cui “deve
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utilizzato quale casa di abitazione per la propria famiglia.

escludersi che il proposto debba corrispondere il canone di locazione
relativamente alla propria abitazione, ancorché bene fruttifero,
indipendentemente se sia in grado di far fronte con il suo patrimonio o con il suo
reddito, non potendo, ex art. 47, comma 2, L. Fa/I., essere privato della propria
abitazione, senza che possa essere imposto allo stesso il pagamento di un
canone locativo, indipendentemente dalla sua solvibilità” (cfr. Cass., Sez. II, n.
9908 del 24/2/2011, Scagliarini, Rv. 249672).
Il Tribunale di Palermo ha ritenuto di preferire l’interpretazione delle norme in

della legislazione in materia; compatibile con il rispetto dei diritti fondamentali;
non in contrasto con principi costituzionali e comunitari laddove operava un
bilanciamento fra il diritto all’abitazione e gli altri interessi protetti
dall’ordinamento.
Il Tribunale non ha ravvisato nel caso di specie la sussistenza dei presupposti per
far luogo all’applicazione dell’art. 47 L.F. ed ha ritenuto che l’indennità di
occupazione, pari ad C 400,00 mensili, fino ad allora fissata a carico del
ricorrente, fosse congrua e non sproporzionata, avuto riguardo alle sue
condizioni economiche, disponendo egli di una pensione mensile.

3.SPADARO Antonino deduce erronea applicazione di legge, in quanto era da
ritenere illegittima la richiesta di pagamento di un’indennità per un immobile, da
lui adibito, quale soggetto sottoposto a sequestro preventivo, ad uso abitativo
per sé e per la propria famiglia, in quanto la casa di abitazione era da ritenere
nella disponibilità del proposto fino alla sua confisca, senza la corresponsione di
alcun canone, dovendo in tal senso essere interpretata la norma di cui all’art. 47
I.f., peraltro espressamente richiamata dall’art. 40 del d. Igs. n. 159 del 2011.
Egli infatti non disponeva di altri immobili non sottoposti a sequestro e non
aveva fonti di reddito tali da consentirgli una sistemazione abitativa adeguata
alle esigenze sue e della sua famiglia.
Il suo reddito pensionistico era poi inadeguato, atteso che, con esso, doveva
periodicamente affrontare spese per curarsi in Nord Italia.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.L’art. 2 sexies comma 4 della legge n. 575/65, la cui disposizione è oggi
riprodotta nell’art. 40, comma 2, del d.lgs. n.159 del 2011 (c.d. “Codice
antimafia”), stabilisce: “Il giudice delegato può adottare, nei confronti della
persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia, i provvedimenti indicati
nell’articolo 47 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive
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esame sopra illustrata, siccome maggiormente coerente con la lettera e lo spirito

modificazioni, quando ricorrano le condizioni ivi previste. Nel caso previsto dal
secondo comma del citato art. 47, il beneficiario provvede a sue cure alle spese e
agli onere inerenti l’unità immobiliare ed è esclusa ogni azione di regresso…”.
Dal tenore letterale della enunciata disposizione, si rilevano, da un lato, la
discrezionalità dell’intervento del giudice delegato (desumibile dall’uso del verbo
potere: “Il giudice.. .può adottare…”), e, dall’altro, la necessità di subordinare
tale intervento alle “condizioni” previste dall’art. 47 L.F.
L’art. 47 I.f. al primo comma, dispone: “Se al fallito vengono a mancare i mezzi

è stato nominato, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la
famiglia”; al secondo comma, prevede: “La casa di proprietà del fallito, nei limiti
in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere
distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività”.
Dalla lettura del testo dell’art. 47 I.f. si evince che le “condizioni” richieste perché
il giudice della prevenzione “possa” discrezionalmente, adottare, nei confronti del
proposto, il provvedimento di concessione di un “sussidio” alimentare o
l’autorizzazione ad abitare nella casa in sequestro sono costituite,
rispettivamente, dalla mancanza dei mezzi di sussistenza, nel primo caso, e dalla
“necessità” abitativa, nel secondo.
La più recente giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di concessione
del sussidio alimentare al fallito ha escluso che costui vanti un “diritto soggettivo
agli alimenti”, essendone rimessa la concessione alla decisione discrezionale del
giudice del merito, anche in ordine alla relativa entità e durata nel tempo, con
provvedimento inidoneo a pregiudicare definitivamente ed irreversibilmente la
posizione dell’interessato (la relativa istanza è legittimamente reiterabile), e
sempre che sussistano le seguenti condizioni: che al fallito vengano a mancare i
mezzi di sussistenza; che nella massa attiva vi siano disponibilità economiche
sufficienti per far fronte al pagamento del sussidio; che sulla richiesta del fallito
venga sentito il comitato dei creditori.
Concorre, inoltre, ad escludere la configurabilità di un “diritto soggettivo” del
fallito agli alimenti l’espressione utilizzata “può concedere”, diversa da quella
dell’art. 433 cod. civ. che sancisce il diritto agli alimenti di chi versa in stato di
bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento (Cass. civ.,
Sez. 1, sent. n. 2755 del 25/2/2002, Bianchi contro Fall. Edil Serr Sas di Bianchi
Giorgio e c., Rv. 552539; Sez. 1, sent. n. 3664 del 14/3/2001, Santandrea
contro Fall. Kruis Trading Srl, Rv. 544730).
Quanto al tema abitativo, una risalente pronuncia (sent. n. 2070 del 1959),
secondo la quale il fallito aveva il diritto soggettivo a conservare il godimento
dell’alloggio di sua proprietà fino alla vendita, è ormai superata dai più recenti
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di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, se

orientamenti, i quali, a proposito della limitazione del vincolo di destinazione
dell’abitazione al fallito nei limiti della “necessità” di costui e della sua famiglia,
legittimano provvedimenti del Giudice delegato volti ad alienare o locare la parte
esuberante e, in via generale, giustificano il potere dell’Ufficio fallimentare di
liquidare la casa di proprietà del fallito anche prima della fase terminale della
procedura, ove sia presenti un preciso interesse in tal senso e si provveda in
altro modo a carico della massa all’abitazione del fallito, fino al momento in cui il
rilascio sarebbe stato legittimo.

47 I.f. tale da subordinare la concessione del sussidio alimentare e
dell’autorizzazione ad abitare la casa di proprietà, oltre che a un provvedimento
di natura discrezionale, alle condizioni ed ai limiti come sopra precisati.
Anche il Giudice delegato, chiamato ad adottare nei confronti del proposto i
provvedimenti di cui all’art. 40 comma 2 d.lgs. n. 159 del 2011, è tenuto ad
osservare dette condizioni e limiti, salvo adattamento alla specificità di
procedimento di prevenzione.
Se è vero, da un lato, che l’esplicito raccordo voluto dal legislatore tra la norma
di prevenzione e quella fallimentare sottende una indubbia relazione analogica
tra la posizione del “proposto” e quella del “fallito”, è altrettanto vero, dall’altro,
che detta relazione appare pienamente giustificata solo se al primo con il
sequestro di prevenzione vengano sottratti tutti i beni, cosicché la sua situazione
si trovi realmente a coincidere con quella del “fallito” espropriato del suo
patrimonio.
Non sussiste invero un’automatica e rigida analogia tra le due figure, atteso che,
a differenza del fallito, il proposto viene privato solo dei beni di provenienza
illecita, potendo egli ben conservare la disponibilità dei beni per i quali abbia
provato la legittima provenienza.
Ad escludere un’analogia piena tra le posizioni del proposto e del fallito,
soccorrono anche ragioni di carattere sistematico, atteso che l’art. 2-sexies
comma 4 della legge n. 575 del 1965 (oggi art. 40 co. 2 D.L.vo n. 159/2011) è
inserito in un corpo normativo, che disciplina le misure di prevenzione di
carattere patrimoniale, il cui obiettivo finale è di restituire alla collettività,
attraverso la loro destinazione a scopi di utilità sociale, beni di provenienza
delittuosa confiscati (obiettivo tutt’affatto diverso, all’evidenza, dalla tutela delle
ragioni dei creditori che caratterizza la procedura fallimentare) e che, in attesa
del provvedimento di confisca (art. 20 D.L.vo cit.), prevede il ricorso allo
strumento provvisorio del sequestro di prevenzione (ordinario, anticipato o
urgente: artt. 20, 21 e 22 stesso D.L.vo) che, per un verso, assicura l’immissione
in possesso e l’apprensione dei beni da parte dello Stato (anche attraverso lo
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Giurisprudenza, dottrina e prassi accreditano, dunque, un’interpretazione dell’art.

sgombero forzato previsto, per i beni immobili, dall’art. 21 del D.L.vo cit), e, per
altro verso, demanda allo Stato medesimo, attraverso il giudice delegato e
l’amministratore giudiziario “la custodia, la conservazione e l’amministrazione dei
beni sequestrati…anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei
beni medesimi” (art. 35, co. 5, D.L.vo n. 159/11, che riproduce il previgente art.
2 sexies comma 8 L. n. 575/65).

2.Funzionale all’evocata finalità di incremento della redditività dei beni è, senza

nei confronti del proposto che usi a fini abitativi un immobile soggetto a
sequestro di prevenzione.

3.11 ricorrente contesta l’imposizione di un’indennità di occupazione a suo carico,
richiamando una recente sentenza di altra sezione di questa Corte, secondo la
quale “È illegittima la richiesta rivolta dall’amministratore giudiziario dei beni in
sequestro di prevenzione al proposto di pagamento, previa stipula di un contratto
di locazione, di un canone per l’immobile avuto da quest’ultimo in custodia e
adibito ad uso di abitazione per sé e per la famiglia, perché la casa di abitazione
resta a disposizione del proposto fino alla confisca e non può dirsi che sia da
questi posseduta “sine titulo” come se fosse divenuta di proprietà
dell’amministrazione dei beni (Sez. 2, sent. n. 9908 del 24/2/2011, Scagliarini,
Rv. 249672)”.
In detta sentenza è detto che “L’art. 47 della legge fallimentare non prevede
testualmente la possibilità di richiedere un canone di locazione al proprietario
dell’appartamento che non può ritenersi compreso, nella logica dell’incremento,
tra i beni del patrimonio del proposto che devono essere “gestiti”
dall’amministratore.
Trattandosi di norma di favore, l’interpretazione sistematica porta a ritenere,
unitamente alla interpretazione costituzionalmente e comunitariamente
orientata, che il proposto/fallito abbia il diritto, unitamente alla sua famiglia, di
abitare l’immobile di sua proprietà, senza la corresponsione di alcun canone. Il
diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla
persona, in forza dell’interpretazione desumibile da diverse pronunce della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e nelle sentenze della Corte Costituzionale
nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra diritto interno e diritto
sovranazionale…Alla luce di tali considerazioni deve escludersi che il proposto
debba corrispondere il canone di locazione relativamente alla propria abitazione,
ancorché bene infruttifero, indipendentemente se sia in grado di far fronte con il
suo patrimonio o con il suo reddito a tale spesa, non potendo, ex art. 47, comma
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dubbio, l’imposizione di un canone di locazione o di un’indennità di occupazione

secondo, legge fallimentare, essere privato della propria abitazione, senza che
possa essere imposto allo stesso il pagamento di un canone locativo,
indipendentemente dalla sua solvibilità…”.

4.Va tuttavia rilevato che detta sentenza è stata preceduta da una pronuncia di
segno opposto emessa da questa Sezione, la quale ha, viceversa, ritenuto
“…legittima la richiesta – formulata, previa autorizzazione del giudice delegato,
dall’amministratore giudiziario di beni sottoposti a sequestro di prevenzione ai

canone locativo, a fronte di regolare stipula contrattuale, per unità immobiliare
avuta in custodia e adibita ad abitazione dei familiari del suo proprietario, in
quanto, tra le possibilità di incrementare la redditività dei beni di cui all’art. 2sexies, comma primo, della citata legge, rientra quella di concedere in locazione
un immobile, così da poter ricavare un corrispettivo dalla sua utilizzazione (Cass.
Sez. I, n. 41690 del 15/10/2003, Calabrò ed altri, Rv. 226479)”.

5.Ritiene il Collegio di aderire a tale ultimo orientamento, con le precisazioni che
seguono.
Sono stati in precedenza illustrati gli specifici tratti caratterizzanti la procedura di
prevenzione, nonché le ragioni di ordine sistematico (vincolo reale limitato ai
beni di provenienza delittuosa; immissione nel possesso e apprensione dei beni;
possibilità di sgombero degli immobili; finalità di incrementare la redditività dei
beni in sequestro; destinazione dei beni alla fine confiscati a scopi di utilità
sociale) che concorrono ad escludere la sussistenza di una piena analogia fra il
soggetto sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale del sequestro ed il
fallito e si è affermato che la massima coincidenza tra le due figure si verifica
solamente nel caso in cui al proposto per una misura di prevenzione vengano
sottratti con il sequestro tutti i beni, così come accade al fallito alla data di
dichiarazione di fallimento (art. 42, co. 1, L.F.: “La sentenza che dichiara il
fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità
dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento”.
E’ solo in questo caso, dunque che la situazione del proposto è pienamente
sovrapponibile a quella del fallito ed è solo in tale ipotesi che il Giudice delegato
alla procedura di prevenzione, in base al combinato disposto di cui agli artt. 40,
co. 2, D.L.vo n. 159/2011 e 47 L.F. potrà valutare l’applicabilità, sino alla
definizione del procedimento, di uno dei provvedimenti di favore previsti dall’art.
47 I.f., autorizzando il proposto ad abitare l’immobile in sequestro, senza
corrispondere alcun corrispettivo all’Amministratore Giudiziario, una volta preso
atto dell’indisponibilità, da parte del soggetto interessato, di altri immobili di
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sensi dell’art. 2-ter e seguenti della legge n. 575 del 1965 – del pagamento di un

proprietà da destinare ad abitazione o di risorse economico-finanziare adeguate
a risolvere il problema abitativo. (requisito della “necessità” abitativa previsto dal
comma 2 art. 47 cit.).

6.Viceversa, qualora il proposto non si trovi in condizioni di emergenza abitativa,
in quanto disponga di redditi adeguati o di altri immobili di proprietà, dovrà
escludersi l’assimilabilità della sua situazione a quella del fallito e, dunque,
l’applicabilità dei provvedimenti di cui all’art. 47 L.F., con la conseguente

incrementare la redditività dei beni in sequestro (art. 35, co. 5, D.L.vo n.
159/2011), di imporre nei suoi confronti, per continuare ad abitare nel bene in
sequestro, un canone di locazione ovvero, se tale soluzione si ritenga
inopportuna per la incompatibilità della qualità del proposto con quella di un
ordinario fruitore del bene, una congrua indennità di occupazione, che abbia la
funzione di compensare medio tempore per la durata della indisponibilità del
bene il pregiudizio derivante dal suo mancato godimento (sull’indennità di
occupazione, vedi Cass. civile, sent. n. 13060/2008).

7.Tale soluzione interpretativa si appalesa coerente con la lettera, la ratio e
l’inquadramento sistematico della normativa esaminata e non suscita dubbi di
costituzionalità o di conformità ai principi comunitari e internazionali quanto alla
tutela del diritto all’abitazione, ormai annoverato, come ricordato anche dalla
citata decisione della Sezione II da cui si dissente, tra i diritti fondamentali
dell’uomo come consacrati nell’art. 2 Cost. (cfr. sentenze della Corte
Costituzionale. nri 217 e 404 del 1988, n. 209 del 2009 e n. 61 del 2011, nelle
quali si è, tra l’altro, affermato che “il diritto all’abitazione rientra tra i requisiti
essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto
dalla Costituzione”), nell’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo (approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre
1948) e nell’art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e
culturali (approvato il 16.12.1966 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e
ratificato dall’Italia il 15.9.1978).
Ed invero, attraverso tale interpretazione il diritto all’abitazione viene sempre ad
essere tutelato anche in favore del proposto per una misura di prevenzione,
purché dimostri che il bene in sequestro sia indispensabile ai fini di soddisfare le
esigenze abitative proprie e della propria famiglia (vedi, ancora, l’ art. 47 co. 2
L.F.: “La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di
lui e della sua famiglia…”), non altrimenti realizzabili.

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legittima possibilità, giustificata dal fine normativamente previsto di

Solo in tal caso egli potrà fruirà del suo diritto ad abitare senza dover
corrispondere alcun corrispettivo all’Amministratore Giudiziario; viceversa, nel
caso diverso in cui venga dimostrato, in base ad elementi di cui il Giudice
delegato alla procedura disponga, che il proposto possa addivenire a soluzioni
abitative alternative, anche attraverso l’impiego di proprie risorse economicofinanziarie, egli, se vorrà continuare ad abitare nell’immobile sottoposto a
sequestro fino alla confisca, potrà legittimamente essere onerato del pagamento

8.11 decreto impugnato è pertanto conforme, sul piano logico-interpretativo, ai
principi affermati da questo Collegio, laddove reputa in astratto legittima
l’imposizione di un’indennità di occupazione a carico del soggetto titolare del
bene in sequestro nel caso in cui non sia dato ravvisare i presupposti per
applicare i provvedimenti di favore previsti dall’art. 47 L.F..

9.Tuttavia il Tribunale di Palermo ha omesso di evidenziare gli elementi di
conoscenza relativi alle condizioni economiche del ricorrente in base ai quali ha
ritenuto in concreto legittima, congrua e non sproporzionata, l’indennità di
occupazione imposta ne~confronti, essendosi esso limitato ad accennare, in
via del tutto marginale, al fatto che il ricorrente godesse pur sempre di una
pensione.
E’ quindi da ritenere inadeguata sul punto la motivazione addotta dal
provvedimento impugnato, il quale va pertanto annullato, con rinvio per nuovo
esame sul punto allo stesso Tribunale di Palermo.

P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.
Così deciso il 19 novembre 2013.

di un canone di locazione o di un’indennità di occupazione.

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