Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9744 del 14/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9744 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MAZZARELLI RAIMONDO n. 11/2/1953
avverso l’ordinanza n. 2692/2013 del 15/4/2013 del TRIBUNALE DEL
RIESAME DI NAPOLI
visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GABRIELE MAZZOTTA che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Il Tribunale del Riesame di Napoli con ordinanza del 15 aprile 2013
confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta dal gip del
Tribunale di Benevento nei confronti di Mazzarelli Raimondo limitatamente ai
capi di imputazione 1, 11 e 17.
Con il capo 1) si contestava il reato di cui all’art. 319 quater cod. pen.
perché Mazzarelli, quale sindaco del comune di Casalduni ed in concorso con il
dirigente amministrativo dell’ente, aveva indotto Mazzeo Osvaldo, in occasione
della stipula di un contratto di locazione di un immobile comunale, da utilizzare
per la gestione di una casa per anziani, ad assumere personale da lui segnalato e
che avrebbe potuto sostenerlo nella campagna elettorale. Il fatto, secondo il
Tribunale, risultava dimostrato dalle dichiarazioni di Mazzeo Osvaldo che aveva

Data Udienza: 14/01/2014

ammesso di avere assunto, in violazione della convenzione stipulata con il
Comune, le persone indicate in un elenco consegnatogli dal responsabile
amministrativo del Comune senza neppure richiedere che avessero la qualifica di
operatori sociosanitari; tali dichiarazioni erano ritenute integrate e riscontrate da
una conversazione intercettata in cui il sindaco riferiva di aver sistemato “tutti i
cittadini di Casalduni”, sia al Comune che presso la casa per anziani. Il Mazzeo
aveva precisato di non essere stato espressamente minacciato ma di aver
compreso che, onde evitare problemi successivi, era necessario che si adeguasse

Con il capo 11) si contestava il reato di cui all’art. 640 bis cod. pen. in
quanto il ricorrente, nella qualità di sindaco e di dirigente dell’area tecnica
manutentiva, in concorso con il responsabile del procedimento dell’appalto di
lavori pubblici per la manutenzione di strade comunali nonchè con il tecnico
comunale, progettista e direttore dei lavori, aveva contabilizzato tra le opere
svolte un muro in cemento armato che, invece, era già esistente, consentendo
così la liquidazione in favore dell’impresa della somma non dovuta di euro
11.800. Il fatto risultava dimostrato dalle dichiarazioni del tecnico comunale
D’Aloia Mario che riferiva che era stato contabilizzato un muro di 25 m, già
esistente come ha dimostrato anche una successiva consulenza, mentre la
specifica responsabilità del sindaco emergeva dalla circostanza che, anche se
questi in quanto responsabile dell’area tecnica manutentiva aveva conoscenza
dello stato dei luoghi, aveva liquidato un acconto di C 65.000 oltre Iva sul
presupposto di realizzazione dell’80°/0 delle opere pur se non era stata
presentata la contabilità relativa all’esecuzione di lavori sino a quella data.
Con il capo 17) si contestavano varie ipotesi di falso ex art. 479 cod. pen.
per ripetute false attestazioni in atti pubblici, in particolare delibere della giunta
comunale. I fatti erano stati accertati in quanto in più occasioni in base ai
verbali risultavano presenti alle delibere di giunta componenti che, invece, erano
sicuramente assenti, così venendo anche adottate decisioni in assenza del
numero legale. In base al contenuto di conversazioni telefoniche risultava che il
sindaco era chiaramente consapevole di tali irregolarità.
Il Tribunale confermava la sussistenza di rilevanti esigenze cautelari in
particolare quanto al rischio di recidiva.
I difensori dell’indagato hanno presentato due separati ricorsi avverso tale
ordinanza.
Ricorso dell’avvocato Guarino
Con il primo ed il secondo motivo deduce la violazione di legge in riferimento
alla inosservanza del termine di scadenza delle indagini preliminari, alla
inosservanza dell’art. 406 n. 3 cod. proc. pen. non essendo stata notificata
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alle richieste che gli venivano rivolte.

all’indagato la richiesta di proroga delle indagini preliminari derivandone la
consequenziale inutilizzabilità degli atti di indagine successivi alla prima
scadenza del termine.
In particolare osserva che, sulla scorta della informativa 5/2/2010 dei
Carabinieri, il pubblico ministero di Benevento iscriveva nel registro notizie reato
Mazzarelli Raimondo. Alle successive scadenze del termine delle indagini, il
1/10/2010 ed il 28/3/2011, il pubblico ministero formulava però la richiesta di
proroga del termine nei confronti di “persona da identificare” e, coerentemente,

proroga veniva richiesta con specifica indicazione degli iscritti nel registro notizie
di reato.
Rileva che, quindi, non sono utilizzabili ai fini della misura cautelare gli atti
compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini decorrente dal 18/2/2010,
atti che indica con precisione: quanto al capo 1, le dichiarazioni di Mazzeo
Osvaldo del 13/1/2012 e le conversazioni ambientali del 17/1/2012; quanto al
capo 11, le dichiarazioni di D’Aloia Mario del 6/9/2011 e di Tore De Cicco del
15/9/2011 e la consulenza depositata il 6/10/2012; quanto al capo 17 la
medesima consulenza del 6/10/2012 e l’intercettazione del 17/11/2011.
Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in riferimento all’art. 291
n.1 cod. proc. pen. in relazione alla richiesta di misura cautelare per capi di
imputazione per la quale non vi era stata iscrizione con conseguente nullità della
ordinanza di custodia.
Rileva il ricorrente che nel fascicolo vi è anche una iscrizione del 27/9/2011
nei confronti del Mazzarelli per i reati di cui artt. 416, 319, 479, 353 codice
penale ed una ulteriore iscrizione del 22/12/2012 per i reati di cui agli articoli
323 e 640 codice penale. Osserva quindi che “se si ritiene che la scheda
riguardante la iscrizione delle notizie di reato concernente il dr. Mazzarelli non
sia stata redatta nel febbraio del 2010 ma in epoca successiva, possono essere
superate tutte le precedenti obiezioni relative alla inutilizzabilità di atti compiuti
dopo la scadenza dei termini delle indagini”. Quindi, in via “alternativa” alla
deduzione della scadenza dei termini per mancata legittima proroga, rileva che
nelle due successive iscrizioni, che potrebbero essere quelle cui sono riferiti i fatti
contestati con la ordinanza di custodia, non sono indicati tutti i reati per i quali è
stata ritenuta la gravità degli indizi. Ne conseguirebbe la nullità della richiesta di
misura cautelare in quanto emessa nei confronti di un soggetto non ancora
indagato per i dati reati.
Ricorso dell’avv. Del Basso De Caro:
Con primo motivo, in relazione al capo i. della contestazione, deduce la
violazione di legge in relazione all’art. 319 quater cod. pen. Rileva che il
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il gip non disponeva notifica di tale richiesta al Mazzarelli. Solo il 29/2/2012 la

Tribunale ha ritenuto sussistere tale ipotesi di reato ancorché la persona offesa
non abbia giammai riferito di condotte tenute dal Mazzarelli, non avendolo
affatto incontrato per la vicenda in contestazione. Svolge un esame delle prove
ritenute a carico del ricorrente per trarne la conclusione che non vi è stata
alcuna condotta di indebita pressione da parte sua e che, quindi, l’illecito in
contestazione non è stato ritenuto corrispondere ad una specifica condotta del
pubblico ufficiale bensì ad una particolare sensazione della persona offesa.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione

lavori comprendenti un muro già esistente, aveva unicamente proceduto alla
liquidazione di un acconto in favore dell’impresa non avendo, invece, alcun
obbligo di verifica dell’effettivo svolgimento dei lavori.
Con terzo motivo deduce la violazione legge ed il vizio di motivazione in
relazione al capo 17 osservando la erroneità delle valutazioni del Tribunale,
basate sulla lettura parziale e non completa della conversazione telefonica delle
ore 15:23 del 17/10/2011 tra Mazzarelli e il segretario comunale, laddove, dalla
stessa conversazione, si comprendeva che il segretario comunale non era stato
affatto assente in occasione della adozione delle delibere ritenute false bensì
presente in un momento successivo.
Rileva, comunque, che si tratta di un falso innocuo atteso che le delibere
adottate erano effettivamente espressione della volontà dell’organo collegiale,
non risultando ideologicamente falso quanto in esse rappresentato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Il ricorso dell’avv. Guarino è privo dei necessari caratteri di specificità.
Formula, difatti, motivi tra loro assolutamente contraddittori nelle premesse
fattuali. Utilizza il dato della esistenza di una pluralità di iscrizioni di notizie di
reato per poi formulare ipotesi alternative su quali siano le iscrizioni cui fanno
riferimento i fatti contestati con la misura cautelare.
Il primo ed il secondo motivo affermano che le iscrizioni di reato rilevanti
sono quelle del 2010 nei confronti di “persone da identificare”, ma, in modo del
tutto opposto, con il terzo motivo si afferma l’ipotesi alternativa che i fatti
contestati corrispondano invece all’iscrizione, stavolta nominativa, nei confronti
del ricorrente, del 27 settembre 2011. Tenuto anche conto che non è questione
che risulta posta al Tribunale del Riesame, la difesa chiede che sia questa Corte
a valutare gli atti per comprendere quali siano le iscrizioni di riferimento. Ma non
è attività “esplorativa” di competenza del giudice di legittimità e, comunque, si
tratterebbe di motivo generico per la sua “perplessità”.

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in relazione al capo 11. Rileva che il Mazzarelli, nella vicenda del pagamento di

Peraltro, dalla stessa lettura complessiva del ricorso si comprende che
l’odierna misura cautelare fa riferimento ai fatti relativi di cui alla iscrizione nei
confronti del ricorrente del 27 settembre 2011. Quindi il primo ed il secondo
motivo sono comunque del tutto irrilevanti rispetto alla odierna vicenda
processuale riguardando altri reati.
Residua da valutare, del terzo motivo, la contestazione in ordine all’esser
stata richiesta la misura cautelare anche per due reati per i quali non vi era
iscrizione (artt. 640 bis e 319 quater cod. pen.). Per quanto riguarda il secondo

contestazione di cui all’art. 319 cod. pen. , è stata contestata la medesima
condotta con la diversa qualifica conseguente alla modifica normativa
intervenuta dopo la iscrizione (L. 190/2012 secondo la quale parte delle condotte
già rientranti nell’art. 319 cod. pen. sono oggi disciplinate dall’art. 319 quater
cod. pen. che prevede una pena inferiore ed è in continuità normativa con la
vecchia disposizione).
Quanto al diverso reato cui è riferibile la residua doglianza, invero non vi è
una disposizione – né la invoca il ricorrente – che imponga che la misura
cautelare venga richiesta solo per reati per i quali vi sia specifica iscrizione;
anzitutto si tratta evidentemente dei medesimi fatti e la questione riguarda solo
la loro attuale qualifica giuridica, condizionata dallo sviluppo delle indagini.
Difatti nulla impedisce che la gravità degli indizi non corrisponda pienamente
a ciò per cui vi è notizia di reato – ad es. è ben possibile che, a fronte di una
iscrizione per rapina, venga richiesta e/o disposta la misura cautelare per furto
essendo solo rispetto a tali fatti acquisito un grave quadro indiziario, così come
ad una iscrizione per corruzione, sulla scorta di notizia di reato qualificata,
corrisponda una misura per il reato dì abuso di ufficio in ragione dell’ambito in
cui si è raggiunta la soglia di gravità degli indizi. Anche gli argomenti di cui al
terzo motivo sono, quindi, manifestamente infondati.
Quanto al secondo ricorso, tutti i motivi sono chiaramente inammissibili
perché fondati essenzialmente sul diverso apprezzamento del contenuto delle
prove, non risultando indicata, invece, né alcuna specifica carenza per punti della
motivazione che siano essenziali ai fini della dimostrazione della responsabilità,
né rilevanti vizi logici. La limitata notazione in diritto, secondo la quale il falso
ideologico nella attestazione dei soggetti presenti ad una deliberazione non
ricorre se la delibera ha in sè un contenuto conforme sostanzialmente alla
volontà dell’organo collegiale, è interpretazione che non trova conferma nelle
norme in materia di falso.
Valutate le ragioni della inammissibilità, la sanzione pecuniaria deve essere
determinata nella misura di cui in dispositivo.
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reato, la ovvia risposta alla doglianza della parte è che, rispetto ad una originaria

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
i deci J nella camera di consiglio del 14 gennaio 2014

Ro

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