Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9756 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9756 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

Data Udienza: 30/01/2014

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. Vincenzo De Vizia, nato a Montefusco il 25/07/1938
avverso l’ordinanza del 06/06/2013 del Tribunale di Latina
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio del
provvedimento impugnato e del decreto di sequestro;
uditi gli avv. Leone Zeppieri ed Alessandro Diddi per il ricorrente, che si sono
riportati al ricorso ed alla memoria depositata;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Latina, con ordinanza emessa il 06/06/2013, ha accolto
parzialmente il riesame proposto avverso il decreto di sequestro preventivo
pronunciato dal Gip di quell’ufficio, confermando l’efficacia del vincolo sulla minor
somma di C 1.290.510,99, acquisita con il sequestro delle azioni per pari valore,
di cui risulta possessore l’odierno ricorrente.
Il provvedimento era stato emesso nel corso del procedimento penale
instaurato, tra gli altri, nei confronti dell’odierno ricorrente, quale legale
rappresentante della società che aveva appaltato l’attività di raccolta e
smaltimento rifiuti nel comune di Ponza, in relazione ai reati di cui agli artt. 356
e 640 cpv cod. pen.
2. Ha proposto ricorso Vincenzo De Vizia, legale rappresentante della
società appaltatrice, deducendo con un primo motivo violazione di norma penale
e processuale e vizio di motivazione con riferimento all’intervenuta applicazione
del sequestro per equivalente, previsto dall’art. 322 ter cod. pen. in relazione al

è

delitto di truffa aggravata che risulta, in forza della contestazione, consumato in
epoca antecedente al vigore della disposizione contenuta nella I. 6 novembre
2012 n. 190, che ha esteso tale forma di provvedimento cautelare anche al
profitto del reato, quale deve necessariamente qualificarsi l’importo oggetto di
apprensione, profitto precedentemente escluso dalla disposizione, con violazione
dei principi costituzionali in materia.

del reato ipotizzato, limitato, secondo un’espressa opzione interpretativa del
Tribunale, dalla mancata contestazione della valenza indiziaria nel proposto
ricorso; in tal modo il Tribunale è venuto meno al doveroso controllo complessivo
rimesso al giudice del riesame, la cui cognizione, per il particolare tipo di
impugnazione, esula dallo stretto effetto devolutivo previsto in ordine agli
ulteriori rimedi processuali.
In senso contrario, richiamati gli elementi di fatto valutati dal Tribunale
sintomatici della sussistenza del reato, individuati nella non corretta esecuzione
degli obblighi contrattuali, ritenuta rientrante nella condotta di cui all’art. 356
cod. pen. si deduce che il delitto di truffa si è ritenuto integrato nella fase di
conclusione del contratto, nella parte in cui si è rappresentata la possibilità di
svolgimento di attività non adeguata ai mezzi a propria disposizione, e nella fase
esecutiva, mediante la simulazione della corretta esecuzione dell’attività
convenuta, e si lamenta che sia mancata in argomento ogni valutazione della
idoneità di tale condotta ad indurre in errore l’ente pubblico. Si contesta che sia
stata posta a base della valutazione degli artifici e raggiri il contenuto della
relazione giustificativa dell’offerta economica, finalizzata esclusivamente al
controllo rimesso all’apposita commissione valutatrice della congruità dell’offerta
e nella quale il partecipante alla gara non ha alcun interesse a sovrastimare i
costi. Conseguentemente, la relazione non contiene l’assunzione di obblighi
contrattuali, circostanza che ne esclude la valutazione quale parametro
dell’attività illecita contestata.
Richiamata la circostanza che l’essenza dell’illiceità dell’azione contestata
riguarderebbe la pretesa disorganizzazione del servizio, conseguente alla carente
predisposizione di mezzi idonei a svolgerlo secondo gli accordi, e contrastato in
fatto l’assunto, si osserva in diritto l’estraneità del ricorrente alla materiale
esecuzione dell’attività, per la sua qualità di legale rappresentante della società
appaltante, il cui intervento personale era circoscritto alla sottoscrizione
dell’istanza di concessione del decreto ingiuntivo in danno del comune per i debiti
non onorati, attività a cui non è possibile ricondurre il dolo del reato.

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3. Si deducono i medesimi vizi con riferimento alla valutazione del fumus

Si lamenta inoltre la mancata considerazione dell’impossibilità di
configurare la truffa nelle modalità contestate, essendo configurato il concorso
con il terzo dei funzionari del comune che avrebbero dovuto, secondo l’accusa,
essere indotti in errore.
4. Si deduce inoltre violazione di legge penale e processuale e vizio di
motivazione con riguardo all’omessa esclusione, dalla somma di cui si è disposto
il sequestro per equivalente, della parte relativa al vantaggio conseguito dalla

servizio, oltre che in riferimento

P.A. dall’esecuzione dell’attività e dei costi sopportati dall’azienda per garantire il
alla conseguente omessa verifica della

pertinenza del bene sottratto rispetto ai reati contestati.
Si lamenta inoltre l’avvenuto sequestro delle azioni del socio, senza un
previo accertamento della capienza del patrimonio della società, verifica che
doveva precedere l’aggressione del patrimonio azionario del singolo socio.
5.

Ha proposto autonomo ricorso il difensore deducendo violazione

dell’art. 111 Cost. per l’intervenuta emissione di una misura diversa da quella
richiesta dal P.m., smentendo la bontà della ricostruzione del Tribunale sul
punto, che aveva ritenuto implicita la richiesta di sequestro per equivalente
nell’istanza dell’accusa; in senso contrario depone il testo della richiesta, fondato
sull’assunto che il patrimonio dell’ente, ove nel possesso dell’indagato, possa
aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolarne la commissione di
altri, senza alcun richiamo ad un rapporto di equivalenza.
6. Con il secondo motivo la difesa deduce erronea applicazione della legge
penale con riferimento ai reati ipotizzati, i quali entrambi prevedono la
realizzazione di un inganno, nella specie incompatibile con il previsto concorso
nel reato dei pubblici funzionari; l’identità della struttura delle due imputazioni
imponeva, secondo il ricorrente, assorbimento di una fattispecie nell’altra,
dovendo ritenersi il concorso formale dei reati.
7.

Si lamenta da ultimo l’omesso scomputo dei costi dall’importo

individuato come equivalente.
8. Con memoria depositata nei termini i nuovi difensori del ricorrente
argomentavano i rilievi già formulati relativi al vizio di extrapetizione,
all’intervenuta applicazione al caso di specie di norma entrata in vigore
successivamente, alla mancata deduzione dei costi dal profitto, come
quantificato nel provvedimento, evidenziata dalla circostanza che il Tribunale,
pur astrattamente dichiarando di volersi attenere a tale principio, di fatto ha
quantificato il permanere del provvedimento su un importo pari a quanto
percepito dalla società a seguito dello svolgimento del servizio; sulla mancata
motivazione in ordine al

fumus

del delitto di truffa contestato, la cui
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t

consumazione doveva essere esclusa dalla previsione di un accordo tra i soggetti
agenti dei pretesi soggetti passivi del reato; sull’erronea individuazione delle
obbligazioni cui la spa De Vizia doveva ritenersi vincolata in forza degli atti
giustificativi, che non sono finalizzati a fissare la controprestazione alla quale la
società si vincola; sulla mancata individuazione dell’elemento psicologico del
reato ipotizzato, attribuito all’interessato solo in forza della posizione di garanzia

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è fondato, con riferimento alla deduzione della nullità

conseguente alla mancanza di una specifica richiesta del P.m. del provvedimento
emesso, accertamento che, in ordine logico, precede l’esame degli ulteriori
profili, assorbendoli.
2. Risulta ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo sez. VI,
Sentenza n. 2658 del 20 dicembre 2013 – depositata il 21 gennaio 2014) che il
procedimento di applicazione delle misure cautelari, reali e personali, postula la
presenza dello specifico atto propulsivo del p.m. attraverso il quale egli chiede al
giudice l’emissione della misura, nella sua qualità di titolare dell’azione penale.
La ricostruzione del giudizio penale quale giudizio di parti, sulla base del
quale è fondata l’intera architettura del codice di rito, conforme ai principi di cui
all’art. 111 Cost., impone che il giudicante sia privo di poteri autonomi,
incompatibili con il suo ruolo di terzietà, che deve essere esercitato entro i
confini del devoluto.
Naturale conseguenza di tale presupposto interpretativo è che non possa del
pari riconoscersi al giudice alcun potere di variazione della domanda, oggetto
della richiesta, correlandosi inevitabilmente a tale possibilità un’iniziativa di
ufficio, rientrante nel divieto richiamato.
Alla violazione di tali principi consegue, in caso di mancanza della richiesta
del P.m., la nullità del provvedimento cautelare, personale o reale disposto, ai
sensi dell’art. 178 lett b) cod. proc. pen.
Venendo al caso di specie si deve osservare che il Gip, in sede di
applicazione della misura, ed il Tribunale del riesame che ha respinto
l’impugnazione fondata sull’eccezione di ultrapetizione, hanno ritenuto di poter
superare tale obiezione, riconducendo alla volontà concreta del richiedente la
sollecitazione all’emissione di un provvedimento di sequestro a fini di confisca
per equivalente, desumendo tale volontà dalla circostanza di fatto che, in senso
logico, la quantificazione del valore da sottoporre a sequestro non sarebbe

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rivestita, con mancata motivazione di tale ultimo profilo.

giustificata, se non in correlazione ad una individuazione dell’oggetto equivalente
al profitto ritratto dall’azione illecita.
In realtà tale interpretazione si scontra con le modalità di espressione
dell’istanza formulata, ove il P.m. aveva giustificato l’emissione del
provvedimento sollecitato, oltre che con un richiamo formale al solo art. 321
comma 1 cod. proc. pen., con un riferimento sostanziale alla necessità di evitare

protrarre le conseguenze del reato …, nonché … agevolare la commissione di altri
reati, mediante l’utilizzo di società cartiere o comunque al servizio dei prevenuti
mediante perpetrazione di truffe a danni dello Stato e frodi in pubbliche
forniture”.
A fronte di tale specifica delimitazione, l’interpretazione resa sul punto dal
Gip, ed avallata dal Tribunale del riesame, non appare fondata, risultando
contraddetta non solo dal richiamo normativo, ma anche dall’argomentazione
giustificativa appena riportata, oltre che dall’assenza di qualsivoglia riferimento
più esplicito, espresso anche in via subordinata, alla possibilità di confisca dei
beni per equivalente.
Deve pertanto escludersi la ritualità del sequestro disposto, non potendo
ricondursi la richiesta del P.m., formulata con esclusivo riferimento alla
possibilità che i beni di cui si chiedeva la limitazione di disponibilità consentisse
la protrazione degli effetti del reato, estendersi alla finalità di esecuzione della
confisca per equivalente, non deducibile in via interpretativa, per il contrasto di
tale conclusione con l’assunto testualmente posto a fondamento dell’istanza.

3.

Conseguentemente deve disporsi l’annullamento senza rinvio

dell’ordinanza impugnata e del provvedimento di sequestro, e la restituzione dei
beni sottoposti a vincolo.
La Cancelleria è tenuta agli adempimenti di cui all’art. 626 cod. roc. pen.

P.Q. M .
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché quella emessa dal Gip
del Tribunale di Latina in data 9/5/2013 ed ordina la restituzione dei beni
sequestrati.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
Così deciso il 30/01/2014.

che le partecipazioni di cui si chiedeva il sequestro potessero “aggravare o

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