Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9786 del 14/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9786 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IFRIM DORA ELENA N. IL 15/09/1962
avverso la sentenza n. 758/2006 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
04/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. …5~..±‹. 5 f.PA et
che ha concluso per J
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n.2r.

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 14/02/2014

ritenuto in fatto

1.

Con sentenza del 4.5.2011, la Corte d’appello de l’Aquila confermava la

sentenza emessa il 3.6.2005 dal locale Tribunale di condanna di IFRIM Dora Elena,
per il reato di cui all’art. 12 c. 3 e 3 bis lett. a) d.lgs. 286/1998 e per il reato di cui
all’art. 483 cod.pen , alla pena di anni tre di reclusione ed euro 55.000 di multa: era
stato accertato che la donna, unitamente a Paolucci Domenico, separatamente

obiettivo non altrimenti perseguibile, per decine e decine di persone di nazionalità
rumena che venivano dotate di documentazione di autorizzazione ad entrare nel nostro
paese a fini turistici , in epoca compresa tra il settembre 2002 ed il gennaio 2003. In
realtà i soggetti che entravano nel nostro Paese erano destinati a lavorare in nero,
presso aziende preventivamente reperite dal Paulucci; la Ifrim operava attraverso i
servizi dell’agenzia per il turismo “Alice Tour”, da lei gestita in Bacau. L’imputata
veniva poi dichiarata colpevole anche del reato di falso per aver riprodotto visti di
ingresso falsi per consentire a GAL Fiorentina di rientrare nella sanatoria. Il compendio
probatorio era costituito dall’esito delle intercettazioni telefoniche, dalle dichiarazioni
accusatorie del Paolucci, nonché dalla documentazione in atti (i fax che erano stati
spediti in e dalla Romania).
La Corte rilevava l’infondatezza delle questioni di nullità sollevate, evidenziando come
correttamente l’avviso all’imputata della pendenza di un processo in Italia fosse stato
dato prima del compimento degli att per cui necessitasse la presenza della difesa.
Quanto alla lamentata trascrizione tardiva delle conversazioni intercettate avvenuta
dopo l’escussione del testimoniale, la corte rilevava che il compendio non era costituito
dai verbali di trascrizione, ma dai flussi informativi raccolti nelle cassette agli atti, non
sussistendo alcuna norma che imponga il momento in cui debba intervenire la
trascrizione. Quanto all’inapplicabilità del d.lgs. 286/1998 ai cittadini rumeni, prima
dell’ingresso della Romania nell’Unione europea, veniva ricordato l’arresto delle
Sezioni Unite 27.9.2007. Si riteneva, per quanto riguarda le conversazioni
intercettate, che la difesa non avesse offerto letture alternative plausibili, laddove
emergeva un quadro in cui l’imputata risultava intermediaria nella collocazione di mano
d’opera, come del resto ebbe a confermare lo stesso Paolucci. Sul reato di falso la
Corte rilevava che non era accettabile la tesi sostenuta dall’imputata di essere stata
inconsapevole della falsificazione, visto che era agli atti un fax tra la Ifrim e Paolucci in
cui quest’ultimo chiedeva cosa si potesse fare e rappresentava la disponibilità al
pagamento.

2. Avverso detta decisione ha interposto ricorso per cassazione, pel tramite del
difensore, l’imputata per dedurre violazione di legge: essendo straniera residente
2

C

giudicato, aveva compiuto atti diretti a procurare l’ingresso a fini lavorativi in Italia,

all’estero, doveva esserle dato avviso della pendenza del procedimento. Il
provvedimento del gip che ebbe ad accogliere solo in parte l’eccezione di nullità sarebbe
abnorme, in quanto l’ufficio conosceva il luogo di residenza all’estero della Ifrim; a
seguito della chiusura indagini venne emesso un decreto di latitanza della stessa e la
sua cattura venne eseguita in Ungheria, in violazione del trattato tra Ungheria e
Romania, anzichè consegnare la donna alla Romania come sarebbe dovuto avvenire, fu
consegnata direttamente all’Italia. Veniva ribadito che la trascrizione delle conversazioni

vedeva anche sul contenuto di dette conversazioni (vien fatto esplicito riferimento al
teste ispettore De Angelis, che avrebbe confermato conversazioni che ancora non
erano disponibili e che fondarono il discorso giustificativo della sentenza). Viene poi
aggiunto che la corte avrebbe errato valutando le risultanze del dibattimento e le
risultanze istruttorie , non essendo stata acquisita alcuna prova sul dolo, risultando la
donna non essere mai venuta in Italia; non solo, ma la stessa non ebbe consapevolezza
dell’illecito, né vi sarebbe certezza che i soggetti di cui si parlava nelle intercettazioni
siano mai entrati in Italia, poiché non furono identificate.

Considerato in diritto.

Il ricorso è meramente ripetitivo di doglianze sulle quali è intervenuto adeguato
discorso giustificativo, con il che si colloca al di fuori dell’ambito di scrutinio delegato a
questa Corte.
Quanto all’omissione dell’avviso della pendenza del procedimento, la Corte ha
correttamente rilevato che l’applicazione dell’art. 169 cod.proc.pen. si rese necessaria
non appena vennero posti in essere atti che richiedevano l’intervento del difensore e
che in effetti, a partire dal momento in cui fu emesso l’avviso di conclusione delle
indagini, venne operata la notifica dell’invito alla dichiarazione/elezione di domicilio.
Il fatto che l’imputata venne arrestata in Ungheria, non dimostra affatto
l’illegittimità del decreto di latitanza , posto che come è stato affermato da questa
Corte, l’accertata assenza del ricercato del territorio dello Stato è, di per sé, circostanza
sufficiente per la dichiarazione della latitanza, che cessa soltanto con l’arresto e non
anche con la giuridica possibilità di eseguire notificazioni all’estero in base a indicazioni
circa il luogo di residenza del destinatario latitante ( Sez. I, 25.3.2010, n. 15410, rv
246751). Quanto alle questioni attinenti alla consegna dovevano essere fatte valere al
momento dell’estradizione.
Sulla tardiva messa a disposizione della trascrizione delle conversazioni
intercettate, correttamente è stato rilevato che non comporta alcuna nullità, tenuto
conto che la prova utilizzata era contenuta nelle cassette di registrazione messe
tempestivamente a disposizione della difesa; pertanto gli esiti delle intercettazioni non
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intercettate era stata consegnata dopo l’escussione del testimoniale, escussione che

potevano dirsi inutilizzabili solo perchè non ancora trascritte.

Non solo, ma la difesa

non ha indicato nel suo motivo di ricorso in concreto quale sia stata la limitazione dei
suoi diritti conseguita al lamentato ritardo, cosicchè il motivo è del tutto privo di
specificità.
Quanto alla consistenza delle accuse e soprattutto al profilo soggettivo del reato,
i giudici di merito non solo hanno richiamato il contenuto dei fax che intercorsero tra la
Ifrim e Paolucci (dato documentale), da cui emergeva il tipo di accordo esistente tra

Ifrinn operava come intermediaria per favorire l’ingresso di cittadini rumeni in Italia e
per la collocazione della mano d’opera, oltre che le stesse dichiarazioni confessorie del
Paolucci, elementi che costituivano un tessuto probatorio di indiscussa solidità.
Per quanto riguarda il reato di falsificazione, ancora l’intercettazione mostrava
come il Paolucci chiedesse proprio alla Ifrinn cosa si potesse fare per il caso della Gal,
rappresentando la disponibilità al pagamento , cosicchè la Ifrim inviò le pagine
fotocopiate del passaporto della menzionata con i timbri falsi.
Il fatto che non vi sia prova di effettivo ingresso di rumeni pel tramite
dell’attività della Ifrim non è affatto dirimente, poiché va ricordato che il delitto di cui
all’art. 12 d.lgs. 286/1998 consiste nel compiere atti diretti a procurare l’ingresso
illegale di una persona nello stato ha natura di pericolo ed è a consumazione anticipata,
con il che è irrilevante il conseguimento dello scopo (Sez. I, 16.6.2011, n. 27106, rv
250803).
Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che
pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art. 616 cod.proc.pen.
A fronte di motivi manifestamente infondati che precludono l’instaurarsi di un
corretto rapporto processuale avanti questa Corte (Sez. Un. 22.3.2005, n. 23428,
Bracale), non si fa luogo a dichiarazioni sull’intervenuto decorso della prescrizione
avuto riguardo al tempus commissi delicti del reato sub C).

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questi, ma ha valorizzato il contenuto dei colloqui intercettati da cui risultava che la

p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro mille a favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, addì 14 febbraio 2014.

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