Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9717 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9717 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Lino Valente, nato a Lanusei il 22.4.1956
avverso la sentenza del 10 gennaio 2013 emessa dalla Corte d’appello di
Cagliari – Sezione distaccata di Sassari;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del sostituto procuratore generale Roberto Aniello, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile, l’avvocato Lorenzo G4isai, sostituto processuale
dell’avvocato Nicola Satta, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito, per l’imputato, l’avvocato Raneri Roda, sostituto processuale
dell’avvocato Paolo Fais, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Cagliari,
Sezione distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza del 14 giugno 2010
con cui il Tribunale di Sassari aveva ritenuto Lino Valente responsabile del
reato di peculato continuato, condannandolo alla pena di sei anni di

per la durata della pena, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte
civile, a cui era stata accordata anche una provvisionale.
Secondo l’accusa l’imputato, all’epoca dei fatti cassiere della Camera di
Commercio di Sassari, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2004, si sarebbe
appropriato di denaro dell’ente per un importo complessivo di euro 243.546,
di cui aveva il possesso per ragioni del suo ufficio.

2. L’avvocato Paolo Fais, nell’interesse dell’imputato, ha proposto ricorso
per cassazione.
Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. d)
c.p.p. in relazione all’art. 190 c.p.p., lamentando la mancata allegazione della
documentazione in base alla quale è stato ritenuto provato l’ammanco di
somme di denaro e l’illegittimo rigetto dell’istanza con cui la difesa ha chiesto
la rinnovazione del dibattimento. Il ricorrente si riferisce alla documentazione
esaminata dai dipendenti e funzionari della Camera di Commercio per
ricostruire la contabilità di cassa, documentazione che ha costituito oggetto
dei testimoni dell’accusa, ma che la difesa non ha potuto mai esaminare, con
la conseguenza che è stata inibita anche la possibilità di disporre una
consulenza di parte sulla medesima documentazione.
Con il secondo motivo, collegato al primo, denuncia la violazione dell’art.
192 c.p.p., evidenziando come la mancata produzione della documentazione
sopra indicata non può essere sostituita dalle testimonianze acquisite, in
quanto la difesa avrebbe dovuto poter esaminare tale documentazione per
verificare le modalità attraverso cui sarebbero state sottratte somme di
denaro.
Con un terzo motivo deduce il vizio di motivazione in quanto la Corte
d’appello ha omesso di rispondere ai motivi contenuti nell’atto di

2

reclusione, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’interdizione legale

impugnazione con cui si chiedeva la rinnovazione del dibattimento per
l’assunzione delle prove dedotte e non ammesse.
Con l’ultimo motivo lamenta la mancata applicazione delle attenuanti
generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO

La sentenza contraddice quanto sostenuto dal ricorrente in ordine sia alla
mancata allegazione della documentazione relativa alle operazioni da cui è
risultato l’ammanco di somme di denaro, sia alle prove della sottrazione del
denaro. Sulla prima questione la Corte d’appello sottolinea che è stata
depositata agli atti “ampia documentazione” contenente un analitico riepilogo
delle operazioni compiute; sull’altra afferma che la responsabilità
dell’imputato è basata sulle testimonianze e sulla stessa documentazione
acquisita, prove attraverso le quali è stato possibile ricostruire “con estrema
chiarezza” il meccanismo posto in essere dall’imputato per appropriarsi del
denaro. Inoltre, i giudici dopo aver premesso che i testi sono stati sentiti in
dibattimento, in contraddittorio delle parti, dove hanno reso dichiarazioni
anche in relazione alla documentazione depositata e ai controlli effettuati,
hanno evidenziato come la difesa non abbia né nominato consulenti di parte
per esaminare la documentazione, né depositato memorie critiche ovvero
sollevato censure specifiche sul metodo di controllo indicato dai testimoni.

4. Da quanto precede consegue anche l’infondatezza del terzo motivo, in
quanto la sentenza impugnata ha implicitamente escluso l’esigenza di ogni
ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria, avendo ritenuto le prove acquisite del
tutto idonee a dimostrare la piena responsabilità dell’imputato. Sicché deve
escludersi l’esistenza del dedotto vizio di motivazione.

5. Infine, del tutto infondato è anche l’ultimo motivo, avendo la sentenza
ampiamente motivato (pagina 10) le ragioni del trattamento sanzionatorio,
dando indiretta giustificazione della mancata applicazione delle attenuanti
generiche.

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3. I primi due motivi sono infondati.

6. In conclusione, l’infondatezza dei motivi proposti determina il rigetto
del ricorso, cui consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e
di quelle sostenute in questo grado dalla parte civile costituita, che si ritiene di
liquidare in complessivi euro tremila, oltre i.v.a. e c.p.a.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in euo
tremila oltre i.v.a. e c.p.a.
Così deciso il 3 dicembre 2013

Il Consigli re estensore

P.Q.M.

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