Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9690 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9690 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TAORMINA SALVATORE N. IL 29/07/1956
avverso l’ordinanza n. 264/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
31/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/se,pk1e le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 12/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, con
ordinanza del 31/5/2013 rigettava l’incidente di esecuzione proposto da
Taormina Salvatore avverso l’ordine di esecuzione e carcerazione emesso dalla
Procura Generale per una pena di anni otto, mesi due e giorni ventisei di
reclusione.
La sentenza di condanna di Taormina era stata annullata da questa Corte

dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 309 del 1990 in relazione al
capo H”, con rinvio per il nuovo giudizio sul punto alla Corte d’appello di Roma.
Secondo il ricorrente, la pronuncia non era divenuta esecutiva e non
permetteva l’emissione dell’ordine di esecuzione. La Corte osservava,
all’opposto, che, ai sensi dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., la condanna
per il reato associativo era divenuto irrevocabile; esso era stato individuato come
reato più grave, con fissazione della pena base di anni quattordici di reclusione,
ridotta di un terzo per il rito abbreviato. L’annullamento con rinvio incideva
soltanto sulla misura dell’aumento per la continuazione calcolato in relazione ai
reati fine, aumento di cui l’ordine di esecuzione non aveva tenuto conto in attesa
della determinazione da parte del giudice di rinvio.

2. Ricorrono per cassazione i difensori di Taormina Salvatore, deducendo
distinti motivi.
In un primo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge: il presidente
del Collegio che aveva emesso l’ordinanza impugnata aveva fatto parte del
Collegio che aveva pronunciato la sentenza in esecuzione e si trovava, quindi, in
condizione di incompatibilità.
In un secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di
motivazione. Esisteva connessione essenziale tra il reato associativo e i reati
fine, rientrando tutte le condotte nella disciplina del d.P.R. 309 del 1990.
Inoltre, la parte motiva della sentenza di annullamento riportava la particella
“e”, assente nel dispositivo: in essa si affermava che la sentenza impugnata
doveva essere annullata limitatamente alla determinazione della pena e con
riferimento alla esclusione dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 309
del 1990. La sentenza di annullamento, quindi, aveva disposto l’annullamento
parziale con rinvio per la determinazione complessiva della pena: in caso
contrario, la Corte sarebbe ricorsa all’art. 620, comma 1, lett. I) cod. proc. pen.,
determinando direttamente la pena da eseguire.
In definitiva, si era formato un giudicato sulla responsabilità dell’imputato

2

“limitatamente alla determinazione della pena con riferimento all’esclusione

ma, non essendo ancora intervenuta la determinazione della pena, la sentenza
non era utilizzabile come titolo esecutivo.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con
revoca dell’ordine di esecuzione o con rinvio.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per la
declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi.

1. Preliminarmente deve rilevarsi l’inutilizzabilità della documentazione
prodotta in data odierna dalla difesa del ricorrente.
L’art. 611 cod. proc. pen. prevede, infatti, che il deposito di memorie possa
avvenire fino a cinque giorni prima dell’udienza.

2. Il ricorso è infondato.

La causa di incompatibilità denunciata in ricorso non sussiste: non è
ipotizzabile una causa di incompatibilità (non prevista dall’art. 34 cod. proc.
pen.) del giudice dell’esecuzione rispetto a quello che in sede di cognizione abbia
pronunziato sentenza di condanna, posto che la competenza del giudice
dell’esecuzione promana inderogabilmente dalla sua identificazione con il giudice
della fase cognitiva e che, nell’ambito di detta competenza, non può configurarsi
alcuna divaricazione fra l’intervenuto giudicato e l’oggetto della deliberazione da
adottarsi in executivis (Sez. 2, n. 11014 del 06/12/2012 – dep. 08/03/2013,
Aramino, Rv. 255354).

3. Il principio che questa Corte costantemente deduce dal disposto dell’art.
624, comma 1, cod. proc. pen. è che la formazione del giudicato parziale, per
essere la decisione di condanna divenuta irrevocabile in relazione
all’affermazione di responsabilità per uno o per alcuni dei reati contestati con
indicazione della pena che il condannato deve comunque espiare, impone che la
condanna sia messa in esecuzione, a nulla rilevando l’annullamento con rinvio
per gli altri autonomi capi (Sez. 1, n. 23592 del 05/06/2012 – dep. 14/06/2012,
Martuzi, Rv. 253337); ugualmente, a nulla rileva l’annullamento con rinvio
limitato alla sussistenza di una circostanza aggravante (Sez. 1, n. 41941 del
21/09/2012 – dep. 25/10/2012, Pitara’, Rv. 253622).
Tuttavia è necessario che sia stata determinata la pena minima che il
condannato deve comunque espiare (Sez. 1, n. 32477 del 19/06/2013 – dep.

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

25/07/2013, Dello Russo, Rv. 257003).

I presupposti sussistono nel caso di specie. Come esattamente rilevato dalla
Corte territoriale, la pronuncia di annullamento con rinvio ha riguardato
l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. 309 del 1990, che trova applicazione solo per
i reati di cui all’art. 73 stesso d.P.R.; poiché il calcolo della pena complessiva ha
individuato il reato associativo come reato più grave e, quindi, la pena base è
stata calcolata alla luce della sanzione edittale prevista da quella norma,

pena per la continuazione con i reati di cui agli artt. 73 d.P.R. 309 cit.: la pena
minima eseguibile è, quindi, certa e doverosamente è stata posta in esecuzione.

Il ricorrente fa leva sulla congiunzione “e” presente nella motivazione della
sentenza di annullamento (“la sentenza impugnata va annullata nei confronti di
TURONE Girolamo e TAORMINA Salvatore limitatamente alla determinazione
della pena e con riferimento alla esclusione dell’aggravante di cui al D.P.R. n.
309 del 1990, art. 80, comma 2 in relazione al reato di cui al capo H”) per
sostenere che l’annullamento affidava al giudice di rinvio la determinazione
complessiva della pena: ma si tratta di tesi insostenibile, tenuto conto che
l’aggravante in questione riguardava solo i reati di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del
1990 e non il reato associativo.

Si deve, infine, escludere che sussista una connessione essenziale, ai sensi
dell’art. 624 comma 1, cod. proc. pen., tra reato associativo e reati fine: la
questione non concerne la medesima natura dei reati – che il ricorrente
sottolinea essere tutti attinenti al commercio di stupefacente – ma l’incidenza
della decisione demandata al giudice di rinvio sulle parti della sentenza non
annullate; la connessione manca nel caso di specie, in quanto la decisione del
giudice di rinvio non avrà alcun effetto né sulla condanna per il reato associativo,
né – come si è detto – sulla misura della pena irrogata per detto reato.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 12 febbraio 2Cr1 .4

l’annullamento pronunciato riguarda esclusivamente la misura dell’aumento della

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