Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9746 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9746 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRI NUNZIO N. IL 25/03/1960
avverso l’ordinanza n. 38/2013 TRIB. LIBERTA’ di PESCARA, del
05/08/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
4ct,te/sentite le conclusioni del PG Dott. g..,Q 1SECIT -0
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 28/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5 agosto 2013 il Tribunale di Pescara ha rigettato l’appello proposto da
Nunzio Ferri avverso il decreto emesso in data 10 luglio 2013 dal G.i.p. presso il Tribunale di Pescara,
che rigettava l’istanza di revoca del sequestro preventivo nei suoi confronti precedentemente disposto

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del
Ferri, deducendo: a) che l’estensore del provvedimento impugnato aveva già fatto parte di un Collegio
che aveva respinto un precedente ricorso con provvedimento del 28 maggio 2013, con conseguente
nullità dell’ordinanza; b) che il Tribunale non ha tenuto conto delle argomentazioni svolte dalla difesa
sull’esistenza della fattispecie incriminatrice, omettendo sia di considerare una serie di documenti idonei
a rivalutare il quadro accusatorio in senso favorevole all’indagato, sia di esaminare compiutamente
l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro; c) che è pertanto incorso in una serie di
omissioni ed illogicità manifeste, in considerazione del fatto che ai primi di marzo del 2012 fu lo stesso
legale del Ferri a consigliargli di privarsi dei beni per evitarne il possibile pignoramento in conseguenza
dell’esito negativo di una causa di lavoro promossa contro di lui da una ex dipendente, e che il terreno
agricolo intestato alla sua convivente, imprenditrice agricola, non venne mai rimesso in vendita a terzi;
d) che, inoltre, la cessione di un immobile a Pescara (prima intestato al padre del Ferri, poi ceduto ad un
terzo) non era affatto simulata, ma genuina ed immune da sospetti sia per le modalità di esecuzione che
per quelle inerenti al suo pagamento, siccome avvenuto ad un prezzo del tutto aderente al valore
effettivo dell’immobile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Aspecifica e, in ogni caso, improponibile per la prima volta in questa Sede, deve ritenersi la
doglianza difensiva su riportata nel par. 2, lett. a), avuto riguardo ai termini espressamente previsti
dall’art. 38 del codice di rito ed alla regula iutis al riguardo dettata da questa Suprema Corte, secondo cui
l’atto del giudice, prima del compimento del quale la dichiarazione di ricusazione deve essere formulata
ex art. 38 cod. proc. pen., va individuato, nel caso di procedimento camerale, in qualunque
adempimento attraverso il quale, per la prima volta, si concreti il contraddittorio tra le parti. Ne
consegue che la dichiarazione di ricusazione può essere presentata fino alla conclusione degli
accertamenti relativi alla costituzione delle parti. (Sez. 1, n. 9801 del 01/02/2008, dep. 04/03/2008, Rv.
239179).

1

con decreto del 14 settembre 2012 per il reato di cui all’art. 388 c.p. .

4. Per quel che attiene alle ulteriori doglianze, il ricorso, così come articolato, deve ritenersi
inammissibile, in quanto volto non, propriamente, a censurare vizi di violazione di legge a norma
dell’art. 325, comma 1, c.p.p., bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative
compiutamente giustificate dall’impugnata decisione, il cui assetto motivazionale, di contro, ha
sviluppato un’adeguata disamina della base storico-fattuale oggetto della contestazione formulata in
sede cautelare, traendone le conseguenze logicamente coerenti con il quadro complessivo delle

Dalle sequenze motivazionali dell’impugnata ordinanza, infatti, emerge con chiarezza come il
Tribunale abbia, con esaustiva e lineare esposizione logico-argomentativa, ampiamente illustrato le
ragioni per cui tutti i molteplici atti dismissivi del patrimonio posti in essere dall’indagato all’indomani
della pubblicazione della sentenza emessa nel giudizio di lavoro di primo grado che lo ha visto
soccombente nei confronti della controparte potessero essere considerati, allo stato, funzionali alla
creazione di una fittizia indisponibilità del patrimonio in danno dei propri creditori, ossia a sottrarre
taluni beni immobili alla garanzia dei soggetti che, proprio in forza di quella pronuncia, erano divenuti
suoi creditori (segnatamente, la controparte vittoriosa, nonché il difensore dell’indagato per l’attività
prestata in suo favore in quel giudizio), e dunque idonei, in ragione delle fittizie modalità di
trasferimento ivi specificamente indicate con riguardo a ciascuna delle operazioni di vendita del 7
marzo e del 27 giugno 2012, ad esser sussunti nello schema descrittivo della fattispecie di dolosa
sottrazione all’adempimento degli obblighi di cui all’art. 388 c.p. in contestazione.

5. Invero, deve qui ribadirsi, sulla base delle linee interpretative tracciate dal costante insegnamento
giurisprudenziale in questa Sede elaborato (Sez. 5, n. 5532 del 25/06/2010, dep. 01/10/2010, Rv.
248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, dep. 20/02/2009, Rv. 242916; Sez. 5, n. 8434 del 11/01/2007,
dep. 28/02/2007, Rv. 236255, nonché, da ultimo, Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, dep. 21/02/2012,
Rv. 252430), il principio secondo cui, in tema di riesame delle misure cautelati reali, costituisce vizio di
violazione di legge legittimante il ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma primo, cod. proc.
pen., soltanto la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente
apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali (nel caso di specie, come si
è rilevato, fedelmente rispettate), ma non certo i profili inerenti a lamentate anomalie, incongruenze o
illogicità motivazionali, che possono ritualmente denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo
specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen..

6. Il ricorso è dunque inammissibile ed il ricorrente, a norma dell’art. 616 c.p.p., va condannato al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento di una somma, che si ritiene equo

2

risultanze offerte dalle attività d’indagine valutabili all’atto della pronuncia.

determinare, in ragione delle questioni dedotte, nella misura di euro 1.000,00, in favore della Cassa delle
ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della

Così deciso in Roma, lì, 28 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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