Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 975 del 21/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 975 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
1. CAMPAGNA ANTONINO N. IL 05.05.1958
2. AMANTE ROBERTO N. IL 14.02.1975
3. AMANTE ROSARIO N. 17.05.1964
Avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI MESSINA del 11/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, viste le
conclusioni del PG in persona del dott. Roberto Aniello che ha chiesto il rigetto dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 11 luglio 2012 la Corte d’appello di Messina, in parziale
riforma della sentenza emessa in data 6 dicembre 2005 dal Tribunale di
Messina, appellata da Amante Pietro, Amante Rosario, Amante Roberto,
Campagna Antonino, Stracuzzi Antonino, Aliotta Ada, Mercurio Giuseppe e
Rizzo Domenica, dichiarava non doversi procedere perché estinti i reati
rispettivamente ascritti nei confronti di Amante Pietro per morte dell’imputato
e nei confronti di Stracuzzi Antonino, Aliotta Ada, Mercurio Giuseppe e Rizzo
Domenica per intervenuta prescrizione, confermando la gravata sentenza
quanto ad Amante Rosario, Amante Roberto e Campagna Antonino.
Questi erano stati tratti a giudizio e condannati alla pena di giustiziai -40 delitto
previsto e punito dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, per essersi associati fra
loro al fine di commettere delitti di spaccio di droga, nonché per plurimi
episodi ex art. 73 stesso d.P.R.
Avverso tale decisione proponevano ricorso:
2.
2.1 Amante Rosario ed Amante Roberto a mezzo dell’avvocato Antonio
Strangi, deducendo la violazione della legge penale e la carenza di motivazione ai
sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) in relazione alla sussistenza della
fattispecie associativa di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990; la violazione della

Data Udienza: 21/05/2013

CONSIDERATO IN DIRITTO
4.

I ricorsi sono infondati.
I ricorrenti hanno infatti sostanzialmente riproposto in questa sede di legittimità le
medesime doglianze già prospettate al giudice d’appello e da quest’ultimo
confutate con argomentazioni ampie, logiche e diffuse, alle quali non risultano
contrapposte apprezzabili repliche motive, ma la reiterazione delle stesse tesi in
fatto ed in diritto. Tanto premesso in linea generale, va ribadito che,
contrariamente a quanto comunemente sostenuto da tutti i ricorrenti, la Corte
distrettuale ha correttamente evidenziato gli elementi sulla scorta dei quali è
pepyeyputa ad affermare l’esistenza del vincolo associativo e a confermare sul
púrito12″primo grado, richiamando in particolare le conversazioni telefoniche
intercettate e la frequenza ed intensità dei rapporti fra i coimputati. Del resto di
entrambe le ricostruzioni fattuali compiute dai giudici di merito i ricorrenti
propongono una lettura alternativa, atta a diversamente interpretare i contatti
telefonici e le condotte poste in essere. Le contestazioni mosse alla sentenza
impugnata si risolvono in censure concernenti sostanzialmente apprezzamenti di
merito, che tendono ad una diversa valutazione delle risultanze processuali. In
proposito, va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte anche a
Sezioni Unite (v. Cass. S.U. 24- 11-1999-Spina-; 31-5-2000- Jakani-; 24-9-2003
– Petrella-), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura dei dati
di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via
esclusiva al Giudice del merito, nonché dell’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
In particolare, con riferimento alla specifica questione che rileva nel caso che ci
occupa, questa Corte ha affermato: “in materia di intercettazioni telefoniche,
l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce
questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al
sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della
logica e delle massime di esperienza” (Sez. 6, Sentenza n. 15396 del
11/12/2007).
D’altro canto i giudici di merito (di primo e secondo grado) hanno fornito una
corretta ricomposizione del fatto, fondata su un’adeguata acquisizione ed
interpretazione degli elementi probatori disponibili ed un’esaustiva analisi
complessiva di essi sulla base di canoni logici e coerenti.
5. Passando alle restanti censure, osserva la Corte: Amante Rosario sostiene quanto
ai contestati episodi di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 che non vi sarebbero
elementi circa la destinazione a terzi della sostanza stupefacente. Il motivo era
stato avanzato genericamente in sede di gravame a fronte della compiuta
motivazione della sentenza di I grado, che aveva all’uopo analizzato le numerose
conversazioni telefoniche da cui emergeva il coinvolgimento dell’imputato nel
traffico della sostanza stupefacente. La corte territoriale ha richiamato a riguardo
la decisione del Tribunale. Come è noto nel caso in cui le sentenze di primo e
secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova
posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della
sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico

legge penale e la carenza di motivazione in
relazione alla sussistenza del
contestato episodio (relativamente alla sola posizione di Amante Rosario) di cui
all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990; la violazione di legge e la carenza di motivazione
con riferimento alla mancata applicazione del comma 5 dell’art. 73:
2.2 Campagna Antonino a mezzo dell’avvocato Massimo Marchese
deducendo
la violazione di legge e la motivazione illogica e contraddittoria in relazione agli
artt. 110 c.p. e 192 c.p.p.;
2.3 Amante Roberto a mezzo dell’avvocato Salvatore Silvestro deducendo la
illogicità e contraddittorietà della motivazione e la violazione dell’art. 192 c.p.p. in
relazione all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990; la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e)
c.p.p. avuto riguardo alla omessa concessione della speciale attenuante di cui
all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali..
Così deciso nella camera di consiglio del 21 maggio 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENT

complessivo corpo argomentativo (cfr. da ultimo Cass. n. 13926/2011; Sez. 4, n.
15227 dell’11/4/2008, Baratti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003,
Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i
giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante
con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior
ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si
siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite
nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n.
10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).
Infondato è anche il motivo relativo alla negazione dell’attenuante di cui al 5
comma dell’art. 73 D.p.r. n. 309/1990, la Corte ha fatto corretta applicazione
della normativa di settore, come costantemente interpretata dalla Corte di
legittimità: in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del
diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a
complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli
concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che
attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo, conseguentemente,
escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi
elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve
entità”.
6. Per le ragioni esposte i ricorsi vanno rigettati, con condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

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