Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9701 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9701 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARANO GIUSEPPE N. IL 16/07/1952
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZA
avverso l’ordinanza n. 132/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
19/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/site le conclusioni del PG Dott. Lci i 6-1 i< 16 L L 0 #e"... A j( A.,t C 42 4 4 Data Udienza: 30/01/2014 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 19/11/2012 la Corte di Appello di Palermo rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Marano Giuseppe con riferimento alla detenzione in carcere patita dal 16/12/2008 al 14/01/2011 nel corso di un procedimento penale in cui era indagato per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsione: definito con sentenza del Tribunale di Palermo divenuta irrevocabile il 7/6/2011, che lo assolveva per La corte territoriale ha rigettato la domanda di indennizzo ravvisando nel comportamento dell'istante gli elementi di una condotta gravemente colposa sinergica alla produzione dell'evento restrittivo della libertà personale. Rilevava infatti che nella motivazione della sentenza assolutoria era evidenziato che il compendio probatorio dimostrava che il Marano aveva svolto un ruolo di intermediario nell'estorsione perpetrata dall'associazione mafiosa in danno di tale Rizzo Vincenzo, sebbene ciò fosse stato ritenuto inidoneo a configurare gli estremi dell'illecito penale ascritto, essendo emerso che tale ruolo il Marano aveva svolto «al fine di evitare che costui subisse l'estorsione da parte dell'associazione mafiosa, sia perché legato ... [allo stesso, n.d.r.] da rapporti di amicizia, sia per ottenere presso lo stesso un posto di lavoro che gli consentisse di ottenere la detenzione domiciliare». Argomentava pertanto che il riferito dato fattuale (ossia l'inserimento del Marano nell'estorsione posta in essere dalla "famiglia" di Corso Calatafimi in danno del Rizzo), «a prescindere dalle reali intenzioni che lo animavano, in quel momento rimaste oscure agli inquirenti», realizzavano «una condotta che dovette essere percepita dagli operanti ... come significativa, sul piano oggettivo, di un suo diretto coinvolgimento nella vicenda, evidentemente non chiarito con tempestività tale da neutralizzare subito i gravi indizi di colpevolezza rilevati a suo carico, che poi comportarono la sua custodia cautelare». Evidenziava in tal senso che, nel corso del suo interrogatorio di garanzia, «il Marano si limitò a protestare la propria innocenza, limitandosi ad affermare genericamente la propria estraneità alla vicenda». 4. Ricorre per cassazione il Marano, per mezzo del proprio difensore, denunciando motivazione illogica ed apparente ed erronea applicazione della legge penale o di norme processuali penali. Deduce anzitutto che la corte territoriale non ha motivato in ordine ai dati processuali che giustificano il convincimento circa la sussistenza della condotta attribuitagli, limitandosi ad affermare che tale circostanza risulterebbe provata 2 non aver commesso il fatto. dall'esame della sentenza assolutoria, ma senza fare alcun cenno agli elementi che sarebbero stati posti a fondamento dell'affermazione ivi contenuta. Rileva inoltre che ingiustificatamente la Corte assume che la detta circostanza avrebbe indotto gli operanti a ritenerlo coinvolto nella vicenda, omettendo di considerare che la descritta condotta non era stata oggetto di percezione diretta da parte degli investigatori, ma era stata riferita da collaboratori di giustizia. Riguardo a questi ultimi osserva che si trattava di soggetti privi di differente nel corso delle indagini e durante l'escussione dibattimentale, tanto che il Tribunale li ha ritenuto palesemente inattendibili, almeno riguardo alla posizione del Marano, con riferimento al quale peraltro la narrazione dei collaboranti non traeva fonte da una loro diretta percezione ma da quanto loro riferito da altri soggetti. Contesta inoltre di essersi limitato in sede di interrogatorio di garanzia a protestare la propria innocenza, posto che in quella sede ebbe ad evidenziare il rapporto di amicizia fraterna con il Rizzo e di essere stato dipendente della di lui pescheria nel 2002: ossia i soli elementi fattuali che egli poteva fornire agli inquirenti. 5. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze si è costituito depositando memoria e chiedendo che il ricorso sia respinto. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Motivi della decisione 6. Il ricorso è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l'ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all'emissione del provvedimento di custodia cautelare. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita 3 attendibilità intrinseca e che hanno fornito una ricostruzione della vicenda de qua della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all'adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. In tale operazione il giudice della riparazione, come ripetutamente precisato da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni divergenti da quelle assunte dal giudice penale, nel senso che circostanze oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni difensive sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di condanna, ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione idonee ad integrare la colpa grave ostativa al diritto all'equa riparazione. Ciò con l'unico limite per cui, in sede di riparazione per ingiusta detenzione, giammai può essere attribuita decisiva importanza, nel senso di considerarle ostative al diritto all'indennizzo, a condotte escluse (ovvero ritenute non provate) dal giudice penale o a circostanze relative alla condotta addebitata all'imputato con il capo di imputazione in ordine alle quali sia stata riconosciuta l'estraneità dell'imputato stesso con la sentenza di assoluzione (senza che possa avere rilievo se dalla sentenza emerga la prova positiva di non colpevolezza o piuttosto soltanto l'insufficienza o la contraddittorietà della prova: sul punto, Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993 - dep. 19/05/1994, Tinacci, Rv. 198491). 7. Nel caso di specie la Corte d'Appello di Palermo, giudice della riparazione, si è conformata a tali criteri. Invero, appare corretta su di un piano logico la valorizzazione, quale elemento di sospetto, riconducibile a condotta consapevole e volontaria dell'indagato, della circostanza rappresentata dall'inserimento dell'imputato nella vicenda estorsiva ai danni del Rizzo: circostanza venuta a conoscenza degli inquirenti senza alcun'altra connotazione che ne facesse emergere, al momento della determinazione cautelare (cui occorre ovviamente aver riguardo nella presente sede, ove il giudice della riparazione è chiamato a una valutazione ex ante del materiale indiziario considerato), una sua finalizzazione a favore della stessa vittima dell'estorsione o al più di un coincidente proprio interesse personale, ma non anche a favore del sodalizio mafioso cui l'estorsione era riconducibile. Del resto le doglianze del ricorrente non si appuntano nemmeno tanto su tale profilo, quanto sulla contestazione in radice della sussistenza di una valida motivazione sul punto, ossia della possibilità per il giudice della riparazione di poter ritenere validamente acquisita al processo tale circostanza. 4 dell'imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici elementi di Una siffatta contestazione però si rivela infondata, atteso che del tutto ragionevolmente il giudice della riparazione trae fondamento del proprio convincimento dalla stessa sentenza assolutoria che, come evidenziato nell'ordinanza impugnata, chiaramente afferma che il compendio probatorio acquisito giustificava il convincimento dell'esistenza, in punto di fatto, di un'attività di intermediazione del Marano nella vicenda estorsiva, escludendo soltanto che gli elementi acquisiti potessero altresì giustificare il convincimento che tale attività fosse stata condotta nell'interesse del sodalizio mafioso. sentenza assolutoria dovrebbe desumersi il contrario, per avere questa in radice esclu§9 ogni attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia da cui originava, anche per l'aspetto in questione, il convincimento espresso, non colgono nel segno, atteso che in realtà le valutazioni di inidoneità probatoria contenute in sentenza si riferiscono per l'appunto solo alla spiegazione in termini di compartecipazione al crimine originariamente date dai collaboranti, e non anche al dato fattuale dell'ingerenza in sè nella vicenda estorsiva. Né tantomeno può darsi ingresso in sede di giudizio di riparazione a rilievi mirati a contestare la correttezza di tale passaggio motivazionale della sentenza assolutoria, dovendosi lo stesso ritenere irretrattabile al di fuori della sede della cognizione penale. 3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre che alla rifusione, in favore del Ministero dell'economia, delle spese dallo stesso sostenute nel presente giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi euro 1.000,00. Così deciso il 30/01/2014 Le contestazioni sul punto svolte dal ricorrente, secondo cui in realtà dalla

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