Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 973 del 30/09/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 973 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) CASTIGLIONE Prisco, nato a Napoli il 21/8/1967,
2) BELLOFIORE Antonio, nato a Napoli il 20/6/1965,
avverso l’ordinanza emessa in data 3/3/2014 dal Tribunale di Napoli.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
Udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Uditi gli avvocati Massimo Fumo e Gabriele Valentini per Castiglione, che
hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

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Data Udienza: 30/09/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli investito ex art. 309 cod.
proc. pen., della richiesta di riesame proposta, tra l’altro, dagli indagati Bellofiore
Antonio e Castiglione Prisco, ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini
preliminari che in data 5 febbraio 2014 aveva applicato ai ricorrenti la custodia
cautelare in carcere per concorso nell’omicidio aggravato di Carmine Pesce,
commesso il 24 febbraio 2004, e per le connesse violazioni alla legge armi.
Il Tribunale motivava la decisione osservando che la partecipazione dei due
ricorrenti all’omicidio era sostenuta dalle chiamate in reità dei collaboratori di
poi deceduto, Luigi Pesce (de relato dal cugino Pasquale Pesce, fratello della
vittima, che aveva appreso dei fatti dalla cognata Gina, moglie di Diego Basso, la
quale aveva assistito all’omicidio dal balcone), Giovanni Romano (de relato da
Russolillo, che essendo zio della vittima si opina avesse appreso dei fatti dalla
medesima fonte primaria, Gina).
Fungevano da riscontri, quanto al “clima” in cui era maturato il delitto, le
dichiarazioni di altri collaboratori (Misso, Mazza, Panzuto, Spirito, evidenziandosi
come in realtà solo le dichiarazioni di quest’ultimo fossero sufficientemente
precise e idonee perciò a fornire riscontro ab estrinseco alle dichiarazioni su
movente e contesto dell’omicidio) e, quanto al coinvolgimento dei ricorrenti nella
realizzazione del delitto, due conversazioni intercettate, a settembre 2009 e,
soprattutto ad aprile 2010 all’interno della vettura Fiat Punto di Giovanni
Romano, in uso a Massimiliano Schiano (riferendosi che nel corso della seconda
conversazione lo Schiano commentava e descriveva l’omicidio di Carmine Pesce
attribuendolo a Peppino, Prisco, Pulciello, già indicato come il soprannome di
Bellofiore, e Enzuccio).
2. Castiglione ha proposto ricorso a mezzo dei difensori avvocati Massimo
Fumo e Gabriele Valentini, che hanno redatto atti distinti; Bellofiore ha proposto
ricorso a mezzo del difensore avvocato Mario Pasquale Fortunato. Entrambi
chiedono l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
3. Il ricorso dell’avvocato Fumo per Castiglione denunzia con motivo
formalmente unico violazione di legge, in riferimento agli articoli 273, 274 e 275
cod. proc. pen., e difetto di motivazione, sia con riguardo alla sussistenza del
grave quadro indiziario sia con riferimento alla sussistenza di esigenze cautelari.
3.1. Lamenta in particolare che difettava totalmente il vaglio di credibilità
dei dichiaranti, a maggior ragione necessario trattandosi di soggetti che avevano
formulato mere chiamate in reità riferendo fatti appresi da terzi e
apparentemente attingendo notizie da un’unica fonte di riferimento, Polverino
Gina, moglie di Diego Basso (in realtà Russolillo non aveva chiarito la fonte delle
sue informazioni, che il Tribunale aveva però ritenuto di individuare, in base a
mera ipotesi, anche in questo caso con la detta Gina). La fonte diretta, Gina, non
era stata, tuttavia, mai sentita (nell’immediatezza dei fatti erano state assunte
sommarie informazioni soltanto dal marito, Diego Basso), sicché le chiamate in
reità de relato erano connotate da credibilità congenitamente carente. A ciò
andava aggiunto che il racconto dei collaboratori era tutt’altro che univoco,

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giustizia Raffaele Bavero (de relato da Giovanni Romano e Giovanni Russolillo),

preciso e convergente (Giovanni Romano, che aveva iniziato a collaborare nove
anni dopo Bavero, aveva affermato che aveva appreso in carcere che l’omicidio
era stato commesso da Giuseppe Mele insieme ad altre persone che non gli
erano state precisate; Luigi Pesce aveva genericamente riferito di aver saputo
dal cugino Pasquale che all’omicidio di Carmine avevano partecipato anche i
ricorrenti, ma non aveva mai precisato il ruolo degli stessi).
Quanto al riscontro individuato nella conversazione intercettata nell’aprile
2010, ovverosia a sei anni di distanza dai fatti, a bordo dell’autovettura in uso a
Massimiliano Schiano, il Tribunale si era limitato dedurre da quanto detto dallo
Schiano che lo stesso sarebbe stato presente nell’appartamento messo a
dell’agguato, ritenendo altresì, apoditticamente, che la presunta presenza del
ricorrente presso detto abitazione costituiva elemento di riscontro obiettivo,
senza chiarire: in base a quali elementi poteva senz’altro escludersi che lo
Schiano avesse mentito millantando una conoscenza di fatti in realtà non vissuti;
in base a quali elementi la mera presenza del ricorrente in quell’abitazione
confermasse che aveva fornito un contributo giuridicamente rilevante
all’omicidio; come si conciliava la condotta “satellitare” attribuita al ricorrente
con gli scarni e contraddittori dati riferiti.
3.2. In relazione alle esigenze cautelari, infine, il Tribunale aveva del tutto
omesso di valutare la rilevanza dell’incidenza del lunghissimo periodo di
detenzione patita da Castiglione in precedenza, dopo i fatti in esame; la
circostanza che dopo aver scontato una pena di quattro anni di reclusione aveva
reciso i suoi rapporti con la città di Napoli trasferendosi e stabilendosi nella
provincia di Lecce; la disponibilità del ricorrente ad essere accolto in
un’associazione di volontariato: così rendendo del tutto ingiustificato il giudizio di
idoneità esclusiva della custodia in carcere.
4. Il ricorso dell’avvocato Valentini per Castiglione denunzia con motivo
formalmente unico difetti di motivazione e violazioni di legge, con riferimento
agli articoli 192, comma 3, e 195 cod. proc. pen., con riguardo alla sussistenza
di un grave quadro indiziario, e all’art. 274 cod. proc. pen., in tema di
sussistenza di esigenze cautelari.
4.1. Con il primo motivo, in particolare, lamenta che, benché lo stesso
Tribunale avesse ammesso che le dichiarazioni rese dai collaboratori non erano
dirette e non erano idonee a riscontrarsi reciprocamente attesa la probabilità che
la fonte primaria, Gina, fosse la stessa, non aveva colto che la censura posta
dalla difesa atteneva però a tema diverso, ovverosia alla identificazione in
termini di certezza proprio della fonte primaria, che in realtà doveva ritenersi
essere rimasta sostanzialmente ignota, da ciò derivando la inutilizzabilità delle
testimonianze indirette. Sarebbe stato così violato il comma 7 dell’art. 195 cod.
proc. pen. che sanzionerebbe con l’inutilizzabilità la mancata individuazione della
fonte diretta perché non conosciuta ovvero per il rifiuto del dichiarante di
indicarla: né il problema dell’identificazione certa della fonte diretta poteva
essere risolto, arbitrariamente, aumentando il numero delle fonti mediate, o
risolvendolo, come arbitrariamente aveva fatto il Tribunale, in termini di mera
verosimiglianza.

disposizione da Francesco Esposito come base di appoggio per la preparazione

Manifestamente illogico era, d’altra parte, il ragionamento seguito per
giungere ad affermare che le notizie riferite sarebbero partite da Gina, moglie di
Diego Basso. Anzitutto, priva di base reale era l’affermazione che la donna
avrebbe assistito all’omicidio (solo perché di ciò aveva parlato taluno dei
collaboratori), quando la donna, sentita a sommarie informazioni al momento dei
fatti, aveva negato la circostanza, mentre quanto riferito dal marito, utilizzato
per superare le contrastanti dichiarazioni di lei, risultava completamente
travisato (l’uomo non aveva mai detto che la moglie aveva assistito all’uccisione,
ma soltanto che la stessa l’aveva informato che aveva visto il corpo dell’ucciso a
terra: cosa questa che non implicava affatto che la donna, contrariamente a
Quantomeno illogico era inoltre ragionamento attraverso il quale si era
identificata nella stessa Gina la fonte del Russolillo, che avrebbe poi informato
sia Raffaele Bavero sia Giovanni Romano (il Tribunale traeva la sua illazione dal
rapporto di parentela del dichiarante con la vittima e dal fatto che aveva riferito
di essere stato contattato dalla moglie – non si comprendeva se sua o della
vittima – che lo aveva avvisato dell’accaduto; ma tra questo ed avere la certezza
che Gina avesse assistito al fatto non vi era nesso comprensibile). Il Tribunale, in
altri termini, non si era seriamente confrontato con la tesi difensiva che i
collaboratori, di terza o quarta mano, avevano sostanzialmente riportato notizie
che ben potevano essere tratte da voci diffuse dopo l’omicidio sulla base di mere
ipotesi radicate sul contesto da cui nasceva l’agguato.
Quanto alla conversazione intercettata in data 13 aprile 2010, parimenti il
Tribunale aveva omesso di dare alcuna effettiva risposta alle osservazioni
difensive in ordine alla necessità comunque, di una verifica sulla credibilità di
quanto detto e sulla totale inverosimiglianza della tesi che Lo Schiano avesse
assistito alla pianificazione dell’omicidio all’interno dell’appartamento preso a
base logistica, anziché riferire, a distanza di sei anni, notizie o voci diffuse
nell’ambiente, millantando una conoscenza diretta mai avuta (si era detto che lo
Schiano era notoriamente molto legato, anche per la commissione di reati, a
Pasquale, fratello dello vittima, e non era credibile che fosse stato accolto
nell’appartamento del Esposito, luogo scelto a base logistica per l’omicidio, e
fatto assistere alla sua pianificazione; inverosimile era anche che nel medesimo
contesto fosse sceso per strada e nell’atto di avvertire il suo sodale Pasquale,
avrebbe soprasseduto solo perché raggiunto dall’Esposito; mentre la circostanza
che lo Schiano risultasse strettamente legato anche a Giovanni Romano – tanto
che l’intercettazione ambientale era stata effettuata sull’auto di proprietà di
questo – rendeva di contro assai più verosimile che avesse riportato fatti di
cronaca noti o riferiti dallo stesso Romano attribuendosi, per millanteria, la
partecipazione personale).
4.2. Con il secondo motivo si censura che a fronte di un fatto risalente ad
oltre 10 anni addietro, ai fini di affermare la sussistenza di esigenze cautelari si
era fatto riferimento ai soli precedenti penali del ricorrente tutti coevi al fatto
stesso, senza considerare che il ricorrente aveva scontato una pena detentiva di
ben 11 anni, dei quali gli ultimi quattro trascorsi in isolamento a seguito della
scelta volontaria di estraniarsi dall’ambiente criminale NAPOLITANO, proseguita
da libero stabilendosi nel leccese e lavorando in un’associazione di volontariato,

quanto da lei dichiarato, avesse anche assistito al momento dell’uccisione).

del tutto lo antitetica rispetto alla affermata irreversibilità delle sue scelte
criminali.
5. Il ricorso dell’avvocato Fortunato per Bellofiore denunzia con unico
motivo, riferito al quadro indiziario, violazione degli artt. 192, commi 2 e 3, cod.
proc. pen. e 575 cod. pen., motivazione apparente o contraddittoria, vizi logici.
Si evidenzia in particolare, analogamente ai precedenti ricorsi: che i
collaboratori avevano reso tutti racconti di seconda mano, che conducevano a un
vicolo cieco, tanto da costringere il Tribunale del riesame a confermare le
apodittiche illazioni del G.i.p. che Gina, la moglie di Diego Basso, fosse la

collaboratori aveva mai però riferito di avere appreso le notizie dalla Gina, né la
stessa aveva mai confermato di aver parlato con alcuno dei soggetti menzionati;
che in tal modo non erano stati rispettati i principi sulla verifica del valore
probatorio delle testimonianze indirette affermati da ultimo dalle Sezioni unite
penali; che difettavano validi elementi di riscontro di natura sia oggettiva sia
soggettiva; che i cosiddetti elementi di riscontro estrinseco non forniva alcuna
conferma della partecipazione del ruolo del ricorrente; che dDifettava in ogni
caso sia la valutazione di attendibilità intrinseca dei dichiaranti sia il controllo
sulla loro attendibilità estrinseca, specie a fronte della natura di mera
supposizione della individuazione della fonte primaria in Gina; che neppure
poteva fungere da serio elemento di riscontro individualizzante l’intercettazione
ambientale della conversazione tra Massimiliano Schiano e Alfredo Rosati, in cui
il primo affermava di aver visto il ricorrente in un appartamento ubicato non
lontano dal luogo in cui è avvenuto l’omicidio, senza mai precisare di averlo visto
partecipare all’omicidio ed apparendo, inoltre, improbabile che un soggetto non
inserito nel clan (come dichiarato da Luigi Pesce) potesse accedere addirittura
all’appartamento di appoggio dal quale sarebbero partiti i killer e ricevere
l’informazione che stava per compiersi un omicidio; che, peraltro la circostanza
riferita dallo Schiano difettava di una collocazione temporale individuabile, non
era accompagnata da alcun giudizio di intrinseca attendibilità del narrante, non
trovava conferma in quanto dichiarato dai collaboratori che mai lo avevano
menzionato come soggetto presente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che, benché non abbia fondamento la deduzione
relativa alla violazione dell’art. 195, comma 7, cod. proc. pen. e alla conseguente
inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie de relato, í ricorsi appaiono nella
sostanza meritevoli di accoglimento.
2. Sul punto relativo all’art. 195, comma 7, cod. proc. pen., vale precisare
che la circostanza che un dichiarante riferisca quanto narratogli da altra persona,
a sua volta de relato da un terzo, che non si è potuto identificare perché, come
nel caso in esame, il soggetto intermedio o è morto o non è stato per altre
ragioni sentito, è situazione sostanzialmente e formalmente diversa da quella del

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probabile fonte primaria delle due fonti di riferimento, con la conseguenza che i
collaboratori erano addirittura dichiaranti di terza mano; che nessuno dei

dichiarante che si rifiuta o non è in grado d’indicare la fonte da cui ha appreso la
notizia, e non è soggetta perciò alla rigorosa, tombale, sanzione prevista dalla
disposizione evocata. Anche se ciò non toglie che nell’apprezzamento del valore
probatorio di una dichiarazione di terza mano di tal fatta è richiesto, come si
dirà, un particolare rigore.
3. Fondate sono invece le altre doglianze dei ricorrenti sulla non esaustività
e la fragilità del quadro indiziario su cui il provvedimento impugnato fonda
l’applicazione della misura.

Giovanni Romano e Giovanni Russolillo, poi deceduto; Luigi Pesce, de relato dal
cugino Pasquale Pesce, fratello della vittima, che aveva appreso dei fatti dalla
cognata Gina, moglie di Diego Basso, la quale avrebbe assistito all’omicidio dal
balcone; Giovanni Romano, de relato da Russolillo, che essendo zio della vittima
si opina avesse appreso dei fatti dalla medesima fonte primaria, Gina) e
verosimilmente attingenti le notizie da un’unica fonte primaria, Gina, moglie di
Diego Basso, che avrebbe assistito all’omicidio da una finestra o balcone; (b) da
una conversazione intercettata nel settembre 2009, ovverosia 5 anni più tardi, in
cui Schiano indicava i ricorrenti come autori dell’omicidio, asserendo di averli
nell’appartamento di Francesco Esposito, utilizzato come base di appoggio per
tendere l’agguato alla vittima.
3.2. Ciò posto, le dichiarazioni dei collaboratori, mediate da terzi e ricondotti
ad unica sorgente diretta, vanno evidentemente considerate alla stregua di
un’unica fonte, e non possono perciò valere l’una come riscontro dell’altra.
Per di più, come sottolinea Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv.
255141, «l’intuibile diffidenza verso la prova inoriginale» non può non aumentare
«in maniera direttamente proporzionale ai gradi di inoriginalità (informazioni di
seconda, terza, quarta mano e così via), in quanto crescono le possibilità di
errore o addirittura di inganno, che si riverberano sul fatto da accertare,
sfumandone progressivamente i contorni, sino al punto da rendere sempre più
difficoltosa, se non impossibile, la individuazione del vero».
E se è indubbio che «in un sistema ruotante intorno al principio del libero
convincimento del giudice […] la chiamata de relato è comunque utilizzabile ed
ha una sua efficacia, ove anche la fonte primaria non possa essere compulsata
(…) o si avvalga della facoltà di non rispondere (…) o ne divenga impossibile
l’audizione (…)», è altrettanto certo che «in tali ipotesi, la valutazione del mezzo
di prova di cui si discute assume caratteri di particolare complessità, nel senso
che, provenendo da persona che riferisce fatti non per scienza diretta, impone al
giudice del merito di apprezzare, con particolare attenzione e prudenza,
l’efficacia del medesimo mezzo di prova», che comunque necessita di
«convergenti e individualizzanti riscontri esterni in relazione al fatto che forma
oggetto dell’accusa e alla specifica condotta criminosa dell’incolpato».
3.3. Ora nel caso in esame, anche tralasciando le contraddizioni e le
incongruenze evidenziate dalla difesa che il Tribunale ha ritenuto irrilevanti con il
ricorso ad argomenti dialettici spesso scontati, senza soffermarsi sui possibili

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3.1. E’ opportuno ricordare che secondo il Tribunale i gravi indizi di
colpevolezza, per l’omicidio commesso nel 2004, si traevano: (a) dal racconto di
tre dichiaranti de relato, tutti però di terza mano (Raffaele Bavero, de relato da

profili di dubbio con la particolare prudenza sollecitata dalle Sezioni unite, due
considerazioni inficiano la tenuta logica e giuridica della motivazione.
3.4. La prima, fondamentale, consiste nella inesplicabile omessa menzione
dell’esame della fonte primaria o delle valide ragioni per cui la stessa non è stata
direttamente sentita.
Quando, come nel caso di specie, tra data del fatto, la raccolta delle prove e
la emissione della misura cautelare intercorre un intervallo di molti, troppi anni
(l’omicidio è di oltre 10 anni fa), la valutazione circa la tenuta del quadro
indiziario non può ragionevolmente essere fatta riservando ulteriori necessarie

non è serio, e neppure prudente in vista del possibile esito dibattimentale, che
venga emessa a distanza di dieci anni dal fatto una misura cautelare sulla base
delle chiamate in reità di tre soggetti che ripetono di terza mano quanto avrebbe
riferito un testimone diretto (“oculare”, si dice), che per di più non risulta avere
altra veste che quella di teste, senza ascoltare detto testimone (o considerare,
se ascoltato, quanto da lui dichiarato): nessuna ipotetica ragione di urgenza o
ímpellenza cautelare potendo spiegare tale omissione.
3.5. La seconda, che assume rilievo particolare a causa della rimarcata
intrinseca debolezza sul piano probatorio delle dichiarazioni de relato di cui si è
appena parlato, trae argomento dal fatto che l’unico riscontro individualizzante
riportato nel provvedimento impugnato consiste nella conversazione dello
Schiano intercettata nel 2009, in cui quello afferma che avrebbe visto i ricorrenti
nella base logistica preparata per l’omicidio.
Ma tale elemento – in disparte anche qui la poca attenzione prestata alla
collocazione temporale, che non consente di escludere l’interferenza di fonti
spurie o di voci, e alla intrinseca verosimiglianza del racconto vibratamente
contestata dalla difesa – non fornisce affatto convergente riscontro anche per la
specifica condotta criminosa attribuibile agli incolpati in base alle dichiarazioni
riportate de relato della Gina. La tesi che questa abbia raccontato quanto
osservato dalla sua abitazione quando, «è affacciata al balcone e vede
l’agguato» (p. 8), lascia intendere che il suo racconto ha ad oggetto persone
viste in strada, esecutori materiali insomma, mentre il racconto dello Schiano si
riferisce a gente vista solo, non si sa con precisione quando, nella base logistica,
e la cui condotta il Tribunale, parlando del Castiglione, definisce perciò
meramente “satellitare” (p. 18), in non spiegato contrasto con quanto poco
prima osservato attribuendo a Gina tutte le notizie riportate dai collaboratori che
assume riscontrati dallo Schiano.
4. Le carenze e incertezze evidenziate impongono dunque, assorbite e non
precluse le ulteriori censure, l’annullamento del provvedimento impugnato e il
rinvio al Tribunale di Napoli perché proceda a nuovo esame, attenendosi ai
principi enunciati.
Non comportando la presente decisione la rinnessione in libertà del
ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1
ter, disp. att. cod. proc. pen.

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yze,

verifiche a possibili successive acquisizioni che, nonostante il lunghissimo arco
temporale e pur potendo essere acquisite, sono state tralasciate. In altri termini

P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Napoli.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.
Così deciso il 30 settembre 2014

Il consigliere estensore

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