Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9714 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9714 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Di Martino Leonardo n. il 6.11.1958
avverso l’ordinanza n. 982/2013 pronunciata dal Tribunale della
libertà di Napoli il 14.10.2013;
sentita nella camera di consiglio del 13.2.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Mazzotta, che
ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv.to Esposito Fariello Giovanni del foro di
Napoli, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 13/02/2014

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Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 3.12.2013, Leonardo Di Martino, a mezzo
del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza in data 14.10.2013 con la quale il tribunale di Napoli ha
rigettato due appelli proposti dallo stesso Di Martino avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Napoli in data 1.2.2013,
con cui quest’ultima ha disposto l’aggravamento della misura cautelare degli arresti domiciliari con l’applicazione della custodia cautelare in carcere, a causa della ripetuta violazione, da parte dell’imputato,
del divieto di comunicazione e incontro con persone diverse dai familiari conviventi o destinate ad assisterlo.
Avverso l’ordinanza del tribunale di Napoli, il Di Martino ha
proposto ricorso per cassazione censurando il provvedimento impugnato per violazione di legge, con riguardo all’utilizzazione dei risultati di intercettazioni telefoniche disposte in altro procedimento,
nonché per vizio di motivazione, in relazione alla valutazione dei presupposti richiesti dall’art. 276 c.p.p. per l’aggravamento della misura
coercitiva.
In particolare, si duole il ricorrente che i giudici del merito abbiano utilizzato, ai fini della prova delle violazioni poste a fondamento dell’aggravamento della misura, il contenuto di intercettazioni telefoniche disposte nel corso di procedimento penale diverso da quello
relativo alla misura cautelare sofferta dal ricorrente, in violazione
dell’art. 270 c.p.p., e per aver erroneamente ritenute violate le prescrizioni relative alla misura cautelare degli arresti domiciliari in atto,
in assenza di elementi di prova inequivoci in tal senso.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Secondo la prospettazione critica argomentata dal ricorrente,
la prova dell’effettiva violazione, da parte dell’imputato, delle prescrizioni concernenti l’esecuzione della misura cautelare degli arresti
domiciliari, non può essere utilmente tratta dal contenuto di intercettazioni telefoniche disposte nel corso di un procedimento penale diverso da quello relativo alla misura cautelare sofferta dall’imputato,
essendo tale fonte di prova assoggettata ai limiti imposti dall’art. 270
c.p.p., secondo cui i risultati di tali intercettazioni non possono essere
utilizzati in procedimenti diversi, salvo che risultino indispensabili

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unicamente per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio
l’arresto in flagranza, e tanto, in contrasto con quanto sostenuto nel
provvedimento impugnato, là dove si è affermata la piena libertà del
giudice, ai fini de quibus, di valutare le predette intercettazioni quali
dati conoscitivi di natura documentale idonei, in quanto tali, a rappresentare il ricorso di comportamenti integranti violazioni alle prescrizioni imposte dal regime custodiale in atto e, dunque, a giustificare l’aggravamento della misura cautelare in esecuzione, ai sensi
dell’art. 276 c.p.p..
Sul punto, ritiene il collegio, in dissenso rispetto alla prospettazione critica del ricorrente, come i processi di determinazione delle
regole d’interpretazione e valutazione delle prove non possano in alcun modo prescindere, né dal contesto entro il quale le fonti della
prova vengono a formarsi, né dalle specifiche finalità che orientano e
definiscono il perimetro entro il quale è destinato ad assumere consistenza e valore il ragionamento probatorio.
Nel caso di specie, del tutto correttamente il tribunale napoletano ha evidenziato (sotto il profilo del contesto di formazione della
prova) come il divieto imposto dall’art. 270 c.p.p. debba essere convenientemente limitato alla sola considerazione dei risultati di intercettazioni telefoniche quali elementi di prova utilizzabili in sede processuale ai fini dell’accertamento della commissione di reati, detti risultati rimanendo pienamente utilizzabili a fini diversi, come (a mero
titolo esemplificativo) semplici notizie di reato o spunti per nuove e
diverse investigazioni, ed altresì quali dati conoscitivi di natura documentale idonei a rappresentare comportamenti integranti violazioni alle prescrizioni imposte dal regime custodiale in atto, con la
conseguente idoneità a giustificare l’eventuale aggravamento della
misura cautelare in esecuzione ai sensi dell’art. 276 c.p.p..
Al riguardo, osserva il collegio come, già in altra precedente
occasione, questa corte di cassazione ha avuto modo di sottolineare
l’esigenza di valorizzare l’essenziale diversità rilevabile tra il contesto
di formazione della prova costituito da un procedimento destinato
all’accertamento della commissione di un reato (in relazione al quale,
per la rilevante gravità delle conseguenze previste, appaiono coessenziali le garanzie di preservazione del contraddittorio), rispetto a un
ambito procedimentale più semplicemente diretto all’accertamento
di una violazione alle prescrizioni connesse al regime degli arresti

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domiciliari (tale da determinare, ai sensi dell’art. 276, comma 1,
c.p.p., il possibile aggravamento della misura cautelare), costituendo,
l’eventuale aggravamento disposto, non già una conseguenza di natura sanzionatoria riveniente dall’accertamento di fatti penalmente rilevanti, bensì l’effetto di una valutazione di adeguatezza della misura
restrittiva già in atto in ragione dell’entità e dei motivi della trasgressione rilevata (cfr. Cass., Sez. 4, 15 marzo 2013, n. 15570, Grassi).
Da ciò deriva il riconoscimento della piena libertà del giudice
della cautela di valutare tutti gli elementi di riscontro istruttorio disponibili ai fini del giudizio di adeguatezza della misura cautelare in
atto, ivi compreso il rilievo di eventuali violazioni alle prescrizioni riguardanti l’esecuzione della misura: violazioni che, ove emerse a seguito di elementi istruttori di natura documentale, non esimono il
giudice chiamato a valutarle dalla verifica della relativa attendibilità
secondo i comuni criteri.
Quanto alla prova della sussistenza dei presupposti per
l’adozione dell’aggravamento disposto nell’originario provvedimento
della Corte d’appello di Napoli, vale evidenziare come il tribunale
d’appello, sulla base di una motivazione completa ed esauriente, immune da vizi di indole logica o giuridica, abbia coerentemente dato
atto della rilevante pluralità dei contatti intrattenuti dal Di Martino
nel corso dell’esecuzione della misura degli arresti domiciliari con
soggetti estranei, non conviventi e non autorizzati a comunicare con
lui (come tali identificati degli operatori di polizia giudiziaria sulla
base del riconoscimento del timbro vocale e del linguaggio usualmente adoperato dagli stessi nel corso delle conversazioni intercettate),
oltre alla pluralità degli incontri con soggetti parimenti non autorizzati, come attestato dalle risultanze delle immagini registrate presso
l’accesso dell’abitazione all’interno della quale il De Martino era ristretto.
Lo stesso tribunale d’appello ha altresì coerentemente richiamato, nel quadro argomentativo della motivazione dettata a sostegno
del provvedimento adottato, il contenuto di una conversazione ambientale, nel corso della quale l’odierno ricorrente è risultato impartire, al proprio figlio Antonio (all’epoca latitante), direttive sui comportamenti da adottare nella gestione dei propri interessi criminali nella
zona di Castellammare di Stabia: comportamento correttamente rite-

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nuto dal giudice a quo di per sé incompatibile con la persistente conservazione di una misura cautelare rivelatasi inidonea a scongiurare
il pericolo di commissioni di ulteriori reati della stessa specie di quelli
ascritti al soggetto in stato di custodia cautelare.
La motivazione così compendiata dal giudice a quo deve ritenersi assistita da una solida strutturazione argomentativa, corretta
sul piano giuridico e del tutto conseguente in termini di coerenza logica, e come tale pienamente idonea a sfuggire ai vizi alla stessa imputati dalle censure critiche del ricorrente, nella specie per lo più limitate all’illustrazione di mere censure in fatto, come tali inammissibilmente proposte in questa sede di legittimità.
3. – Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere
attestata l’integrale infondatezza dei motivi di doglianza avanzati
dall’imputato, con il conseguente rigetto del relativo ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento
sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 c. i ter disp. att. del c.p.p.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.2.2014.

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