Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9735 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9735 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore nell’interesse di
Megale Roberto, nato a Reggio Calabria il 27/03/1982

avverso la ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del
riesame, in data 16/12/2012

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Eduardo V.
Scardaccione, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
0.3.ACOQ,0 1 cAw
oca() iSt dikUzcz,Q, 44 iùecAiciae

cuz. eAmat,

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata l’ordinanza del 16/12/2012 (depositata 1’11/07/2013) con la
quale il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame, ha
confermato il provvedimento applicativo della misura cautelare della custodia in
carcere adottato, il 13/10/2012, dal Giudice per le indagini preliminari dello
stesso Tribunale.
Con l’ordinanza cautelare sono contestati a Roberto Megale i delitti di
favoreggiamento personale – aggravato ai sensi del secondo comma dell’art. 378

LQ

Data Udienza: 10/12/2013

cod. pen. e dell’art. 7 del decreto-legge 13/05/1991, n. 152, come convertito
dalla legge n. 203/1991 – e procurata inosservanza di pena (pure aggravato a
norma dell’art. 7 del d.l. n. 152/ 1991).
Come si apprende dal provvedimento impugnato, e dall’ordinanza applicativa
in esso richiamata, Megale è stato sorpreso alla guida di una vettura sulla quale
si trovava Domenico Condello, capo dell’omonima cosca, latitante da tempo,
ricercato per l’esecuzione della pena dell’ergastolo, definitivamente inflittagli per
una pluralità di omicidi, e condannato, tra l’altro, per il delitto di associazione per

all’individuazione di un alloggio che aveva ospitato il latitante, al cui interno era
tra l’altro custodita un’arma da fuoco con matricola abrasa. L’alloggio si sarebbe
trovato nella disponibilità dell’odierno ricorrente, che l’avrebbe ottenuto in
comodato dal proprietario, così come verificato attraverso varie informazioni
testimoniali. Si apprende anche, dai provvedimenti in esame, che Roberto
Megale non aveva inteso rendere dichiarazioni a propria difesa.
1.1. Il Tribunale del riesame ha ritenuto corretta la contestazione in danno del
Megale dell’aggravante del fine di agevolazione di una associazione di tipo
mafioso, nella specie rappresentata dalla cosca Condello-Imerti-Fontana, della
quale il soggetto da lui favorito era esponente di vertice.
Su questa premessa, ha identificato la ricorrenza della presunzione di
adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, come stabilita dal combinato
disposto dell’art. 275, comma 3, e dell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. In
punto di ricorrenza delle esigenze cautelari, si osserva nel provvedimento
impugnato che non risulterebbero elementi atti ad escluderle, e che anzi le
stesse sarebbero positivamente riscontrate dalla delicatezza ed importanza del
ruolo assunto dal Megale, e dal suo inserimento, ritenuto non occasionale e non
giustificato da rapporti di parentela con il Condello, in una rete di supporti umani
e logistici pertinenti alla organizzazione criminale sopra citata.

2.

Con unico motivo di impugnazione, proposto a norma dell’art. 606,

comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., il Difensore dell’indagato deduce
violazione di legge e difetto di motivazione relativamente all’integrazione della
più volte citata aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152/1991.
Rileva il Difensore che la giurisprudenza citata dal Tribunale – secondo cui
l’aiuto fornito al capo di una organizzazione mafiosa implica il fine di agevolare
anche l’ente associativo, data l’importanza del contributo recato dalla persona
favorita all’attività della stessa organizzazione stessa – sarebbe riferibile ad un
orientamento minoritario di questa Corte. Prevarrebbe di gran lunga, e piuttosto,
il principio secondo cui l’importanza del soggetto favorito nel contesto mafioso di

2

9,2—

delinquere di tipo mafioso. Le indagini seguite all’arresto hanno condotto

riferimento non è elemento che da solo possa documentare l’integrazione
dell’aggravante, dovendosi distinguere tra aiuto prestato alla persona ed aiuto
consapevolmente orientato a sostenere anche l’associazione criminosa.
Il Tribunale del riesame non avrebbe indicato alcun elemento in aggiunta al
«rango» attribuito al soggetto favorito.
Oltretutto, secondo il ricorrente, la posizione di vertice di Domenico Condello
sarebbe oggetto di mera asserzione nel contesto del provvedimento impugnato,
il quale dunque sarebbe completamente privo, anche sotto questo profilo, della

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Nella specie si contesta la decisione del Tribunale (e del Giudice per le indagini
preliminari), sotto il profilo della carenza di motivazione, unicamente riguardo
all’assunto che Domenico Condello era un esponente di vertice della nota ed
omonima organizzazione mafiosa.
Tale censura, che giunge a definire «congetturale» l’approdo dei Giudici di
merito, è generico e privo di corrispondenza con la realtà degli atti. Nel
provvedimento restrittivo emesso nei confronti dell’odierno ricorrente, richiamato
dall’ordinanza impugnata, la figura del Condello è adeguatamente tratteggiata,
con citazione, anche specifica, di provvedimenti cautelari e sentenze irrevocabili
di condanna, con annessi ordini di esecuzione: atti tutti dai quali emerge la sua
posizione di capo dell’associazione mafiosa, di responsabile di vari omicidi, di
persona definitivamente condannata alla pena dell’ergastolo. In una situazione
che potrebbe evocare la nozione di dato notorio, ed a fronte di un provvedimento
di mera cautela, la censura difensiva appare del tutto ingiustificata.

3. Nel resto, il Difensore rileva come il Tribunale del riesame abbia enunciato, a
giustificazione del decisum concernente l’applicazione dell’art. 7 del decretolegge n. 152 del 1991, un principio che non è incontroverso nella giurisprudenza
di legittimità, e che risulta tratto,

in particolare, dalla massima ufficiale

pertinente alla sentenza della Sez. V, n. 6199 del 30/11/2010, Mazzola, rv.
249297: «in tema di favoreggiamento personale, sussiste la circostanza
aggravante di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416 bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività dell’associazione
di tipo mafioso (…), qualora la condotta sia posta in essere a vantaggio di un
esponente di spicco di un’associazione di tipo mafioso, in quanto l’aiuto fornito al

3

necessaria motivazione.

capo si concretizzi nell’agevolazione per dirigere da latitante l’associazione, così
concretizzandosi un aiuto all’associazione la cui operatività sarebbe
compromessa dal suo arresto, mentre, sotto il profilo soggettivo, non può
revocarsi in dubbio l’intenzione dell’agente di favorire anche l’associazione
allorché risulti che abbia prestato consapevolmente aiuto al capomafia
(Fattispecie relativa all’agevolazione, protrattasi per rilevanti periodi di tempo, di
esponenti di spicco di “Cosa Nostra” attraverso l’ospitalità presso vari immobili di
pertinenza dei favoreggiatori)».

giurisprudenza di questa Corte, ed anzi prevalente tra le decisioni più recenti (ad
esempio Sez. V, sentenza n. 17979 del 05/03/2013, Iamonte, rv. 255517; Sez.
II, sentenza n. 26589 del 26/05/2011, Laudicina, rv. 251000; Sez. V, sentenza
n. 42018 del 22/09/2009, Iuliano, rv. 245401; Sez. V, sentenza n. 41063 del
24/06/2009, rv. 245386). È vero tuttavia che si riscontra, nello stesso ambito,
un indirizzo difforme, di consistenza pressoché analoga, che nega l’automatismo,
a volte prospettato, tra la posizione di vertice del soggetto favorito e la
funzionalità della condotta di supporto all’interesse dell’organizzazione criminosa
di riferimento (Sez. VI, Sentenza n. 19300 del 11/02/2008, Caliendo, rv.
239556; Sez. VI, Sentenza n. 13457 del 28/02/2008, Sirignano, rv. 239412;
Sez. VI, Sentenza n. 294 del 08/11/2007, Volpe, rv. 238399).
3.1. Si tratta, a parere del Collegio, di un tipico caso ove assume grande
rilevanza il riferimento del principio di diritto di volta in volta enunciato alla
singola fattispecie definita. Un caso, cioè, ove non sempre è agevole distinguere
l’opzione interpretativa, della cui correttezza si discute in sede di legittimità,
dalla regola di esperienza che può governare l’identificazione di aspetti rilevanti
del fatto.
In realtà non è dubbio che la fattispecie sostanziale esiga, a fini di
aggravamento della pena, che il fatto sia compiuto in guisa da favorire
l’organizzazione mafiosa, e non un singolo suo componente, foss’anche il capo
assoluto dell’organizzazione medesima. Neppure si può dubitare, però, che la
centralità di azione dell’esponente di vertice, nell’economia generale del fatto
associativo, può ben condurre, nei singoli casi concreti, ad una moltiplicazione
degli effetti (illegittimamente) favorevoli che si connettono alla condotta
considerata.
Sembra ovvio che il prolungato ed indispensabile sostegno alla latitanza di un
capo si risolve in condizione indispensabile per l’esercizio della sua funzione
direttiva, e dunque in ausilio per l’attività dell’organizzazione. Un contributo
episodico, e magari pertinente ad aspetti personali della vita del favorito,
potrebbe essere, invece, considerato in senso opposto.
4

Si tratta per la verità di posizione niente affatto isolata nel panorama della

Riguardata in questa prospettiva, la giurisprudenza sul tema evidenzia
differenze meno marcate di quanto non possa sembrare. L’orientamento più
restrittivo (cioè più favorevole agli accusati) non esclude affatto che rilevi «la
oggettiva funzionalità della condotta alla agevolazione dell’attività posta in
essere dalla organizzazione criminale» (così, ad esempio, la citata sentenza n.
6571/2008). L’espressione evoca un criterio di valutazione funzionale del
comportamento attribuito all’agente, che ben potrà considerarsi aggravato
quando sussista l’indicata proiezione causale. È ovvio, dato l’attuale regime di

fenomeno associativo criminale deve essere oggetto di rappresentazione da
parte dell’agente, ma ciò non si risolve affatto, e naturalmente, nella pretesa che
si tratti del suo movente.
Sull’altro versante, l’automatismo indicato sembra costituire più che altro un
criterio di prova, tanto che l’indirizzo si manifesta in prevalenza con riguardo a
condotte che condizionano risolutivamente e con relativa stabilità la latitanza del
capo mafia, e dunque la sua stessa efficienza quale dirigente dell’organizzazione.
Non mancano, sovente, considerazioni aggiuntive (ad esempio, quella della
notorietà locale del soggetto favorito, che produce riflessi sulla capacità
intimidatrice del suo gruppo, oltreché a proposito della consapevolezza
dell’agente).
Non pare un caso, quindi, che diverse tra le decisioni del primo indirizzo sono
pertinenti (come solo talvolta emerge già dalla massima ufficiale) a condotte di
ausilio per l’incontro tra il latitante e dei familiari (sentenza n. 13457/2008, cit.;
sent. 19300/2008, cit.; sentenza n. 6571/2008, cit.), e che in altri
provvedimenti sia censurato direttamente ed esclusivamente

l’automatismo

argomentativo che sottende al principio evocato (Sez. VI, sentenza n. 41261 del
27/10/2005, Turco, rv. 232766). Sull’altro versante, si riscontrano con
significativa frequenza casi di sostegno non occasionale, di tipo logistico, e
dunque di apporto causale pressoché inscindibilmente diretto tanto al favore per
l’individuo, tanto al contributo per l’esercizio della sua funzione associativa.
3.2. Ritiene dunque il Collegio che si possa affermare il principio per il quale,
affinché un fatto di favoreggiamento possa dirsi aggravato a norma dell’art. 7 del
decreto-legge n. 152/1991, è necessario che la condotta, quale che sia la
posizione associativa del favorito, valga oggettivamente ad agevolare anche
l’attività dell’organizzazione mafiosa di riferimento, e che di tale obiettiva
funzionalità l’agente sia consapevole. Nel ragionamento probatorio del giudice, a
fini di verifica della funzionalità indicata, possono essere considerati il ruolo
direttivo eventualmente svolto dal soggetto favorito e la natura della prestazione
offerta dall’agente, di talché, quando si tratti di un supporto utile alla stessa
5

(o,

rilevanza soggettiva dei fattori circostanziali, che la pertinenza dell’aiuto al

stabile possibilità per il soggetto di svolgere il proprio ruolo dirigente, e lo stesso
sia effettivamente svolto, si legittima un giudizio di integrazione della fattispecie
aggravante.

4. Nel caso di specie, per quanto la motivazione «in diritto» del Tribunale risulti
effettivamente incompleta (il che non comporta, com’è noto, annullamento della
decisione impugnata), l’esposizione compiuta nel provvedimento consente di
apprezzare la correttezza del criterio seguito.

stabilità del supporto logistico assicurato dal Megale alla gestione della latitanza
di Condello, il cui ruolo essenziale nella gestione della cosca mafiosa è già stato
sopra discusso. L’indagato aveva procurato al ricercato, con modalità atte a
dissimulare la circostanza, una casa in cui alloggiare stabilmente, cosa che si era
protratta per molte settimane, ed a quanto pare gli faceva anche da autista, o
comunque l’aveva fatto nel giorno in cui i due uomini sono stati bloccati ed
arrestati dalla polizia giudiziaria.
I fatti sono descritti minuziosamente nell’ordinanza cautelare ed in quella
impugnata, e costituiscono, alla luce dei rilievi già svolti sul piano generale, un
adeguato fondamento per il giudizio di integrazione della fattispecie
circostanziale. Il Giudice di prime cure, la cui motivazione è sostanzialmente
richiamata dal Tribunale del riesame, ha evocato direttamente, in rapporto al
concreto andamento dei fatti, una influenza del contributo fornito da Megale
rispetto al fine di evitare una «crisi funzionale» dell’organizzazione mafiosa,
avuto riguardo alla posizione di vertice del Condello ed alle conseguenze che si
sarebbero prodotte in caso di cessazione della sua latitanza. Rilievi in parte
almeno analoghi segnano l’ordinanza impugnata, che pure privilegia i riflessi
soggettivi della situazione, assumendo che l’odierno ricorrente non poteva che
percepire il proprio contributo anche in rapporto alla qualità di capo
dell’organizzazione mafiosa del suo interlocutore, anche considerata l’assenza di
rapporti familiari tra i due uomini.
Per quanto allora debba riconoscersi la parzialità di sviluppo del corredo
motivazionale dell’ordinanza impugnata in punto di diritto, si constata come la
motivazione sia sufficiente, almeno rispetto al concetto di carenza rilevante a
norma dell’art. 606 cod. proc. pen., a rendere conto della coerenza della
decisione rispetto alle fonti valutate e della correttezza della lettura che il
Tribunale ha compiuto della previsione di legge.

5. Consegue, da quanto si è detto, il rigetto del ricorso, e la connessa condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

6

C(1-..

La descrizione del fatto evoca ampiamente, ed infatti, la centralità e la

La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,
disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta

il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,

Così deciso il 10/12/2013.

1

disp. att. cod. proc. pen.

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