Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 974 del 21/05/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 974 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
1. D’ERRICO GIACOMO N. IL 13.07.1949
2. COMPAGNONE STANISLAO N. IL 27.06.1960
Avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI del 03/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, viste le
conclusioni del PG in persona del dott. Roberto Aniello che ha chiesto l’annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione; conferma delle
statuizioni civili; per la parte civile è presente il difensore di fiducia avvocato Francesco
Capasso anche in sostituzione dell’avvocato Carmine Ucciero che deposita nota spese e
conclusioni cui si riporta; per Compagnone è presente l’avvocato Giuseppe Toraldo che
chiede l’accoglimento del ricorso; per D’Errico l’avvocato Luigi Ferrante che si associa alle
richieste del P.G.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 3 aprile 2012 la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza
del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola appellata da Compagnone Stanislao e
D’Errico Giacomo nonché dalle costituite parti civili. Questi erano stati tratti a giudizio per
rispondere nelle rispettive qualità il D’Errico quale capo cantiere ed il Compagnone quale
tecnico di cantiere, del reato p. e p. dall’art. 5, comma 1 e art. 21 comma 2 lett. A) per
non aver assicurato tramite opportune azioni di coordinamento l’applicazione delle
disposizioni contenute nei piani di sicurezza e delle relative procedure di lavoro nel periodo
dal 26 luglio 2000, data di conferimento dell’incarico al 4 aprile 2003, in particolare non
verificando l’idoneità del piano operativo di sicurezza quale piano complementare e di
dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento, nonché del delitto previsto e punito dagli
artt. 113 e 589 c.p. per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché
nell’inosservanza della normativa antinfortunistica di cui agli artt. 10 d.P.R. 547/1955, 68
d.P.R. 163/1956 e 5 comm1, 6 comma 2 e 11 D.Igs.vo n. 404/1996 ed in particolare non

Data Udienza: 21/05/2013

CONSIDERATO IN DIRMO
3. Va premesso che il reato ascritto agli imputati non è prescritto (come richiesto dal
P.G. ed in via subordinata dalla difesa del D’Errico).
Ed invero pur risalendo i fatti al 21 febbraio 2002, trattandosi di reato di omicidio
colposo aggravato dalla violazione di norme sulla prevenzione infortuni, il termine
massimo di prescrizione è da individuarsi, essendo state concesse le attenuanti
generiche solo equivalenti alla contestata aggravante, in quindici anni sia in base
alla disciplina della prescrizione precedente la novella intervenuta con la c.d. legge
ex Cirielli sia in base alla disciplina attualmente vigente, termine comunque non
decorso.
4. Il fatto è stato così ricostruito dai giudici di merito : il 21 febbraio 2002 il
D’Ambrosio, operaio della Edil Atellana S.r.l., società che stava eseguendo i lavori
presso l’ospedale San Giovanni di Dio su mandato della ASL Napoli 3, decedeva a
seguito di una caduta dal lucernaio posto sul lastrico del primo livello del
nosocomio, in quel momento privo di qualsiasi copertura. La settimana precedente
sul luogo del sinistro erano stati eseguiti dei lavori consistiti nella realizzazione
del masso di pendenza di lapilllo e cemento sul terrazzo, nonché di un cordonetto
perimetrale intorno hie due botole. Le suddette botole, inizialmente recintate e
coperte, erano, poi, dopo la realizzazione dei cordoli, state lasciate prive di
protezione, in attesa di collocare la copertura di alluminio, non riposta a causa del
maltempo. Il D’Errico era capo cantiere, mentre il Compagnone rivestiva la
qualifica di rappresentante per la sicurezza dei lavoratori e del servizio di
prevenzione e preposto alla sicurezza delle opere edili.
Sostiene il D’Errico di non essere destinatario di alcuna posizione di garanzia.
Il motivo è infondato: come precisato da questa Corte, infatti, (cfr. Sez. 4, n.
46849 del 3 novembre 2011, PG in proc. Di Carlantonio ed altro, Rv 252149), in
particolare, il capo cantiere, anche in presenza di una pluralità di posizioni di
garanzia è destinatario diretto dell’obbligo di verificare che le concrete modalità di
esecuzione delle prestazioni lavorative all’interno del cantiere rispettino le
normative antinfortunistiche. (In applicazione del principio di cui alla riportata
massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello, in riforma
della decisione di primo grado, ha escluso la responsabilità – in ordine al reato di

avendo provvisto di solida copertura o di normali parapetti l’apertura (il lucernario)
esistente sul lastrico di copertura di primo livello dell’ospedale San Giovanni di Dio, non
avendo altresì adottato idonee precauzioni atte ad evitare la caduta delle persone dalla
predetta apertura, priva peraltro di recinzioni e di apposite segnalazioni di pericolo,
unitamente agli altri coimputati, cooperavano a cagionare il decesso di D’Ambrosio
Pasquale, dipendente della EDIL ATELLANA con mansioni di muratore, il quale cadendo
all’interno della apertura da un’altezza di oltre tre metri, riportali* lesioni personali
gravissime, consistite in grave trauma encefalico con conseguente shock emorragico ed
arresto cardio-respiratorio irreversibile, dalle quali derivava la morte.
2. Avverso tale decisione proponevano ricorso:
2.1 D’Errico Giacomo deducendo la nullità della gravata sentenza per mancanza
ed illogicità della motivazione ed errata applicazione della legge penale quanto alla
ritenuta posizione di garanzia del D’Errico che non rivestiva la posizione di responsabile
della sicurezza; la nullità del procedimento sin dalla fase dell’udienza preliminare per
mancata notifica di parte della contestazione; in via subordinata la nullità della sentenza
per mancan a di motivazione in relazione alla non applicata riduzione della pena al
minimo ef’..ir concessione delle attenuanti generiche; in via ulteriormente subordinata
chiede che venga dichiarata la estinzione del reato essendo decorsi i termini di
prescrizione
Compagnone Stanis,lao ricorre deducendo l’inosservanza od erronea
2.2
applicazione della legge nonché Ose. mancanza e contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi strutturali ontologici
costitutivi dell’ascritto delitto colposo; in particolare deduce la insussistenza del nesso di
causalità e della posizione di garanzia; che il comportamento del D’Ambrosio era stato
imprevedibile; che esso imputato era assente al momento dell’accaduto; l’intervenuta
prescrizione; mancata prevalenza delle attenuanti generiche

omicidio colposo – dell’imputato, rilevando che, in presenza di più posizioni di
garanzia, non poteva pretendersi da un sottoposto, quale il capo cantiere,
l’esercizio di compiti di controllo spettanti a più qualificati professionisti e
omettendo di verificare, se, in concreto, fosse esigibile da parte del predetto capo
cantiere, il controllo sulla adeguatezza del piano di sicurezza, rispetto alle opere
da realizzare).
5. Sostiene ancora il D’Errico, riportando all’uopo stralci di alcune testimonianze, che
il D’Ambrosio avrebbe autonomamente deciso di agire, salendo sul lucernaio,
sollecitato dall’esterno da un dipendente dell’ospedale per controllare delle
infiltrazioni di acqua e che conseguentemente l’incidente ebbe a verificarsi per un
comportamento abnorme, improvviso ed imprevisto del lavoratore.
Anche tale motivo è infondato : come questa Corte ha più volte ribadito, in
materia di infortuni sul lavoro, la eventuale condotta incauta del lavoratore
infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre
l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della
lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità
solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze,
presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis,
Cass. 4, n. 21587/07, Pelosi, Rv. 236721). Nel caso di specie, come
correttamente segnalato nella sentenze di merito, il D’Ambrosio ha patito
l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso il cantiere (a
nulla rilevando che la necessità dell’intervento gli fosse eventualmente stata
effettivamente sollecitata dall’esterno), cantiere dove peraltro i lavori non erano in
alcun modo cessati- come sostenuto dagli imputati-, ma solo sospesi per le forti
piogge e dove i lucernari erano stati lasciati scoperti da almeno una settimana,
con conseguente facile prevedibilità da parte degli imputati sia delle possibili
infiltrazioni che avrebbero richiesto un intervento di copertura almeno provvisorio,
sia dei conseguenti pericoli per i lavoratori (cfr. pag. 7 della impugnata sentenza).
Pertanto la circostanza che il D’Ambrosio, preso dalla routine del lavoro e
probabilmente da un eccesso di zelo, si sia autonomamente portato sul lastrico di
copertura, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il
nesso causale tra la condotta omissiva degli imputati e l’evento, condotta
connotata da colpa, tenuto conto che le cautele omesse erano proprio preordinate
ad evitare il rischio specifico che poi concretamente si è materializzato
nell’infortunio in cui ha perso la vita il D’Ambrosio.
Con un ulteriore motivo il D’Errico censura per “carenza di motivazione” la gravata
sentenza relativamente al rigetto del motivo di appello concernente la richiesta
declaratoria di nullità della sentenza per invalidità della notifica della richiesta di
rinvio a giudizio, priva di parte della contestazione, nonché dell’avviso dell’udienza
del 3 luglio 2006, erroneamente notificato al difensore per asserita insufficienza
del domicilio, in realtà, correttamente indicato. Il motivo così come proposto è
palesemente inammissibile, stante la sua assoluta genericità; il ricorrente, invero,
si limita ad affermare unicamente a riguardo : sul punto la motivazione è carente
(cfr. pag. 8 del ricorso). Di contro la gravata sentenza ha puntualmente
evidenziato le ragioni per cui le notifiche dovevano ritenersi correttamente
effettuate (cfr. pag. 5 della sentenza), senza che il D’Errico contesti in alcun modo
le argomentazioni della Corte distrettuale.
Quanto alle censure relative al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche
ed al complessivo trattamento sanzionatorio, anche in tal caso le censure sono
infondate. Il giudice di merito, per negare la prevalenza delle attenuanti generiche
e determinare la pena ha valutato la gravità del fatto, nonché i preminenti profili
di colpa, tenuto conto delle macroscopiche violazioni antinfortunistiche poste in
essere dai due imputati.
Va ricordato che questa Corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata ha
stabilito che le statuizioni relative alla pena ed al giudizio di comparazione tra
circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in cassazione soltanto nella
ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo

P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili
costituite che liquida nei confronti di Merolese Teresa e D’Ambrosio Michele». in
complessivi C 3.000,00 oltre accessori come per legge e nei confronti di Lettera
Rita, D’Ambrosio Anna e D’Ambrosio Nicol4n complessivi C 3.500,00 oltre
accessori come per legge.
Cosìdeciso nella camera di consiglio del 21 maggio 2013
ili PR FSTD-3

sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto detta
soluzione la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto”
(cfr. Cass. 1, 15542/01, Pelini). Nel caso di specie, il giudice di merito, con
adeguata motivazione, ha spiegato di non ritenere il ricorrente meritevole della
prevalenza delle attenuanti. Si tratta di considerazioni ampiamente giustificative
del diniego della prevalenza, che le censure proposte non valgono a scalfire.
6. Quanto al ricorso del Compagnone, si rimanda alle osservazioni in precedenza
formulate per i motivi comuni al coimputato ricorrente.
In relazione alla contestata posizione di garanzia, osserva la Corte: l’imputato
rivestiva la qualità di direttore di cantiere con il compito di controllo tecnico della
qualità dell’opera sotto i diversi profili della qualità e della sicurezza del lavoro, ed
era dunque titolare di una autonoma posizione di garanzia in considerazione del
suo ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4. La disciplina della sicurezza
del lavoro delinea tre distinte figure, che incarnano distinte funzioni e distinti livelli
di responsabilità. Ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, il datore di lavoro è
colui che esercita l’attività, ha la responsabilità della gestione aziendale e pieni
poteri decisionali e di spesa. In connessione con tale ruolo di vertice,
l’ordinamento prevede numerosi obblighi specifici penalmente sanzionati. Il
richiamato art. 4 individua altresì un livello di responsabilità intermedio, incarnato
dalla figura del dirigente, che dirige appunto, ad un qualche livello, l’attività
produttiva, un suo settore o una sua articolazione. Tale soggetto non porta le
responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali; ma ha poteri posti ad un
livello inferiore, solitamente rapportati anche all’effettivo potere di spesa. Il terzo
livello di responsabilità riguarda la figura del preposto che sovrintende alle attività
e che quindi svolge funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative
concretamente svolte. Il direttore tecnico di cantiere è direttamente portatore di
un proprio livello di gestione e responsabilità che, per quel che qui interessa,
riguarda anche l’organizzazione generale della sicurezza del cantiere. Tale livello
di responsabilità è stato in concreto, seppur malamente, gestito nei modi che si
sono visti, né rileva che al momento dell’infortunio il Compagnone non fosse
presente sul posto.
Pure le deduzioni in ordine alla dimostrazione del nesso causale sono infondate. La
sentenza pone in luce da un lato che l’evento letale fu determinato dalla mancata
protezione delle aperture e dall’altro che gli imputati avevano il compito
istituzionale di vigilare sulla sicurezza del cantiere.
Dunque, l’attenzione dei garanti doveva essere adeguatamente focalizzata sulla
specifica situazione; sicché si richiedeva una particolare vigilanza che invece
mancò. Da tale valutazione la pronunzia desume l’esistenza, con evidenza, sia
della colpa che del nesso causale. A tale ultimo riguardo l’esposizione postula in
modo implicito ma vigoroso l’esistenza del nesso causale. Infatti, si desume dal
ragionamento probatorio, se gli imputati avessero esercitato le loro funzioni
istituzionali di vigilanza e direzione, sarebbero state adottate misure di protezione
delle aperture, che con certezza avrebbero evitato la caduta.
I ricorsi vanno quindi rigettati con conseguente condanna al pagamento delle
spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio
dalle costituite parti civili che si liquidano come da dispositivo.

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