Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9698 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9698 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Mezzatesta Nicola n. il 6.9.1940
Pecoraro Vincenzo n. il 13.4.1954
Costantino Sebastiano n. il 5.4.1965
avverso la sentenza n. 1761/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Palermo il 1.3.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 13.2.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Mazzotta, che
ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso;
udito per la parte civile l’avv.to L. Spinosa del foro di Termini
Imerese che ha concluso per la dichiarazione d’inammissibilità del
ricorso;
udito per l’imputato l’avv.to O. Agati che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 13/02/2014

,

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza in data 1.3.2013, la corte d’appello di Palermo ha integralmente confermato la sentenza in data 31.10.2011 con la
quale il Tribunale di Palermo ha condannato Nicola Mezzatesta, Vincenzo Pecoraro e Sebastiano Costantino alla pena di due mesi di reclusione ciascuno (oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, salvo il riconoscimento di una
somma a titolo di provvisionale) in relazione al reato di lesioni colpose commesso, in violazione della disciplina concernente l’esercizio
della professione medica, ai danni di Letizia De Filippi, in Palermo il
10.10.2006.
In particolare, agli odierni imputati, in qualità di medici chirurghi in servizio presso il reparto di chirurgia oncologica del presidio ospedaliero Maurizio Ascoli di Palermo, era stato contestato di
aver cagionato colpevolmente, ai danni della De Filippi, lesioni personali gravi, perché, nell’esecuzione di un intervento chirurgico di tiroidectomia totale in équipe, per negligenza e imperizia avevano
asportato, invece della tiroide, il timo della paziente, così sottoponendola a un intervento inutile e costringendola a effettuare un ulteriore intervento per l’asportazione della tiroide, con la conseguente
provocazione di una malattia di durata superiore a quaranta giorni.
Avverso la sentenza della corte d’appello, a mezzo del
comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione tutti e tre
gli imputati sulla base di un unico articolato motivo d’impugnazione.
In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata
per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte d’appello confermato la colpevolezza degli imputati a dispetto delle risultanze della consulenza tecnica medica depositata dalla difesa: consulenza che entrambi i giudici del merito avevano totalmente e immotivatamente trascurato facendo acriticamente proprie le diverse e opposte considerazioni svolte nella perizia d’ufficio, in tal senso incorrendo nell’evidente erroneità immediatamente rilevabile nella stessa asserzione peritale secondo cui nella letteratura scientifica non esisterebbero evidenze circa l’esistenza di ectopie timiche così manifeste da
determinare una confusione con la tiroide, nonché nella successiva
asserzione secondo cui, alla luce degli esami preparatori (e segnata2.1. –

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,

mente nell’ecografia preoperatoria), il timo non fosse ipertrofico, né
ci si trovasse in presenza di tessuto non tiroideo antistante.
Al contrario, i ricorrenti sottolineano come, secondo le indicazioni contenute nelle valutazioni tecniche dei consulenti di parte, la
situazione anatomica della paziente era emersa in termini di tale rarità, complessità e di difficile diagnosticabilità preoperatoria da rendere altamente possibile lo scambio tra il timo e la tiroide e la (avvenuta) mancata asportazione di quest’ultima, avendo la letteratura scientifica internazionale riportato circa cento casi di timi ectopici cervicali
ed essendo emersi limiti obiettivi dell’esame ecografico condotto sulla
paziente, con la conseguente prospettazione, nel caso di specie, di un
intervento caratterizzato da un elevato grado di difficoltà tecnicoscientifico, tale da rendere pienamente scusabile l’avvenuta asportazione del timo al posto della tiroide.
Sotto altro profilo, i consulenti tecnici di parte avevano sottolineato l’insussistenza di alcuna obiettiva lesione dell’integrità fisica
della paziente, avendo gli imputati proceduto all’asportazione di un
timo in sede non congrua, vieppiù caratterizzato da un tessuto iperplastico foriero di trasformazioni maligne in futuro tale da rendere
necessaria la relativa asportazione.
Da ultimo, i ricorrenti censurano la decisione della corte territoriale nella parte in cui ha omesso di articolare alcuna argomentazione in ordine alla doglianza difensiva relativa al mancato accertamento dello specifico ruolo rivestito dagli imputati nel corso
dell’operazione chirurgica, con la conseguente impossibilità di procedere all’applicazione della disciplina relativa alla responsabilità da
intervento chirurgico in équipe.
All’odierna udienza la parte civile ha concluso in conformità alle note scritte contestualmente depositate.
2.2. –

Considerato in diritto
3. — Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, rileva la corte come dall’esame dello sviluppo motivazionale seguito in entrambe le decisioni di merito (che,
concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova
posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un
unico complesso corpo argomentativo: cfr. Cass., Sez. i, n.

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8868/2000, Rv. 216906 e segg. conformi) è emerso come la prova
della responsabilità degli imputati sia stata raggiunta sulla base di
un’articolata considerazione critica di tutti i fatti sottoposti a giudizio,
a loro volta ricostruiti secondo coerenti e logicamente ineccepibili linee argomentative.
Con particolare riguardo all’asserita mancata (o trascurata)
valutazione delle considerazioni contenute nella consulenza tecnica
di parte prodotta in giudizio dagli imputati, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità in
forza del quale, in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che
ritenga di aderire alle conclusioni del perito, in difformità da quelle
del consulente della parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e
dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni
dell’ausiliario dell’ufficio, senza ignorare le argomentazioni contrarie,
come nella specie accaduto in termini espressi (cfr. fl. 8 ss. della sentenza d’appello), avendo la corte territoriale dato conto in termini
puntuali dell’infondatezza delle prospettazioni avanzate dalla difesa
in termini medico-specialistici, essendo nella specie emersa la particolarità del timo e della tiroide, il loro posizionamento in modo differenziato e, soprattutto, la relativa connotazione secondo caratteristiche morfologiche diverse, tali da indurre a concludere nel senso della
grave negligenza e imperizia (e quindi della gravità della colpa) degli
imputati, avuto altresì riguardo alla presenza di preventivi esami clinici del tutto precisi e chiari nell’attestare una grave patologia tiroidea e l’assenza di alcunché di anomalo, per converso, con riguardo al
timo.
Ne consegue la non ravvisabilità, nella specie, di alcun vizio di
motivazione, non essendo emerso in alcun modo che le conclusioni
delle consulenze di parte fossero tali da dimostrare in modo inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali (Cass., Sez. 1, n.
25183/2009, Rv. 243791; Cass., Sez. 4, n. 34379/2004, Rv. 229279;
Cass., Sez. i, n. 6528/1998, Rv. 210712).
Quanto alla corretta conduzione del giudizio controfattuale, è
appena il caso di sottolineare come la corte territoriale abbia espressamente evidenziato come l’eventuale osservanza, da parte degli imputati, delle regole cautelari ricostruite sulla base delle leges artis,

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avrebbe consentito con certezza, secondo un giudizio di elevata probabilità logica corroborato dalle evidenze probatorie del caso di specie, di evitare l’evento lesivo sulla base dell’oggettivo criterio della
prevedibilità e della prevenibilità dell’evento, secondo la miglior
scienza ed esperienza del momento storico nello specifico settore,
apparendo d’intuitiva evidenza come una più attenta e scrupolosa valutazione del caso di specie avrebbe marcato in modo inequivocabile
la distinzione tra i due organi della paziente, con la conseguente possibilità di una corretta esecuzione dell’intervento terapeutico a beneficio della stessa.
Quanto all’obiettività della lesione provocata a carico
dell’integrità fisica della paziente, rileva il collegio come del tutto correttamente (e in termini di coerente linearità argomentativa) i giudici
del merito abbiano sottolineato come l’erroneità dell’intervento eseguito dagli imputati avesse sicuramente provocato delle lesioni a carico della paziente, atteso che, indipendentemente dalla mancanza di
conseguenze più gravi dovute all’asportazione non dovuta del timo, la
semplice circostanza dell’asportazione dello stesso aveva in ogni caso
determinato un’ingiustificata compromissione dell’integrità fisica
della paziente in relazione alla quale quest’ultima non aveva prestato
alcun consenso; e tanto, al di là della considerazione dell’ulteriore lesione consistita nel taglio chirurgico ingiustificatamente subito per
un intervento rivelatosi del tutto inutile.
Da ultimo, devono ritenersi destituite di fondamento le censure illustrate dai ricorrenti in relazione al mancato accertamento dello
specifico ruolo rivestito dagli imputati nel corso dell’operazione chirurgica, essendosi la corte territoriale sul punto correttamente allineata (preso atto dell’incontestata partecipazione di tutti e tre gli imputati all’équipe chirurgica intervenuta sulla De Filippi) al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa corte di legittimità, ai
sensi del quale, in tema di colpa medica nelle attività d’équipes, delle
lesioni del paziente risponde ogni componente dell’équipes, che non
osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, e che venga peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici in modo da porre rimedio
ad eventuali errori, che pur posti in essere da altri siano evidenti per
un professionista medio (Cass., Sez. 4, n. 33619/2006, Rv. 234971;

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4. – Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere
attestata l’integrale infondatezza di tutti motivi di doglianza avanzati
dai ricorrenti, con il conseguente rigetto del relativo ricorso e la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida come da dispositivo.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione
delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi euro
2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.2.2014.

Cass., Sez. 4, n. 41317/2007, Rv. 237891; Cass., Sez. 4, n.
18548/2005, Rv. 231535).

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