Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9697 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9697 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
DI MARIA Domenico n. Palermo l’8 dicembre 1968
avverso la sentenza emessa il 14 aprile 2015 dal giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Livorno

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
letta la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Enrico Delehaye, che ha
chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

JL

Data Udienza: 17/11/2015

ZRitenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 14 aprile 2015 il giudice per le indagini preliminari del

Tribunale di Livorno disponeva, su richiesta delle parti, l’applicazione della pena concordata di
anni uno, mesi otto di reclusione ed euro 400,00 di multa -riconosciute le circostanze
attenuanti generiche e l’attenuante prevista dall’art.62 n.6 cod.pen. prevalenti sulla contestata
aggravante ed esclusa la recidiva, con la riduzione per il rito)- nei confronti di Di Maria
Domenico in ordine al reato di rapina aggravata ascrittogli in concorso con Santini

applicata al Di Maria con sentenza della Corte di appello di Firenze dell’Il novembre 2010.
2.

Avverso la predetta sentenza il Di Maria, tramite il difensore, ha proposto ricorso

per cassazione deducendo:
1) l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta circostanza
aggravante di cui all’art.629, comma secondo, in relazione al terzo comma n.1 dell’art.628
cod.pen. (aver agito in più persone riunite), pur non essendo detta aggravante ricompresa tra
quelle espressamente citate nell’ultimo capoverso dell’art.628 cod.pen. e richiamate come tali
(“se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”)
dal secondo comma dell’art.629; con la legge 15 luglio 2009 n.94, nell’art.628 cod.pen. è stato
infatti aggiunto un quarto comma, che attualmente è l’ultimo, con il quale si prevede
espressamente per le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3, 3 bis, 3 ter e 3 quater, un
particolare regime di bilanciamento con le attenuanti; poiché il secondo comma dell’art.629
cod.pen. è rimasto immutato il riferimento all’ultimo capoverso dell’articolo precedente,
secondo il ricorrente non potrebbe esservi spazio per un’interpretazione diversa da quella del
riferimento all’ultimo capoverso dell’art.628 cod.pen. nella nuova formulazione, che non
richiama l’aggravante delle persone riunite e che comunque non corrisponde più al terzo
comma in cui al n.1 era prevista l’aggravante suddetta; il giudice di primo grado avrebbe
quindi commesso, nel riferire la forma aggravata dell’art.629 cod.pen. anche alle ipotesi
aggravate della rapina previste esclusivamente dal terzo comma dell’art.628 cod.pen. e non
dall’ultimo comma di detto articolo, “una gravissima violazione dei principi di tassatività e di
determinatezza dell’art.25 della Costituzione nonché dell’arti c.p.”.
2)

la violazione di legge con riferimento all’art.168, comma primo n.1, cod.pen. quanto

alla revoca della sospensione condizionale della pena riconosciuta al Di Maria con sentenza
della Corte di appello di Firenze dell’Il novembre 2010; il dato letterale della norma non
sarebbe così chiaro da far escludere che, ai fini della revoca del beneficio, il riferimento alla
medesima indole rilevi, oltre che per le contravvenzioni, anche per i delitti; differenziare in
quest’ambito la condizione di coloro che commettano un delitto o una contravvenzione della
stessa indole non sarebbe “giuridicamente e costituzionalmente sostenibile”,
contrasto con l’art.3 della Costituzione.

ponendosi in

Giannantonio. Il giudice contestualmente revocava la sospensione condizionale della pena

.7.

Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato al
contenuto nell’accordo tra le parti e che la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo
l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore

accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione
presenti margini di opinabilità (Cass. sez.III 24 giugno 2015 n.34902, Brughitta e altro; sez.VI
20 novembre 2008 n.45688, Bastea; sez.III 23 ottobre 2007 n.44278, Benha; sez.VI 10 aprile
2003 n.32004, Valetta). Nel caso di specie l’imputazione inizialmente formulata, comprensiva
dell’espresso riferimento all’aggravante delle più persone riunite, è stata recepita e come tale
ratificata dal giudice e l’imputato l’ha implicitamente accettata. Peraltro la dedotta violazione di
legge deve escludersi, avendo le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 21837 del
2012 affermato che il rinvio del secondo comma dell’art.629 cod.pen. deve intendersi fatto al
terzo comma dell’art.628 cod.pen. in quanto solo con la successiva legge 15 luglio 2009 n.94
(art.3, comma 27, lett.b) all’articolo in questione è stato aggiunto un nuovo ultimo comma.
1.2.

Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato.

Nel ricorso si richiama la consolidata giurisprudenza di legittimità, che il collegio
condivide essendo basata sull’interpretazione letterale della norma, secondo la quale ai fini
della revoca della sospensione condizionale della pena prevista dall’art. 168, n. 1, cod. pen.,
l’identità dell’indole del reato commesso nei termini stabiliti opera solo con riferimento alle
contravvenzioni e non si estende ai delitti, con la conseguenza che l’ulteriore delitto è sempre
causa di revoca, quale che sia la sua natura (tra le tante, Cass. sez.VI 6 febbraio 2013
n.10349, Grassetti; sez.I 2 luglio 2008 n.31365, P.M. in proc. de Filippis). Peraltro nel ricorso,
in maniera del tutto superficiale, si prospetta una pretesa disparità di trattamento tra colui al
quale la sospensione venga revocata per aver commesso una contravvenzione della stessa
indole e colui al quale il medesimo beneficio venga revocato per aver commesso
semplicemente un ulteriore delitto, senza valutare la diversa gravità attribuita in astratto dal
legislatore alle due categorie di reati attraverso la previsione di pene differenti.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che,
in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.500,00.
P.Q.M.

cfr,

manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 17 novembre 2015

Il Presidente est.

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