Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9668 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9668 Anno 2014
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

Data Udienza: 05/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AVVENTO GIOVANNI N. IL 22/12/1960
BILLIZZI MASSIMO CARMELO N. IL 06/04/1975
EMMANUELLO ALESSANDRO N. IL 20/08/1967
GAMMINO GIANLUCA N. IL 17/09/1974

rart

avverso la sentenza n. 29/2010 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANIA, del 03/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. T.
che ha concluso per
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La decisione di secondo grado, prendendo in esame i motivi proposti e considerando il mutato atteggiamento processuale - intervenuto nel corso del processo d'appello - degli imputati Billizzi e Gammino : Emmanuello Alessandro, consistente nella affermazione di penale responsabilità per i delitti di concorso in plurimo omicidio con le aggravanti della premeditazione e della finalità di agevolazione mafiosa e per i relativi reati connessi in tema di armi (capi A - B della rubrica) , con condanna di Avvento Giovanni alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per mesi sei e di Emmanuello Alessandro alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per anni uno e mesi otto, oltre alle pene accessorie ed al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, cui erano state attribuite provvisionali; - rideterminava, a seguito di concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti diverse da quella di cui all'art. 7 legge n.203 del '91, le pene inflitte in orimo grado a Billizzi Massimo Carmelo e Gammino Gianluca, ritenuti responsabili dei reati loro ascritti di concorso in plurimo omicidio con le aggravanti della premeditazione e della finalità di agevolazione mafiosa e relativi reati connessi (per il Billizzi capi A e B, per il Gammino capi A - B - C) e rimodulava le pene accessorie, ferma restando la comune statuizione di condanna al risarcimento dei danni. La vicenda oggetto delle due decisioni di merito consiste nella ricostruzione degli accadimenti che portarono in data 2 gennaio 1999, poco dopo le ore 18.00, in Vittoria, alla barbara uccisione di cinque persone - Mirabella Angelo, Moda Claudio, Nobile Emanuele, Salerno Rosario e Ottone Salvatore - fatte oggetto di numerosi colpi di arma da fuoco mentre si trovavano all'interno di un bar, sito nei pressi di un distributore di carburante, in via Cavalieri di Vittorio Veneto nella zona dell'ospedale civico. L'episodio delittuoso in questione - noto come strage di Vittoria - ha dato luogo a diversi procedimenti, alcuni già pervenuti a decisioni irrevocabili. In particolare, con una prima sentenza emessa in primo grado nell'anno 2002 (divenuta irrevocabile nel 2005) è stata affermata la penale responsabilità di Piscopo Giovanni, Píscopo Alessandro (classe '60), Piscopo Alessandro (classe '62) e Mangione Enzo. - confermava la decisione di primo grado nei confronti di Avvento Giovanni e .. In un secondo momento risulta affermata, con sentenza del 2008 divenuta irrevocabile in data 8 febbraio 2011, la penale responsabilità di La Rocca Carmelo, cui è stato attribuito il ruolo di autista della vettura da cui erano discesi i due sicari . Conviene, pertanto, esaminare - in sintesi - i contenuti delle due decisioni di merito che hanno riguardato gli odierni ricorrenti, posto che la sentenza di secondo grado richiama - in più occasioni - i contenuti della decisione di primo grado. 1.1 la decisione di primo grado. Nel giudizio di primo grado si è ritenuta raggiunta la prova della penale responsabilità di Avvento Giovanni, Billizzi Massimo Carmelo, Emmanuello Alessandro e Gammino Gianluca in virtù della esistenza di più fonti dichiarative, consistenti in particolare nelle narrazioni provenienti da Piscopo Giovanni e da Piscopo Alessandro classe '60 - soggetti già ritenuti responsabili in via definitiva del concorso nel grave fatto di sangue - , valutatate unitamente a quelle provenienti da Amadio Diego, Trubia Rosario, Smorta Crocifisso ed altri di minor valenza. Tali dichiarazioni, provenienti da soggetti coinvolti o comunque posti - a vario titolo - a conoscenza della fase progettuale ed esecutiva del delitto, risultano peraltro valutate unitamente alle risultanze di generica, ai contenuti delle precedenti decisioni sull'episodio e alle risultanze di specifiche attività investigative consistenti in intercettazioni e acquisizione di dati relativi al traffico telefonico. Il delitto, nella ricostruzione dei primi giudici - convalidata e richiamata dalla Corte d'Assise d'Appello - risulta maturato nell'ambito del contrasto all'epoca insorto nel territorio in questione tra l'organizzazione mafiosa 'cosa nostra', rappresentata in Gela dalla famiglia Emmanuello e la concorrente organizzazione della 'stidda', cui apparteneva - in particolare - tra le vittime, Mirabella Angelo. Risulterebbe, infatti, confermata dalle acquisizioni probatorie l'iniziale ricostruzione investigativa - alimentata nel primo accertamento giudiziario dalle dichiarazioni rese da altro collaborante, Iacona Andrea - circa una precisa volontà del gruppo dei 'gelesi' - retto da Emmanuello Alessandro e Emmanuello Daniele (quest'ultimo deceduto) di sottoporre a controllo mafioso il territorio di Vittoria e ciò attraverso il reclutamento di taluni soggetti - in particolare Avvento Giovanni e i fratelli Piscopo - già operanti in quella zona, cui affidare compiti di raccolta delle estorsioni ed altre attività illecite. In tale contesto si sarebbe in un primo momento stabilito un accordo con Mirabella Angelo - rappresentante in Vittoria della 'stidda' - accordo che tuttavia non sarebbe stato rispettato da » quest'ultimo, il che avrebbe sostanzialmente condotto alla decisione di eliminazione del Mirabella, essenziale obiettivo della spedizione di morte. Ciò posto, la Corte di primo grado poneva alla base del percorso ricostruttivo come si è detto - essenzialmente i contributi collaborativi di Piscopo Giovanni, ritenuto uno dei due esecutori materiali del delitto, Piscopo Alessandro, Amadio Diego, Trubia Rosario e Smorta Crocifisso. Detti apporti narrativi, ampiamente riportati nella decisione di primo grado, possono essere sintetizzati come segue, rinviando ai contenuti della decisione per una più ampia comprensione : - Piscopo Giovanni (sentenza di primo grado, pagine da 40 a 76) ha confermato di essere uno dei due esecutori materiali del delitto, commesso unitamente a Gammino Gianluca e ne ha illustrato la genesi deliberativa, oltre agli aspetti più strettamente esecutivi ; - ha affermato di aver ricoperto il ruolo di responsabile della zona di Vittoria per conto della organizzazione 'cosa nostra' radicata in Gela, su incarico di Emmanuello Alessandro, persona da lui conosciuta in modo approfondito durante un comune periodo di soggiorno in Germania. Per gli affari di maggior rilievo, pur essendo dotato di una certa autonomia, era sottoposto alla autorità di Ernmanuello Alessandro ; - ha riferito circa una strategia, maturata durante i primi incontri tra le persone del suo gruppo - tra cui Avvento Giovanni ed il fratello Piscopo Alessandro - e i membri di cosa nostra gelese, di intrattenere relazioni nella zona di Vittoria con gli esponenti di vertice del clan Dominante e dunque con Mirabella Angelo, aderenti alla diversa confederazione della 'stidda'. Ma in realtà si sarebbe trattato di una 'finta alleanza' che mirava a consentire la penetrazione dei 'gelesi' nel territorio in questione attendendo il momento propizio per eliminare il Mirabella; - tale momento si sarebbe presentato tra novembre e dicembre del 1998 quando Mirabella avrebbe violato i patti che erano stati formalizzati, riscuotendo per proprio conto (e senza dare avviso) i proventi di una estorsione ad un supermercato; inoltre Mirabella avrebbe anche picchiato, in una diversa occasione, una persona vicina ai Piscopo, tal Mangione Enzo; - da qui una prima riunione per comporre il dissidio che si sarebbe tenuta presso l'abitazione dello stesso Mirabella, riunione cui si sarebbe recato Piscopo Alessandro unitamente a Avvento Giovanni. Nel corso della riunione sarebbe stato contattato telefonicamente proprio Alessandro Emmanuello che avrebbe, formalmente, rassicurato il Mirabella; - in realtà, poche ore dopo tale riunione, Piscopo Giovanni sostiene di aver ricevuto da Emmanuello Alessandro l'ordine di attivarsi per eliminare il Mirabella. E Precisa che i rapporti con Emmanuello Daniele - soggetto posto al vertice della famiglia Emmanuello - erano invece tenuti dal fratello Piscopo Alessandro, che lo contattava tramite Giovanni Avvento o Giuseppe Sarti; - appena ricevuto l'ordine o comunque l'assenso di Emmanuello Alessandro, Piscopo Giovanni avrebbe informato di tale decisione, tra gli altri, suo fratello Alessandro e Giovanni Avvento. Si sarebbe dovuto eliminare il Mirabella ed eventualmente le altre persone del clan Dominante che erano con lui. Su indicazione ricevuta da Alessandro Emmanuello si sarebbe dovuto contattare un Billizzi Carmelo. Costui, a dire del Piscopo, sarebbe stato contattato da Avvento Giovanni. Vi sarebbe stata, come precisa successivamente, anche una riunione presso l'abitazione di Avvento, ove erano presenti lui, suo fratello, Avvento e Gammino Luca. In tale occasione non era presente Billizzi e Gammino, del gruppo gelese, venne messo in contatto telefonico con Emmanuello Alessandro. Solo dopo detta riunione sarebbero stati attivati i contatti con Billizzi ; - circa la materiale organizzazione, precisa che le armi vennero procurate in parte da Billizzi Carmelo e in parte da lui stesso (una semiautomatica glock e un fucile a canne mozze) . Vi sarebbe poi stata la necessità di controllare i movimenti del Mirabella in Vittoria attraverso una persona che non insospettisse il bersaglio dell'azione ma al contempo riferisse al gruppo in maniera riservata e tempestiva detti spostamenti. Di ciò si sarebbe occupato Avvento Giovanni, incaricando una persona a lui vicina, che Piscopo non conosceva e che apprenderà poi essere Amadio Diego. Detto soggetto, per evitare problemi, non doveva essere a conoscenza del proposito omicidiario ma solo del fatto che bisognava dare 'una lezione' al Mirabella. Inoltre, in successivo incontro con Avvento si stabilì che questo soggetto, per evitare di essere confuso con i bersagli dell'azione, doveva indossare una sciarpa rossa bene in vista ; - ai soggetti coinvolti nei preparativi dell'omicidio (Piscopo Giovanni stesso, Piscopo Alessandro, Avvento Giovanni, Billizzi Carmelo e il 'palo') sarebbero state consegnate cinque schede telefoniche senza intestatario, da utilizzare esclusivamente per comunicazioni relative al delitto e successivamente da distruggere. Nel prosieguo della narrazione, Piscopo Giovanni precisava inoltre che : - la scelta del co-esecutore nella persona di Gammino Luca venne fatta da Billizzi Carmelo; - vi fu un primo tentativo di esecuzione poco prima delle festività natalizie ma la telefonata del 'palo', che era stato incaricato da Avvento Giovanni non arrivò. Da qui la decisione di sospendere per alcuni giorni - presa da Billizzi - e rivedersi il 2 gennaio, giorno in cui fu Billizzi ad insistere per l'esecuzione; 5 esponente di cosa nostra gelese, per l'organizzazione del delitto, nella persona di - la vettura da utilizzare per l'operazione sarebbe stata guidata da La Rocca Carmelo, lui e Gammino avrebbero fatto fuoco e successivamente la vettura doveva essere abbandonata e distrutta. Della distruzione doveva occuparsi Piscopo Alessandro, poi sostituito dal cugino omonimo perchè proprio il 2 gennaio la madre dei Piscopo aveva avuto un incidente; - il gruppo di fuoco aveva ricevuto notizia che quel giorno la moglie di Mirabella era stata ricoverata in ospedale per partorire. Si decise di partire e di recarsi all'ospedale, anche per le insistenze del Billizzi. Mentre si trovavano nei pressi dell'ospedale arrivò la chiamata del 'palo' che segnalava la presenza di Mirabella nel bar adiacente il distributore di carburanti Esso; erano a poca distanza ed intervennero rapidamente; - Piscopo descrive le modalità esecutive e la successione dei colpi verso le vittime, in parte esplosi da lui e in parte dal Gammino. Precisava inoltre che non conosceva il palo - trattasi di Amadio Diego - e che secondo gli accordi presi questa persona doveva restare in macchina ed indossare una sciarpa rossa, allo scopo di evitare di poter essere scambiato per un aderente al gruppo avversario; - dopo l'azione sarebbe stato eseguito il piano di fuga concordato con il cugino Piscopo Alessandro classe '62. Costui si fece trovare nel posto convenuto e si occupò di dar fuoco alla macchina; - Carmelo Billizzi, che li aspettava nel covo avrebbe comunicato telefonicamente - con una scheda intestata alla sorella di Enzo Mangione - l'avvenuta conclusione dell'operazione ad Alessandro Emmanuello, che si trovava in Germania; - lo stesso Piscopo si sarebbe recato in Germania il 4 o il 5 gennaio e si sarebbe lì incontrato con Alessandro Emmanuello. Per quanto riguarda gli accordi presi con i correi prima di recarsi in Germania precisava che - viste le dimensioni dell'accaduto, più gravi di quanto previsto Avvento Giovanni avrebbe dovuto prospettare al 'palo' l'entrata definitiva nel gruppo criminoso; in caso di mancato assenso il 'palo' doveva essere eliminato. A Giovanni Avvento, in sede esecutiva, era stato assegnato il compito di 'coprire' la fuga della vettura utilizzata per la strage. In particolare Avvento doveva sostare in un punto individuato - una rotonda sulla strada che collega Vittoria ad Acate - che si trovava sul percorso, non lontano dal luogo in cui sarebbe stata bruciata la vettura. Durante la fuga Piscopo Giovanni non vide ferma in quel posto la vettura di Avvento ma ottene poi conferma dal fratello Piscopo Alessandro che tale ruolo era stato svolto. La Corte di primo grado ritiene affidabile e coerente detto contributo probatorio, pur in presenza di talune contraddizioni che definisce «spiegabili»1 ed afferma che l'essere il Piscopo Giovanni già stato ritenuto responsabile della strage rappresenta un punto di decisiva rilevanza in punto di attendibilità. Vengono i definite covergenti le dichiarazioni rese dal Piscopo Giovanni con quelle di Amadio Diego e con quelle di Piscopo Alessandro. Le dichiarazioni di Piscopo Alessandro sono illustrate da pag. 79 a pag.91. In sintesi, tale collaborante : - confermava di aver avuto un ruolo nella organizzazione del delitto, consistente nel preparare la vettura poi effettivamente utilizzata; - rievocava i suoi primi contatti con Emmanuello Daniele per la creazione della cellula di 'cosa nostra' in Vittoria e affermava di esser stato contattato a tal fine fratello Piscopo Giovanni e La Rocca Carmelo; - confermava che nella fase iniziale si cercò di prendere accordi con il Mirabella, poi ci si rese conto che bisognava eliminarlo; lui ebbe tale incarico da Emmanuello Daniele. Riferiva che Smorta Cocifisso, reggente del gruppo gelese, era il suo tramite con Daniele Emmanuello. Sapeva che suo fratello era invece in contatto con Alessandro Emmanuello; - circa la fase esecutiva afferma che .. ognuno aveva i suoi ruoli .. e che il fratello teneva i contatti con i 'gelesi' ed in particolare con Billizzi; - nel primo tentativo era presente anche lui, ma non venne reperito il Mirabella. Il giorno della strage non partecipò perchè la madre aveva avuto un incidente; - dopo la strage aveva rivisto il fratello accompagnandolo all'ereoporto, ma non avevano parlato dell'accaduto. Aveva poi incontrato, successivamente, Giovanni Avvento ed in tale occasione Avvento gli aveva consegnato - da parte di Daniele Emmanuello - due pistole, raccomandando di non uscire di casa fino a quando non si fossero calmate le acque. Afferma di sapere che Giovanni Avvento, in fase esecutiva, doveva sorvegliare il bar frequentato dal Mirabella e che a tal fine aveva incaricato un ragazzo a lui vicino; - precisava che nè lui nè il fratello erano uomini d'onore ma erano una storica famiglia di Vittoria cui erano stati ammazzati altri fratelli dal clan Dominante negli anni '90 e pertanto volevano vendicarsi. Giova precisare che nel verbale delle sue prime dichiarazioni, acquisito su accordo delle parti, emerge che Piscopo Alessandro negava che Avvento Giovanni avesse avuto un ruolo nella strage, riferendo solo la circostanza della consegna delle due armi per conto di Emmanuello Daniele dopo la strage. Vengono poi riportate le dichiarazioni degli altri collaboranti. In particolare, Amadio Diego (pag. 93- 96) conferma il suo compito logistico di 'basista' a lui conferito da Avvento Giovanni, che gli aveva consegnato la scheda telefonica 'dedicata'. Amadio tuttavia non era stato posto al corrente della deliberazione omicidiaria, ma solo del fatto che bisognava dare 'una lezione' al 7 da Avvento Giovanni; vennero poi chiamati a far parte del gruppo anche suo Mirabella e per tale fatto risulta prosciolto dall'originaria accusa di concorso in omicidio. In ogni caso, riferisce che : - il controllo degli spostamenti di Mirabella era iniziato nei primi giorni di dicembre 1998, era stato sospeso nei giorni di natale ed era ripreso proprio il 2 gennaio. Sul punto, afferma che la sospensione gli venne comunicata non da Avvento ma dall'altra persona con cui gli era stato detto di interloquire, che lui non conosceva e che si esprimeva in dialetto gelese. Di tale circostanza non era stato informato Avvento, che avendolo incontrato lo redarguì per lo scarso si sarebbe innervosito per non essere stato avvisato dì tale sospensione. Fu Avvento a dare, tramite il nipote, il segnale di riprendere ; - il 2 gennaio era stato contattato sulla scheda dedicata, non da Avvento ma dall' altra persona che parlava in dialetto gelese e che gli aveva chiesto notizie; quando vede Mirabella nel bar avvisa sempre il referente gelese che gli risponde .. stiamo venendo.. . dopo poco vede sopraggiungere la lancia thema con tre persone a bordo; - dopo i primi colpi si allontana e si reca presso l'abitazione della madre di Avvento allo scopo di bruciare la scheda e gli indumenti indossati, in particolare un cappello e una sciarpa rossa che su specifica indicazione proveniente da Avvento aveva utilizzato durante questa attività per evitare di essere confuso con le vittime nel momento dell'agguato. Precisa altresì che nelle successive occasioni di incontro con Avvento - che lo aveva a quel punto inserito stabilmente nel gruppo - costui aveva affermato che ..lì hanno fatto una porcata... Quanto a Trubia Rosario costui per sua stessa ammissione aveva rivestito il ruolo di reggente di cosa nostra 'gelese' dal 1995 sino all'arresto del 17 ottobre 1998. Conferma i primi incontri tesi alla organizzazione del gruppo in Vittoria, tenuti con i fratelli Piscopo, Billizzi Carmelo, Gammíno Luca ed afferma che Avvento Giovanni era incluso nel gruppo. Costui aveva contatti diretti con Emmanuello Daniele. Nel carcere di Spoleto aveva avuto conferma da Piscopo Alessandro circa la partecipazione alla strage di Billizzi e di Gammino. Quanto a Smorta Crocifisso, costui dopo l'arresto di Trubia Rosario aveva assunto l'incarico - su indicazione di Daniele Emmanuello - di reggente del clan a Gela, ferma restando la superiore autorità degli Emmanuello. Ha riferito circa diversi incontri tra i gelesi e il gruppo di Vittoria avuti con i fratelli Piscopo e con il Billizzi. In una occasione nel luogo ove Daniele Emmanuello trascorreva la latitanza aveva incontrato anche Giovanni Avvento. Billizzi, in ogni caso, lo mise al corrente del proposito di eliminare il Mirabella e lui si accettò della condivisione del progetto da parte di Daniele Emmanuello. La sera stessa della 8 attivismo. A fronte della sua risposta .. mi hanno detto di sospendere... Avvento strage ricevette una telefonata da Billizzi Carmelo che lo informava che -tutto era a posto.. . Successivamente sempre Billizzi gli disse che gli esecutori materiali erano Piscopo Giovanni e Gammino Gianluca. Afferma altresì che durante un periodo di comune detenzione nel carcere di Caltanissetta sempre Billizzi gli avrebbe riferito la partecipazione ai fatti di Giovanni Avvento che si era occupato di distruggere l'auto utilizzata. La Corte di primo grado, nel valutare i contributi dichiarativi apportati dai collaboranti ritiene raggiunta la prova della responsabilità di tutti gli imputati, dotate dei caratteri di autonomia tali da consentirne la valutazione incrociata ai sensi dell'art. 192 comma 3 cod.proc.pen. . Valorizza altresì i contenuti delle precedenti decisioni, sulla genesi dell'azione delittuosa e sulla appartenenza ai rispettivi gruppi criminosi delle persone coinvolte, nonchè pone in rilievo taluni dati investigativi di riscontro. Tra questi, è utile ricordare : - il rinvenimento di impronte papillari relative a La Rocca Carmelo nel vano motore della lancia thema (elemento che ha condotto alla sua affermazione di responsabilità in diverso processo); - l'esistenza di controlli sul territorio che danno atto della frequentazione tra Piscopo Alessandro e la vittima Mirabella Angelo (uno avvenuto in data 8 ottobre 1998 e dunque in periodo di poco antecedente il delitto) ; - il dato obiettivo della esistenza di comunicazioni telefoniche tra il Billizzi ed Alessandro Emmanuello proprio nel pomeriggio del 2 gennaio 1999, in corrispondenza con l'orario della strage, con due chiamate effettuate in rapida sequenza dal Billizzi verso l'utenza in uso ad Emmanuello (che si trovava in Germania) alle ore 18.15 ed una terza alle ore 18.25; - il dato obiettivo rappresentato dal fatto che, subito dopo, il Billizzi chiama anche Smorta Cocifisso per informarlo della buona riuscita dell'operazione (conversazione registrata delle ore 18.58 nel corso della quale Billizzi afferma .. vedi che là è a posto ah ! ..), come confermato dallo stesso Smorta. 1.2 la decisione di secondo grado. Nel corso del giudizio di appello hanno reso dichiarazioni confessorie i due imputati Billizzi Carmelo e Gammino Gianluca . Ciò ha comportato mutamenti dell'originario quadro probatorio nonchè la modifica radicale delle posizioni di tali due appellanti, che hanno rinunziato alle doglianze relative alla partecipazione al fatto criminoso. La Corte d'Assise d'Appello, pertanto, ha raccolto tali dichiarazioni, sottoposte per forza di cose - al solo vaglio del giudice di secondo grado, ed ha disposto 9 con i diversi ruoli emergenti dalle narrazioni, sostanzialmente convergenti e nel corso della rinnovazione istruttoria - un confronto tra tali dichiaranti ed il già escusso in primo grado Piscopo Giovanni, su alcuni punti specifici. L'esame dei motivi d'appello viene pertanto condotto dalla Corte territoriale anche in riferimento al novum rappresentato da tali dichiarazioni. Conviene pertanto ricordare - sia pure per sintesi - i punti fondamentali oggetto di narrazione. Billizzi Carmelo (sent. appello, pag. 16 - 23) ha affermato, in sintesi : - che nel 1998 il gruppo dei 'gelesi' aveva deciso di estendere la sua influenza in sarebbe discusso in diversi incontri, tra cui uno organizzato dallo stesso Billizzi tramite Avvento Giovanni, cui aveva preso parte lo stesso Daniele Emmanuello. In un primo momento vi erano perplessità sul ruolo direttivo del gruppo di Vittoria, dato che Piscopo Alessandro non veniva ritenuto all'altezza del compito; in un successivo incontro, avvenuto sempre presso l'Avvento, fu Piscopo Giovanni a consegnare al Bellizzi dei 'pizzini' provenienti da Alessandro Emmanuello, con cui Giovanni Piscopo aveva stretto rapporti in germania; - confermava la genesi del delitto nei contrasti che nel corso del tempo si erano venuti a creare con Mirabella Angelo, esponente di vertice del clan Dominante in Vittoria e facente parte della 'stidda', contrasti di cui era al corrente ; - circa la specifica deliberazione dell'omicidio afferma tuttavia di esserne venuto a conoscenza da Gammino Luca che, dopo un suo breve periodo di assenza, lo informò che l'ordine di eliminare Mirabella era venuto da Alessandro Emmanuello, con cui aveva parlato al telefono . Billizzi, a quel punto, ne chiese conferma a Daniele Emmanuello con cui aveva più stretti rapporti. Avutane conferma, si attivò prendendo contatti con Piscopo Giovanni; - quanto alla fase esecutiva il Billizzi conferma che gli esecutori materiali furono Piscopo Giovanni e Gammino Luca, che si recarono sul posto in un'auto condotta da La Rocca Carmelo. Ad avvistare il Mirabella era stato un ragazzo incaricato da Piscopo Giovanni, di cui non conosceva il nome; - Billizzi non riconosceva alcun ruolo nella specifica vicenda ad Avvento Giovanni, affermando che .. non era a conoscenza .. di un suo coinvolgimento. Tornando successivamente sull'argomento - in sede di confronto con il Piscopo - affermava inoltre ... io nella fase esecutiva con Avvento Giovanni non ho mai parlato, se poi è stato lui [Piscopo, nde] a parlare con Avvento Giovanni ed altre persone, io non lo posso dire.. ; - confermava di aver procurato alcune delle armi utilizzate e spiega le ragioni della temporanea sospensione del progetto, poi ripreso il 2 gennaio; - in tale data si sarebbe dovuto compiere l'azione anche perchè il Mirabella aveva a sua volta avviato contatti con esponenti di vertice della 'stidda' di gela, fatto 10 Vittoria, per volontà di Emmanuello Daniele ed Emmanuello Alessandro. Se ne che gli era stato comunicato da Smorta Crocifisso, chiedendo un incontro con lui. Da ciò la necessità di chiudere la vicenda prima di un intervento in favore del Mirabella di altri soggetti, che avrebbe determinato l'impossibilità di eseguire il delitto; - il 2 gennaio lui aveva già appuntamento con il Piscopo Giovanni ed arrivò una prima comunicazione relativa alla presenza di Mirabella presso l'ospedale. Partì il gruppo di fuoco in tale direzione ed il Billizzi rimase convinto che l'omicidio doveva realizzarsi lì. Solo al rientro, Gammino Luca gli riferì che avevano ucciso - confermava di aver informato Emmanuello Alessandro dell'accaduto attraverso una scheda che gli era stata messa a disposizione da Piscopo Giovanni e ciò anche per le proporzioni inusuali di quanto era accaduto e confermava di aver messo al corrente anche Smorta Crocifisso, reggente di Gela dopo l'arresto del Trubia. Quanto a Gammino Gianluca (pag. 23 - 28) costui, per come riportato in sentenza, affermava : - di aver eseguito il plurimo omicidio unitamente a Piscopo Giovanni e precisava che l'intenzione era quella di eliminare oltre al Mirabella le persone che erano a lui vicine, sempre su indicazione del Piscopo; - di aver partecipato ad un incontro preliminare al delitto - su indicazione del Billizzi - che si sarebbe tenuto presso il negozio/abitazione di Avvento Giovanni. In tale occasione, in presenza del solo Piscopo Giovanni, Gammino avrebbe parlato a telefono con Alessandro Emmanuello che lo avrebbe esortato ad eliminare il Mirabella. In precedenza, sempre durante questo incontro, anche Avvento Giovanni, insieme a Piscopo Giovanni e Piscopo Alessandro aveva preso parte alla discussione in cui si parlava della scelta di eliminare Mirabella perchè si era comportato male. Della conversazione avuta con Emmanuello Gammino avrebbe prontamente informato Billizzi Carmelo; - confermava inoltre che l'organizzatore dell'azione era stato il Billizzi, sempre su indicazione degli Emmanuello . In sede di confronto Piscopo Giovanni confermava la versione del Gammino circa la conversazione telefonica intrattenuta con Alessandro Emmanuello presso l'abitazione di Avvento Giovanni e ribadiva la piena adesione di quest'ultimo al proposito delittuoso, con il ruolo di procurare il 'palo' e le altre modalità già descritte, aggiungeva che fu proprio Avvento a dirgli di tenersi pronto per il 2 gennaio, dopo la sospensione del progetto ; Billizzi ribadiva quanto già dichiarato in precedenza e precisava che l'appuntamento per il 2 gennaio era già stato preso direttamente con il Piscopo senza la mediazione di Avvento. Inoltre, sempre il Billizzi, pur ricordando che il Gammino lo avvisò di aver parlato 11 cinque persone all'interno del bar ; telefonicamente con Alessandro Emmanuello non ricordava di esser stato messo al corrente del luogo ove era avvenuta la telefonata (a dire del Gammino, l'abitazione di Giovanni Avvento). Gammino ribadiva che detto luogo era l'abitazione di Avvento, e che ciò avvenne di domenica perchè il negozio era chiuso, verso ora di pranzo e ribadiva di aver riferito anche tale circostanza al Billizzi. Ciò posto, la Corte d'Assise d'Appello, nella parte strettamente valutativa della decisione : speciale attenuante di cui all'art. 8 legge 203/'91, avanzata in virtù del mutato atteggiamento processuale da Billizzi Carmelo e Gammino Gianluca e ciò, essenzialmente, in relazione al fatto che i contributi dichiarativi non hanno comportato - a fronte dell'ampio compendio probatorio già acquisito in primo grado - rilevanti accrescimenti e sono pertanto sprovvisti del requisito della obiettiva utilità - nel caso in esame - della collaborazione prestata. Peraltro la Corte territoriale esprime concreti dubbi sulla totale sincerità dichiarativa del Billizzi per ciò che riguarda la sostanziale esclusione di ruolo esecutivo in capo all'Avvento, dato che tale circostanza emerge dagli altri contributi oggetto di valutazione. Sottolinea inoltre il fatto che il Gammino avrebbe deciso di collaborare solo quando era stato messo al corrente della scelta già operata dal Bllizzi. Ne deriva l'accoglimento della sola richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, da ritenersi equivalenti alle aggravanti contestate con esclusione di quella prevista dall'art. 7 legge 203 del 1991 . La pena di anni trenta viene determinata in ragione della scelta di qualificare violazione più grave l'omicidio commesso ai danni di Mirabella Angelo (per cui vengono inflitti anni 24) con aumento per continuazione di anni tre per ciascun altro omicidio, anni due per i reati in tema di armi, anni uno per la ricettazione della vettura (al solo Gammino) e applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 cod.pen. ; - quanto alla posizione di Avvento Giovanni, la Corte territoriale riteneva infondate le doglianze formulate con i motivi di appello, tese a valorizzare la scarsa attendibilità soggettiva e le contraddizioni narrative in cui erano incorsi i dichiaranti. Il ragionamento dimostrativo della responsabilità di Avvento poggia essenzialmente sui contenuti dichiarativi resi da Piscopo Giovanni - già illustrati soggetto ritenuto attendibile sia sul piano intrinseco (per aver di certo partecipato ai fatti con un ruolo di protagonista) che su quelle estrinseco (per l'esistenza di riscontri provenienti dai dati di generica e dalle altre informazioni raccolte dai partecipanti al delitto). Inoltre l'istruttoria avrebbe pienamente confermato il ruolo di rilievo svolto da Avvento sin dalla fase iniziale del 12 - riteneva non meritevole di accoglimento la richiesta di applicazione della radicamento del gruppo mafioso di Vittoria - in accordo con gli Emmanuello di Gela - il che rende, anche sul piano logico, ulteriormente certa la sua partecipazione alla fase deliberativa e organizzativa di un omicidio come quello ai danni del Mirabella, principale esponente del gruppo 'concorrente' in Vittoria. Il principale riscontro viene individuato nella deposizione resa da Amadio Diego, soggetto che ottenne istruzioni sul suo comportamento proprio da Avvento Giovanni e le cui dichiarazioni sono ritenute pienamente corroborative rispetto alla versione resa dal Piscopo. La Corte, sul punto, valorizza anche il dettaglio doveva indossare al momento della segnalazione, posto che da ciò si trae la conferma del fatto che Piscopo non conosceva - somaticamente - il 'palo' che era stato scelto, appunto, da Avvento. Circa la pretesa estraneità dell'Avvento al proposito omicidiario, derivante sul piano dimostrativo dalla frase (..è stata una porcata..) che proprio Amadio riferisce come profferita dall'Avvento in un successivo incontro, la Corte ne contesta la valenza a discarico con due considerazioni. La prima è correlata alla pacifica diversità dei ruoli svolti dai due soggetti nel contesto criminale di riferimento, posto che Avvento era uno dei personaggi di spicco della consorteria mafiosa mentre Amadio un semplice 'avvicinato', volutamente utilizzato nell'operazione con un basso grado di consapevolezza di ciò che sarebbe accaduto, a differenza dell'Avvento; la seconda è rapportata alla gravità obiettiva del fatto realizzato (cinque persone eliminate) che pur apparendo logico sviluppo dell'azione programmata determinava esigenze di 'autoprotezione' tali da far apparire agli occhi di Amadio anche l'Avvento quale soggetto non consapevole della reale portata dell'operazione deliberata. Ad avviso della Corte, inoltre, altri elementi di riscontro derivano dalle dichiarazioni rese da Piscopo Alessandro e Smorta Crocifisso. Ciò sia in rapporto alla complessiva ricostruzione del 'ruolo' svolto da Giovanni Avvento nella consorteria mafiosa che in relazione a talune specifiche affermazioni rese dai due circa la condotta tenuta dall'Avvento nella fase organizzativa e esecutiva, già richiamate in precedenza. Infine si afferma che lo stesso contributo proveniente dal Billizzi non può avere alcuna efficacia 'liberatoria' o riduttiva della qualità dimostrativa degli elementi a carico. Ciò sia in relazione alla già constata influenza di Avvento nell'ambito delle decisioni prese nel gruppo di Vittoria, sia in rapporto alla circostanza che lo stesso Billizzi ne descrive l'importanza ed il suo 'diretto' rapporto con Emmanuello Daniele e sia in virtù • del contrasto obiettivo tra la versione del Billizzi - sulla pretesa assenza di ruolo avuto nella vicenda da Avvento - e le altre fonti escusse, tra cui si annovera lo stesso Gammino, che ha più volte ribadito che la riunione in cui si discuteva del progetto omicida avvenne a casa ed in presenza di Avvento, fermo 13 rappresentato dalla convergenza sul particolare abbigliamento che Amadio restando che alla telefonata tra lui ed Emmanuello Alessandro avrebbe assistito solo Giovanni Piscopo. Parimenti vengono ritenute ininfluenti le critiche proposte dalla difesa circa la versione fornita dal Piscopo sulla attività di 'copertura' della fuga dei sicari che sarebbe stata svolta dall'Avvento. In conclusione, la Corte afferma che le lievi imprecisioni emerse nelle narrazioni non comportano alcun ridimensionamento della complessiva valenza dimostrativa dei contributi, autonomi e tesi ad illustrare in modo convergente diversi segmenti della complessa attività oggetto di ricostruzione. Vengono altresì negate le circostanze gravità dell'azione commessa, in un contesto di affermazione della supremazia mafiosa di un gruppo sull'altro, di cui l'Avvento era pienamente consapevole; - parimenti infondate vengono ritenute le critiche alla decisione di primo grado formulate nell'interesse di Emmanuello Alessandro. Sul punto la Corte osserva che il già granitico quadro probatorio emerso in primo grado (in relazione ai contributi resi da Piscopo Giovanni, Piscopo Alessandro e dalle risultanze dei tabulati attestanti i contatti tra Billizzi e Emmanuello in data 2 gennaio '99) si è arricchito, in appello, in virtù delle dichiarazioni rese da Billizzi e Gammino, già illustrate, che convergono nella indicazione di Emmanuello Alessandro quale uno dei mandanti. Peraltro, il ruolo svolto da Emmanuello quale referente di cosa nostra in Gela risulta confermato da altre decisioni irrevocabili e rende ancor più coerente il complesso degli elementi raccolti a carico. A fronte di ciò nessun rilievo può avere il fatto che i due Piscopo hanno avviato la collaborazione solo dopo la definitività della sentenza a loro carico. Tale circostanza non ridimensiona il loro contributo, anzi finisce con il rafforzarlo perchè la collaborazione prestata dopo la sentenza definitiva può determinare esclusivamente benefici in sede penitenziaria ma esclude di poter ridimensionare le conseguenze sanzionatorie del fatto, che restano quelle inflitte nel giudizio divenuto definitivo. 2. I ricorsi. Hanno proposto ricorso per cassazione Avvento Giovanni, Billizzi Massimo Carmelo, Gammino Gianluca e Emanuello Alessandro. 2.1 Billizzi Massimo Carmelo - con atto personalmente sottoscritto - articola due motivi di ricorso . Con il primo deduce erronea applicazione della previsione di legge di cui all'art. 8 legge 203/1991 e vizio di motivazione della sentenza impugnata. Il ricorrente, sul punto, rappresenta di aver avviato sin dal maggio 2011 un percorso di collaborazione con la giustizia, rendendo dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie su gravissimi fatti di reato, già positivamente valutate in altri 14 attenuanti della minima partecipazione e le generiche, in virtù della particolare procedimenti con riconoscimento della speciale attenuante di cui all'art. 8 legge 203/'91. Circa i fatti oggetto del presente processo il Billizzi ha coinvolto nella dinamica di realizzazione del fatto anche altri soggetti - diversi dagli attuali imputati - e pertanto non può dirsi che le sue dichiarazioni siano prive del requisito della novità; anche le sue dichiarazioni circa l'assenza di effettivo coinvolgimento del coimputato Avvento rappresentano un nuovo elemento conoscitivo, ingiustamente sottovalutato dalla Corte. riconoscimento della circostanza attenuante in parola - avrebbe fatto erronea applicazione di quello stesso principio di 'utilità obiettiva della collaborazione' cui ha affermato di ispirarsi. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al giudizio di mera equivalenza delle circostanze attenuanti generiche applicate. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte non ha riconosciuto la prevalenza delle attenuanti generiche nell'ambito del giudizio di comparazione, con motivazione definita meramente apparente. La scelta processuale operata è infatti indicativa di un sostanziale mutamento della personalità del reo, non adeguatamente valutato, che avrebbe dovuto comportare maggior sforzo di adeguamento della sanzione alle mutate condizioni soggettive. 2.2 Gammino Gianluca - con atto redatto dal difensore - articola analoghi motivi. Con il primo deduce erronea applicazione della previsione di legge di cui all'art. 8 legge 203/1991 e vizio di motivazione della sentenza impugnata. In particolare, il ricorrente contesta l'affermazione contenuta in sentenza circa la 'derivazione utilitaristica' della sua scelta collaborativa da quella del Billizzi. Il verbale illustrativo della collaborazione di Gammino sarebbe, infatti, stato redatto in data 7 giugno 2011 ed il dato cronologico lo pone a distanza di pochi giorni dalla scelta collaborativa operata dal Billizzi. Tale circostanza tuttavia non era nota al Gammino perchè ancora coperta da segreto e, pertanto, non può rappresentare uno dei motivi del diniego della speciale attenuante prevista dall'art. 8 legge 203/1991. La collaborazione è autonoma e rilevante, frutto di una revisione critica del suo operato. Si contesta inoltre la ritenuta scarsa utilità dimostrativa del contributo offerto. In particolare, al di là del coinvolgimento nel fatto di altri soggetti non imputati, e del rafforzamento del complessivo quadro probatorio è la stessa sentenza impugnata ad utilizzare in parte motiva le dichiarazioni del Gammino quali nuovi elementi confermativi della responsabilità del coimputato Avvento Giovanni e, pertanto, si evidenzia contraddittorietà del percorso giustificativo della decisione. 15 Da qui la considerazione per cui la Corte territoriale - nel negare il Unico rimprovero che può muoversi al Gammino è quello di aver collaborato solo in sede di giudizio di appello ma tale circostanza non è idonea a determinare il diniego dell'attenuante non essendo previsto dalla legge un termine preclusivo per operare la scelta. Peraltro, si evidenzia che l'attendibilità del dichiarante e l'utilità del contributo probatorio offerto è stata già valutata come sussistente in diversi altri procedimenti. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in applicate. Il ricorrente contesta le modalità e gli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale in punto di giudizio di comparazione tra le circostanze. Il radicale mutamento della personalità e la recisione di ogni legame con l'ambiente criminale di provenienza avrebbe dovuto comportare valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche, in virtù del necessario adeguamento della sanzione alle condizioni personali del reo. 2.3 Avvento Giovanni, con atto redatto dai difensori, ha artticolato un unico complesso motivo, con cui si denunziano plurimi vizi motivazionali della decisione impugnata nonchè violazione dei parametri legali di valutazione della chiamata in correità. In particolare si muovono - operata la dovuta sintesi - i seguenti rilievi : a) illogicità e mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità del dichiarante Piscopo Giovanni. Il ricorrente riporta ampi stralci dell'attività istruttoria, cui si opera rinvio, al fine di evidenziare le numerose contraddizioni esistenti tra il narrato del Piscopo ed elementi di prova generica o dichiarazioni rese da altri collaboranti. Tali divergenze, riguardanti punti essenziali della progettazione ed esecuzione del delitto - dettagliatamente indicati a pag. 4 dell'atto - avrebbero dovuto precludere l'utilizzo in chiave dimostrativa delle dichiarazioni del Piscopo. Si contesta in particolare la valutazione di 'autonomia' e al contempo di 'convergenza' tra le dichiarazioni del Piscopo e quelle di Amadio Diego. Piscopo Giovanni ha infatti avviato il percorso collaborativo solo dopo la celebrazione e definizione del processo a suo carico, in cui la principale fonte di prova era rappresentata proprio da Amado Diego. La previa conoscenza del contributo probatorio avrebbe pertanto determinato il tentativo di Piscopo di adeguarsi a tali contenuti narrativi, con evidente assenza del presupposto della 'autonomia genetica' dei cóntributi, condizione posta nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità al fine di consentire la valutazione incrociata. it\ riferimento al giudizio di mera equivalenza delle circostanze attenuanti generiche Peraltro il tentativo di adeguamento operato dal Piscopo sarebbe stato reso palese proprio dalle numerose divergenze tra i due contributi, ingiustamente sottovalutate nella motivazione della sentenza impugnata. Si rappresentano inoltre specifiche contraddizioni 'interne' alla deposizione del Piscopo su temi rilevanti, quali la conoscenza o meno da parte dell'Avvento della vettura che sarebbe stata utilizzata dagli esecutori del delitto (Piscopo prima afferma che l'Avvento non aveva mai visto la vettura e in un secondo momento afferma che Avvento la conosceva ed era in grado di svolgere il compito di posiziona prima del suo verificarsi). Si evidenzia che la stessa spiegazione fornita dal dichiarante circa l'utilizzo delle schede 'dedicate' è illogica, posto che non garantiva la effettiva circolarità delle informazioni tra tutti i soggetti coinvolti e in particolare Avvento non conosceva il numero della scheda 'assegnata' al Piscopo, dunque non avrebbe potuto avvisarlo in caso di pericolo durante la fuga (con ciò si smentisce l'attribuzione ad Avvento del ruolo di copertura). Si lamenta omessa motivazione da parte della Corte territoriale dei numerosi rilievi contenuti nell'atto di appello e ciò anche in riferimento alle influenze narrative esistenti - sul piano della genesi della conoscenza - tra Piscopo Giovanni e il fratello Piscopo Alessandro, contestando la valutazione di 'autonomia' dei contributi operata dalla Corte territoriale. Anche in tal caso si evidenziano - pag. 9 e 10 del ricorso - contraddizioni tra le due versioni, in particolare circa lo svolgimento a casa dell'Avvento della riunione deliberativa durante la quale Gammino Luca venne messo in contatto telefonico con Emmanuello Alessandro e sulla presenza in tale occasione di Piscopo Alessandro . Tale circostanza sarebbe stata esclusa da Piscopo Alessandro nel verbale illustratiovo della collaborazione, acquisito agli atti. Da ciò la considerazione per cui, pur dovendosi ammettere - ferme restando le possibili riserve anche su tale approdo - che una chiamata in correità possa trovare conforto in altra chiamata - secondo radicati orientamenti giurisprudenziali - il caso in esame offre spunti insuperabili per ritenere il difetto assoluto di tale possibilità, considerando l'assenza di autonomia tra le diverse fonti e le numerose divergenze oggetto di constatazione. A tutto ciò si aggiunge la considerazione circa l'avvenuta emersione nel corso del giudizio di appello di un chiaro elemento favorevole per l'Avvento, rappresentato dalle dichiarazioni rese da Billizzi Carmelo, soggetto cui secondo la stessa decisione impugnata erano stati attribuiti rilevantissimi compiti organizzativi e che esclude la compartecipazione criminosa di Avvento Giovanni. La valenza dimostrativa di tale elemento sarebbe stata erroneamente ed ingiustamente 17 copertura a lui assegnato) o la stessa epoca del furto della vettura (che il Piscopo sottovalutata nell'economia della decisione, attraverso un sostanziale capovolgimento degli ordinari canoni legali di valutazione dei materiali dimostrativi. b) anche le dichiarazioni rese da Amadio Diego sarebbero state erroneamente valutate. Si rappresenta, sul punto, che pur volendosi attribuire effettivamente ad Amadio il ruolo di 'palo' inconsapevole delle reali finalità degli aggressori, la Corte non spiega in modo adeguato perchè detta 'inconsapevolezza' non sia stata ritenuta segmento dell'azione. Al di là del vizio di metodo in cui cade la Corte, consistente nel basare la valutazione sulle dichiarazioni del Piscopo, successive rispetto a quelle dell'Amadio, il ricorrente contesta l'interpretazione fornita in sentenza della deposizione di Amadio, lì dove costui ha riportato la frase di Avvento 'hanno fatto una porcata', riferita espressamente all'accaduto. Tale affermazione sarebbe dimostrativa della 'comune' condizione di ignoranza tra Avvento e Amadio - del reale proposito criminoso coltivato dagli altri soggetti coinvolti e le considerazioni espresse in sentenza - relative al diverso ruolo svolto in seno al gruppo da Avvento rispetto a Amadio - non trovano reale conforto nelle emergenze processuali. Avvento, infatti, non risponde del delitto di associazione mafiosa e, come risulta dalle stesse dichiarazioni di Amadio, non sarebbe nemmeno stato messo al corrente della temporanea sospensione del progetto, il che contraddice l'attribuzione di ruolo operata dalla Corte territoriale. In tal senso, anche la dichiarazione resa da Gammino Luca circa le modalità del contatto telefonico intervenuto con Emmanuello Alessandro - in presenza del solo Piscopo Giovanni - tende a confermare la marginalità del ruolo dell'Avvento, in contrasto con quanto ritenuto in sentenza. Sul punto, pertanto, si deduce un travisamento dei contenuti dimostrativi, che non consentono di sostenere l'affermazione operata. Inoltre, ulteriori dichiarazioni rese da Amadio e sottovalutate in sentenza, relative alle modalità di realizzazione degli appostamenti (riportate a pag.17 del ricorso) con esclusione del luogo che sarebbe stato più 'naturale' scegliere, ovvero l'abitazione del Mirabella, risulterebbero confermative del fatto che l'azione, sia per l'Avvento che per l'Amadio doveva limitarsi ad un 'pestaggio', che doveva essere effettuato in luogo tale da non creare traumi alla moglie del Mirabella, in stato di gravidanza. Il complesso degli elementi esaminati, ivi compresa la condotta susseguente alla strage, tenuta da Avvento e definita in termini di 'esilio associativo' sono 18 un attributo anche della eventuale partecipazione di Avvento Giovanni a tale pertanto, nell'ottica del ricorrente idonei a sostenere l'estraneità di Avvento Giovanni al proposito criminoso e la non condividsione dei suoi esiti. c) circa l'esame delle dichiarazioni rese da Piscopo Alessandro, il ricorrente evidenzia una più che sospetta 'progressione narrativa' tra i contenuti delle prime dichiarazioni rese in fase di 'apertura' del percorso collaborativo e quelle rese in sede dibattimentale. In effetti, dai contenuti riportati nell'atto emerge che nei verbali illustrativi del 22 marzo e 19 aprile 2007 detto collaborante - a specifica domanda - aveva escluso lo svolgimento di un ruolo nella preparazione fronte di esplicita richiesta rivolta dal difensore al dichiarante circa la piena verità delle iniziali dichiarazioni, cui è stata data risposta positiva nel corso dell'udienza del 16 marzo 2009, rende incomprensibili le successive affermazioni di Piscopo Alessandro, riportate in sentenza, circa la sua conoscenza della partecipazione di Avvento. Sul punto vi sarebbe stata totale omissione di controllo da parte della Corte territoriale, tale da inficiare la validità della motivazione. Peraltro, vi sarebbe un rilevato - in sentenza - contrasto tra le dichiarazioni rese da Piscopo Giovanni e quelle rese da Piscopo Alessandro circa la stessa possibilità che il secondo riferisse al primo della 'avvenuta esecuzione' dell'attività di copertura che sarebbe stata svolta dall'Avvento (pag. 22 del ricorso). d) quanto alle dichiarazioni di Billizzi Carmelo il ricorrente evidenzia come in sentenza si sia ritenuta in modo apodittico e pregiudizialmente colpevolista la sostanziale falsità delle dichiarazioni rese da costui in dibattimento, privilegiando altri contributi ed in particolare le affermazioni rese da Smorta Crocifisso. Lo Smorta, infatti, avrebbe riferito che nel corso di un colloquio avuto in carcere con il Billizzi costui gli avrebbe confermato la partecipazione di Avvento alla strage, con il ruolo di soggetto che doveva occuparsi di incendiare la macchina. Al di là delle già evidenziate illogicità, il ricorrente osserva che detto ruolo non è mai stato attribuito ad Avvento da alcuno dei dichiaranti posti a fondamento della affermazione di responsabilità. Da ciò doveva derivare non già una valutazione di attendibilità dello Smorta, quanto un rafforzamento della considerazione del contributo arrecato dal Billizzi. Dunque un ulteriore vizio che incrina la coerenza della motivazione della decisione. e) quanto alle dichiarazioni del Gammino, si evidenzia che la Corte territoriale ha ritenuto di valorizzarle come riscontro idoneo a fortificare la affermazione di penale responsabilità di Avvento Giovanni. Tuttavia non si è considerato che in merito all'episodio della conversazione telefonica intervenuta tra Gammino e Alessandro Emmanuello - a dire del Gammino presso l'abitazione di Avvento - è 19 o esecuzione della strage da parte di Avvento Giovanni. Tale circostanza, a lo stesso dichiarante ad affermare che in tale momento era presente il solo Piscopo Giovanni. Da ciò la necessità, per il Gammino di precisare che l'argomento 'Mirabella' era stato già trattato in precedenza ed in presenza di Avvento, evidentemente per compiacere le aspettative dell'accusa. In sentenza mancherebbe la valutazione critica di tale fondamentale aspetto. In conclusione, si avanza richiesta di annullamento in ragione dei numerosi vizi logici e travisamenti dei contenuti dimostrativi oggetto di denunzia. 2.4 Emmanuello Alessandro articola - a mezzo del difensore - tre motivi di Con il primo motivo si deduce nullità per intervenuta violazione del diritto di intervento e assistenza dell'imputato, in relazione a quanto avvenuto nel corso delle udienze del 16 e 21 dicembre 2009 ed a quanto previsto dagli articoli 494 e 523 cod. proc. pen . In particolare si evidenzia che : - Emmanuello Alessandro nel corso dell'udienza del 16.12.2009, cui partecipava in videoconferenza trovandosi ristretto in regime differenziato ai sensi dell'art. 41 bis ord. pen. - intendeva rendere dichiarazioni spontanee circa la sua - estraneità ai fatti contestati. Tale diritto, previsto espressamente dall'art. 494 comma 1 cod.proc.pen. non veniva compiutamente esercitato, posto che il Presidente della Corte di Assise (si discute di quanto avvenuto in primo grado) lo interrompeva invitandolo a trasmettere una memoria scritta; - alla successiva e ultima udienza del 21 dicembre 2009 Emmanuello ribadiva l'importanza per la sua difesa della memoria inoltrata e la Corte si ritirava in camera di consiglio emettendo dispositivo nella medesima data; - si sostiene nel ricorso che la memoria pervenne alla Corte solo in data 22 dicembre (e si allega documentazione sul punto) sicchè la Corte di primo grado avrebbe deliberato senza 'tener conto' dei contenuti difensivi provenienti dall'imputato. Da qui la violazione delle norme processuali, su cui la Corte d'Assise d'Appello non si sofferma, pur essendo stata la stessa denunziata con 'memoria' depositata all'udienza del 28 ottobre 2001. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla omessa valutazione di rilievi formulati dal difensore all'esito della rinnovazione dell'istruttoria. Il ricorrente sostiene, sul punto, che la decisione di secondo grado non affronta le questioni relative alla attendibilità delle fonti Gammino e Billizzi espressamente poste dalla difesa con memoria successiva alla loro escussione, da ritenersi equivalente agli originari motivi di appello. 20 ricorso. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione a specifiche doglianze rappresentate negli originari motivi di appello. In sintesi, si contesta la valutazione di attendibilità formulata nei confronti di Piscopo Giovanni e Piscopo Alessandro in virtù della loro pregressa conoscenza degli atti di causa dovuta alla precedente condanna. Sul punto la motivazione addotta dai giudici di secondo grado non risulta convincente e non affronta le numerose contraddizioni denunziate nell'originario atto di appello, che vengono riproposte. dimostrativi manifestatisi nel corso del giudizio di secondo grado - fonti Billizzi e Gammino - realizzata in violazione dei canoni normativi per come interpretati dalla costante giuriosprudenza. In particolare si afferma che : - Billizzi non ha mai riferito di aver ricevuto ordini di esecuzione del delitto da Alessandro Emmanuello ma ha mutuato la sua conoscenza di detto ordine dal Gammino; - Gammino, a sua volta, ha riferito di aver parlato, in una occasione, al telefono con Alessandro Emmanuello che lo incitava a risolvere il problema rappresentato dal Mirabella, tuttavia non vi è prova che la persona con cui è intervenuta la comunicazione fosse realmente Emmanuello Alessandro. Dalla stessa ricostruzione operata in sentenza si deduce che Piscopo Giovanni qualificò l'interlocutore come Emmanuello Alessandro - che Gammino non era in grado di riconoscere al telefono - e, pertanto, ben poteva trattarsi di Emmanuello Daniele, con cui Gammino intrattenne, sempre su indicazione del Piscopo, una successiva comunicazione. Inoltre, le stesse comunicazioni telefoniche intervenute tra Billizzi e Alessandro Emmanuello immediatamente dopo la strage non potrebbero essere valorizzate in chiave di riscontro circa la preventiva conoscenza del proposito omicidiario da parte di Emmanuello Alessandro, ben potendosi spiegare con una necessità di tenere informato dell'accaduto l'attuale ricorrente. Non vi sarebbe, in altre parole, la prova effettiva di un contributo causale consapevole arrecato da Emmanuello, a fronte di una volontà di eliminazione del Mirabella che risulta appartenere ad altri soggetti coinvolti. Infine si evidenzia la 'illegalità' della pena inflitta in primo grado e confermata in appello. Trattandosi di aumento in continuazione su decisione già definitiva comportante l'ergastolo (Corte Assise Genova, irrevocabile il 7.5.1999) l'aumento di pena avrebbe dovuto riguardare solo l'isolamento diurno. Va infine aggiunto che le parti civili costituite a mezzo dell'avv. Giuseppe Nicosia depositavano memoria con cui si eccepisce l'infondatezza dei ricorsi 21 Si contesta altresì la positiva valutazione a carico del ricorrente dei contributi sostanzialmente orientati ad ottenere una ulteriore valutazione di merito - e si chiede la conferma della impugnata sentenza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da Avvento Giovanni è fondato e va accolto. Vanno inoltre accolti : limitatamente alle modalità di determinazione del trattamento sanzionatorio il ricorso di Emmanuello Alessandro e í limitatamente al giudizio di 1.203 del 1991. i ricorsi di Billizzi Carmelo e Gammino Gianluca, con rigetto nei / restanti motivi per costoro. Nell'affrontare i molteplici temi posti dai ricorrenti, specie per quanto riguarda le posizioni di Avvento Giovanni e Emmanuello Alessandro, conviene premettere alcune considerazioni di ordine generale circa l'ambito del controllo esercitabile in sede di legittimità sul vizio di motivazione e sulla corretta applicazione delle regole normative che esprimono criteri generali di valutazione del materiale probatorio (artt. 192, 533 cod.proc.pen.). 1.1 Secondo il costante insegnamento di questa Corte il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l'analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell'atto e della sua interna coerenza logicogiuridica, trattandosi di valutare non già il fatto in quanto tale ma l'opzione del fatto come recepita dal giudice di merito (Sez. I, 6.6.1996, ric. Lombardi). In tal senso, è sovente evidenziato il limite di apprezzamento delle risultanze istruttorie da parte di questa Corte, non essendo possibile compiere - in sede di legittimità - nuove attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa, e sempre che non sia rilevabile, in sede di verifica, un vizio specifico, tale da comportare di per sè l'annullamento della decisione (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178). Ciò, peraltro, non esclude la necessità di apprezzare - anche in sede di controllo di legittimità e sempre restando nel 'perimetro' della verifica dei motivi espressi nel giudizio di merito - l'avvenuto assolvimento del dovere di «completezza e persuasività» della motivazione in rapporto alle regole di giudizio che presidiano l'affermazione della penale responsabilità (art. 533 comma 1 cod. proc. pen.) e normativizzano talune coordinate essenziali della parte ricostruttiva del giudizio (art. 192 commi 2 e 3 cod.proc.pen.). Il principio - ormai definitivamente recepito nel sistema processuale italiano - per cui la penale responsabilità deve essere accertata «al di là di ogni ragionevole 22 comparazione tra le circostanze e al diniego della attenuante di cui all'art. 8 dubbio» (nel senso che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana, secondo l'assunto di Sez. I n. 31456 del 21.5.2008, rv 240763) altro non è che la plastica rappresentazione dell'ordinario procedimento logico sulla base del quale si può ritenere raggiunta, in sede giudiziaria, la prova positiva di una «proposizione» l'imputazione. L'avvenuta esplicazione normativa del criterio (legge n.46 del 2006) chiude un percorso di generalizzazione condivisa, che trova origine nella indicazione di specifiche regole (già nel testo del codice del 1988) tese a guidare l'attribuzione di rilevanza probatoria agli elementi di prova indiziaria (art. 192 comma 2) e agli elementi di prova dichiarativa diversi dalla testimonianza (art. 192 commi 3 e 4) e connotati dalla non 'autosufficienza' dimostrativa (in tal senso già Sez. I, n. 2100 del 6.5.'94, ric. Siciliano, rv. 198079) . In tal senso, le diverse norme in questione si completano e si influenzano a vicenda, trattandosi di criteri logici tesi da un lato a garantire il metodo (art.192) dall'altro a rendere accettabile il risultato (art. 533) dell'intera operazione ricostruttiva. Lì dove si apprezzi l'inosservanza di tali precetti, pertanto, la motivazione della sentenza può risultare viziata non tanto in punto di mera logicità interna quanto in ragione del generale dovere di rapportare il giudizio sul fatto alle regole decisòrie tipiche della fase presa in esame, come affermato in più occasioni da questa Corte di legittimità (si veda, tra le altre, Sez. VI n. 8705 del 24.1.2013, che, pur occupandosi in via diretta del caso di una condanna intervenuta nel giudizio di secondo grado, efficacemente qualifica in via generale la tipologìa di vizio in questione - derivante dalla violazione del canone di giudizio di cui all'art. 533 - in termini di «peculiare concretizzazione del vizio dell'apparenza di motivazione»). Ciò posto, vanno ricordate le principali coordinate giurisprudenziali in tema di controllo motivazionale emerse nella presente sede di legittimità. Le funzioni di controllo sull'apparato argomentativo, delimitate dalla avvenuta esplicazione dei motivi di ricorso, possono comportare diversi livelli di verifica : - verifica circa la completezza e la globalità della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le molte, Sez. H n. 9269 del 5.12.2012, Della Costa, Rv. 254871) nè omettere la valutazione di elementi 23 che racchiude in sè un rapporto tra un fatto e il suo autore, quale è obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. IV, n.14732 del 1.3.2011, Molinario, Rv 250133 nonchè Sez. I, n.25117 del 14.7.2006, Stojanovic, Rv 234167) ; - verifica circa l'assenza di evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici e non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in del 13.10.2009, Cassarino, Rv 245627) ; - verifica circa l'assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio (cd. contradditorietà interna) ; - verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell'ambito del percorso seguito (applicazione dell'art. 192) e circa l'assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di ricorso (cd. travisamento della prova) lì dove tali atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante (in tema di incidenza del travisamento, ex multis , Sez. I n. 41738 del 19.10.2011, Rv 251516, ove si è precisato, sul punto, che «.. non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante; ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento» ). 1.2 Nell'applicare tali principi al caso qui trattato, occorre anche evidenziare che la copiosa elaborazione della regola normativa di cui all'art. 192 comma 3 cod.proc.pen. in tema di valore probatorio della chiamata in correità consente di attenuare lo scetticismo iniziale espresso da autorevole dottrina nei confronti del dato normativo in questione (definito come formula ma/riuscita, trattandosi di argomento non codificabile, in quanto involge questioni da giurisprudenziale). 24 clinica Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, Cerrito, Rv 254572 nonchè in Sez. II n. 44048 Nell'interpretare la locuzione altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità - contenuta nell'art. 192 comma 3 cod.proc.pen. - va anzitutto precisato che la conferma imposta dalla norma non è direzionata alla persona del dichiarante (soggetto la cui attendibilità è da valutarsi previamente, in rapporto alla esistenza di indicatori tali da asseverare la sua partecipazione al fatto narrato o comunque da rappresentare le modalità della sua conoscenza) ma alle specifiche dichiarazioni (come già ritenuto, tra le altre, da Sez. VI nella decisione del 7.5.1999, ric. Emmanuello - non massimata - ove si afferma con legis, ma anche alla lingua italiana, perché la particella .. ne.., nell'espressione' ne confermano l'attendibilità' va riferita al soggetto della frase, che è il sostantivo 'le dichiarazioni' , le quali, appunto, devono essere confortate da altri elementi che ne confermino l'attendibilità). Va anche precisato che nell'utilizzare l'espressione elementi di prova il legislatore ha di certo inteso evidenziare : la natura ontologica degli elementi utilizzati come riscontro, nel senso che gli stessi non possono concretizzarsi in meri sospetti (non basati su dati sensibili ma solo su elaborazioni soggettive) ma devono possedere una autonoma consistenza e una, sia pur limitata, capacità rappresentativa; la correlazione con il principio di pertinenza (ai sensi dell'art. 187 cod.proc.pen.) tra detti elementi e l'imputazione contestata. Dunque il riscontro - seppure in via mediata - non può limitarsi ad accrescere l'attendibilità intrinseca del dichiarante (in punto di attendibilità soggettiva), ma deve comunque essere riferibile (sia pure solo sul piano logico-deduttivo) ai fatti delittuosi attribuiti nella specifica decisione all'indagato . Ovviamente, tale idoneità probatoria dell'elemento di riscontro non va intesa in termini di «autosufficienza», dovendo comunque lo stesso fungere da 'necessario completamento' della narrazione oggetto di verifica (cfr., tra le molte, già Sez. VI n. 5649 del 22.1.1997, ric. Dominante, nella parte in cui si precisa che la funzione processuale degli 'altri elementi di prova' è semplicemente quella di confermare l'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie, il che significa che tali elementi sono in posizione subordinata ed accessoria rispetto alla prova derivante dalla chiamata in correità, avendo essi idoneità probatoria rispetto al thema decidendum non da soli, ma in riferimento alla chiamata; altrimenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilità dell'imputato, non entra in gioco la regola dell'art.192 co.3, ma quella generale in tema di pluralità di prove e di libera valutazione di esse da parte del giudice; nello stesso senso, Sez. VI n.4108 del 17.2.1996, ric. Cariboni, rv 204439). 25 chiarezza che una lettura del genere sarebbe, infatti, contraria non solo alla ratio Così come, secondo il chiaro insegnamento derivante da Sez. VI, 6.3.2000 ric. Fortugno, il dato probatorio (della più diversa natura e provenienza) valorizzabile in chiave di riscontro può anche riferirsi a fatti apparentemente secondari, dai quali sia possibile risalire, con logica deduzione, all'oggetto dell'accusa. Nel compiere l' operazione valutativa, pertanto, va accuratamente vagliata la 'capacità dimostrativa' del singolo elemento di riscontro, secondo criteri capaci di selezionare - sul piano logico - l'apporto fornito. Non appare inutile, pertanto, evidenziare una distinzione di carattere generale - - elementi che rappresentano la mera possibilità che il narrato del collaborante corrisponda al vero (ciò accade, ad esempio, nell'ipotesi in cui il dichiarante abbia rappresentato, come elemento rilevante, l'avvenuto colloquio con altre persone in carcere o in un determinato luogo frequentato dai protagonisti del colloquio. La comune detenzione di tali soggetti nel periodo indicato o la frequentazione del luogo in questione è un dato che obiettivamente sorregge la possibile verificazione del colloquio, ma nulla dimostra, in via aggiuntiva, circa la sua effettività o il suo contenuto. O ancora, lo stato di libertà dell'incolpato al momento della commissione del fatto rende solo astrattamente possibile la sua attribuzione al soggetto indicato, e così via): si tratta, in tal caso , di semplici elementi di non/smentita, di certo utili sul piano della verifica di attendibilità intrinseca del dichiarante, ma che non possiedono una 'autonoma' capacità di asseverazione dei fatti posti a base della contestazione e non possono, quindi ritenersi riscontri alla narrazione operata nel senso imposto dall'art. 192 comma 3; - elementi che accrescono la verosimiglianza della narrazione, pur rappresentando un fatto diverso da quello oggetto di prova, ma ad esso ricollegabile sia sul piano oggettivo che, soprattutto, soggettivo; sul punto, è stato ritenuto, in molti arresti, che la riscontrata, duratura appartenenza ad un gruppo delittuoso, con uno specifico ruolo, rende probabile la partecipazione, dei diversi soggetti chiamati, alle azioni delittuose comesse da quel gruppo, in ciò incrementando il quantum di conoscenza posto a base della chiamata, e ciò specie in relazione alla consumazione di quei reati che siano concretamente 'espressivi' del programma delittuoso e sempre valutandosi in concreto la posizione del chiamato ( tra le molte, Sez. I, 30.3.'04, n.17886, ric. Voi/aro rv 228282; Sez. IV, 10.12.'04 n. 5821, Alfieri ; nonché Sez. VI n. 1472 del 2.11.1998, ric. Archesso, rv 213446; Sez.II, 23.10.'03, ric. Avare//o e Sez. VI, n.41352 del 24.9.2010, ric. Contini, rv 248713) così come gli elementi tesi ad asseverare taluni antecedenti causali del fatto, indicati nella dichiarazione principale, accrescono il valore persuasivo della chiamata in correità. Si tratta, in 26 nel territorio qui esaminato - tra : tal caso, di riscontri indiretti, di natura logico-indiziaria , atteso che il rapporto tra il fatto da provare e il contenuto informativo del dato conoscitivo «di supporto» richiede l'applicazione di un criterio inferenziale che consente di operare, nell'ambito della necessaria valutazione unitaria e congiunta, il raccordo tra le diverse circostanze (si veda, sul punto Sez. I n. 16792 del 9.4.2010, rv 246948, nonchè Sez. I n.16548 del 14:3.2010, rv 246935, sull'obbligo di valutazione unitaria e congiunta dei diversi dati conoscitivi acquisiti) ; - elementi che accrescono la verosimiglianza della narrazione, rapportandosi, in positiva circa particolari specifici dell'azione delittuosa - difficilmente conoscibili o non divulgati in precedenza - accresce la complessiva idoneità rappresentativa della narrazione ; il possesso di mezzi o cose utilizzate per la commissione del reato o dallo stesso derivate, conformemente alla narrazione del dichiarante, in capo all'incolpato, è da ritenersi significativa, in assenza di razionali ipotesi alternative; la stessa acclarata convergenza di più fonti dichiarative - dotate di reciproca autonomia genetica- parimenti si pone come dato accrescitivo rispetto alla dichiarazione di base, come di recente riaffermato da Sez. U. n. 20804 del 29.11.2012) : si tratta di elementi qualificabili come riscontri «diretti», atteso il rapporto immediato tra il fatto da provare e il contenuto informativo dell'elemento di sostegno alla narrazione . 1.3 Ma la identificazione della esatta direzione (fermo restando il vaglio preliminare di attendibilità intrinseca) e delle possibili 'categorie' di elementi di riscontro esterno, qui abbozzata, non esaurisce, ovviamente, il tema in trattazione. Se si risale alla ratio della cautela valutativa, imposta circa l'affidabilità probatoria delle dichiarazioni del correo, si comprende agevolmente quale sia il rilievo del metodo valutativo da seguire nell'ipotesi in cui ci si trovi di fronte a più dati istruttori accomunati - come nel presente processo - dalla provenienza «interna» al circuito criminale posto a monte dell'evento trattato. La condivisibile preoccupazione del legislatore (espressa anche da norme apparentemente solo descrittive di adempimenti procedurali come l'art. 141 bis cod.proc.pen. o delimitanti l'area del diritto di difesa come l'art. 106 comma 4bis ) è anche quella di evitare suggestive e inquinanti circolarità dichiarative tra le varie fonti, tali da determinare una pluralità solo apparente di dati dimostrativi tesi ad asseverare il coinvolgimento dell'imputato nel fatto. Se infatti è corretto ipotizzare il reciproco incremento probatorio, tra le diverse chiamate, ciò chiama in causa la constatazione di tipo logico per cui quando più fonti, dotate di piena autonomia sul piano della esperienza percettiva, finiscono 27 via diretta ai fatti (o alle persone) oggetto di prova (in tal senso, la verifica con il riferire fatti tendenzialmente coincidenti nel loro nucleo essenziale, ciò aumenta oggettivamente le probabilità che i fatti narrati corrispondano al vero. Ma tale assunto è strettamente correlato alla verifica non solo in punto di attendibilità generica del dichiarante quanto da operarsi sul versante della coerenza e costanza narrativa (con assenza di sospetti incrementi tra il contenuto originario delle dichiarazioni e le affermazioni successive) nonchè sulla ricorrenza degli ulteriori presupposti messi in rilievo - da ultimo - nella decisione Sez. U. n. 20804/2013 del 29.11.2012 (rv 255143 - 255145) intervenuta sul auditu). Nella indicata pronunzia (a sua volta punto di approdo di precedenti orientamenti che risulta inutile citare) pur constatandosi l'assenza di una «catalogazione gerarchica in senso piramidale» dei tipi di prova, sganciata dal concreto contesto processuale, e pur riaffermandosi, in via generale, il valore e l'immanenza del principio del libero convincimento, si pone particolare attenzione al rigore metodologico che deve governare un simile procedimento valutativo e al correlato «aggravio» dell'onere motivazionale. In termini generali, la valutazione congiunta delle chiamate risulta significativa a fini di dimostrazione del fatto- lì dove ricorrano : - la convergenza delle chiamate in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione; - l'indipendenza delle medesime, intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente o di altri condizionamenti inquinanti; - la specificità nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e deve riguardare sia il fatto nella sua oggettività che la riferibilità dello stesso all'incolpato, fermo restando che deve privilegiarsi l'aspetto sostanziale della concordanza delle plurime dichiarazioni di accusa sul nucleo centrale e più significativo della questione fattuale da decidere; - l'autonomia genetica, vale a dire la derivazione non ex unica fonte onde evitare il rischio della circolarità della notizia, che vanificherebbe la valenza dell'elemento di riscontro esterno e svuoterebbe di significato lo stesso concetto di convergenza del molteplice. L'assenza di tali condizioni (da apprezzarsi sempre in modo congiunto) può pertanto determinare - non essendo possibile operare in sede di legittimità una autonoma «prova di resistenza» dell'apparato argomentativo in tale delicato settore - l'annullamento della decisione impugnata, per quanto sinora argomentato. Va detto, infatti, che la possibilità di una autonoma valutazione da parte di questa Corte dell'eventuale apparato argomentativo residuo (lì dove, ad 28 tema del cd. riscontro «incrociato» tra più chiamate in reità (fonti plurime de esempio, si rilevi un difetto di autonomia o convergenza di una delle dichiarazioni utilizzate come riscontro incrociato) pure ritenuta ( in questa sede, possibile in ipotesi di rilevazione del vizio di inutilizzabilità di un singolo elemento di prova (tra le altre, Sez. VI n. 10094 del 22.2.2005, rv 231832 e Sez. V n.569 del 18.11.2003, rv 226972) da un lato tende a scontrarsi, sul piano logico, con la stessa struttura e conformazione normativa del giudizio di legittimità, in quanto implica la formulazione di un giudizio autonomo da parte della Corte sul fatto oggetto del processo (da ritenersi esorbitante anche dall'ambito applicativo rv 202302), dall'altro mal si adatta al fenomeno qui considerato, trattandosi non già di escludere un dato che potrebbe non essere stato - in concreto - utilizzato nella decisione ma di rilevare uno specifico vizio del complesso procedimento di valutazione incrociata dei dati disponibili. L'opzione del giudice di merito, tesa ad includere o meno in tale procedimento il dato non convergente o non autonomo tende, pertanto, a condizionare lo stesso risultato della valutazione, con la conseguenza di renderne impossibile la mera «rettificazione» in sede di legittimità. 2. Muovendo da tali premesse, va anzitutto verificato il contenuto del ricorso presentato nell'interesse di Avvento Giovanni. Il ricorso, come si è anticipato, risulta fondato e va accolto. La stratificazione dei dati conoscitivi sull'episodio criminoso qui in trattazione, non solo oggetto di diverse decisioni già irrevocabili ma anche caratterizzato da modifiche rilevanti degli assetti probatori tra primo e secondo grado del presente processo (come evidenziato in parte narrativa) avrebbe imposto - a giudizio di questo Collegio - una maggiore ponderazione dei singoli apporti dimostrativi tesi alla dimostrazione della responsabilità di tale imputato. La Corte territoriale nel compiere - invece - l'operazione valutativa «affascia» tra loro alcune dichiarazioni indubbiamente significative (in particolare quelle rese da Amadio Diego e Piscopo Giovanni) con altre dichiarazioni in realtà irrilevanti (quelle rese da Piscopo Alessandro) o 'imprecise' (quelle rese da Smorta Crocifisso) realizzando una valutazione incrociata di plurime chiamate in reità o in correità non rispettosa dei criteri logico-giuridici prima esposti e non del tutto aderente alla complessità dell'istruttoria. Va rilevato, in particolare, che l'incrocio narrativo essenziale che involge la pretesa responsabilità di Avvento Giovanni per il concorso nella fase organizzativa del plurimo omicidio è indentificabile tra le due fonti Amadio Diego e Piscopo Giovanni. La prima, Amadio, risulta essere collaborante dal 2003 e solo impropriamente può definirsi fonte portatrice di una «chiamata in correità» nei confronti 29 dell'art. 619 cod.proc.pen. come ben precisato da Sez. I n. 9707 del 10.8.1995, dell'Avvento, posto che il coinvolgimento del fatto nell'Amadio (di certo sussistente, posto che è colui cui viene attribuito il compito di segnalare la presenza del Mirabella ai killers) non è risultato assistito dal necessario coefficiente psicologico in punto di consapevolezza del fine perseguito, in realtà, dagli agenti (Amadio, per tale ragione, risulta prosciolto). Ad Amadio, per quanto risulta dagli atti, era stato detto che bisognava dare una «lezione» al Mirabella (per le ragioni ampiamente esposte in parte narrativa) e, pertanto, pur volendosi considerare veritiera la sua dichiarazione è certo che tale necessità di individuare «fisicamente» il Mirabella. Tale indicazione risulta confermata anche dalla espressione che l'Amadio attribuisce ad Avvento dopo il gravissimo fatto di sangue (..è stata una porcata..) tesa a rappresentare un suo 'distacco' dalle modalità di realizzazione dei fatti. In tal senso, più che di chiamata in correità (Amadio non è correo) si tratta di una indicazione di compartecipazione sul piano materiale e della concatenazione causale, come giustamente indicato nel ricorso. Ciò che consentirebbe - in ipotesi - di riempire il vuoto conoscitivo in punto di consapevolezza delle reali finalità dell'azione in capo all'Avvento sono, essenzialmente, le dichiarazioni rese dal Piscopo Giovanni. In tal caso si tratta effettivamente di chiamata in correità, posto che Giovanni Piscopo, dopo essere stato condannato in via definitiva (anche sulla base delle dichiarazioni rese da Amadio) quale co-esecutore materiale della strage, ha illustrato la genesi dell'episodio, attribuendo un ruolo ad Avvento sia nella fase deliberativa che, sia pure marginale, in quella esecutiva. Tuttavia, vero è che l'analisi della attendibilità (intrinseca ed estrinseca) del collaborante in questione non risulta operata - in sentenza - con il dovuto livello di profondità, pur essendo emerse talune significative discrasìe tra la narrazione e gli altri elementi istruttori. In particolare la decisione impugnata non esplica quali e quanti dati, ferma restando la provata partecipazione al fatto del Piscopo Giovanni, possano essere stati tratti dal Piscopo dalla avvenuta celebrazione del processo a suo carico proprio in rapporto al contenuto delle dichiarazioni in tal sede rese da Amadio. Ad esempio, non è chiaro se il riscontro logico rappresentato dal fatto che ad Amadio venne detto di indossare, al momento del fatto, una sciarpa rossa allo scopo di non essere confuso con i bersagli dell'azione (sul punto vi è convergenza dichiarativa tra il Piscopo e l'Amadio, valorizzata in sentenza) era stato o meno un fatto già rivelato dall'Amadio nel precedente processo a carico del Piscopo (ed in tal caso il dato perderebbe il suo significato, non essendo più autonomo) o se sia stato un dettaglio rilevato dal Piscopo (che chiama in causa, 30 fu la descrizione che l'attuale imputato Avvento Giovanni fornì ad Amadio circa le sul punto, il ruolo di Avvento Giovanni, dato che fu lui a istruire il palo) e successivamente confermato dall'Amadio (solo in tal caso il riscontro sarebbe reale e significativo). Così come, data la particolarità della struttura operativa del gruppo di cosa nostra dei 'vittoriani' (i Piscopo e lo stesso Avvento, nonchè il La Rocca) la cui autonomia dai 'gelesi' ( Emmanuello Alessandro, Emmanuello Daniele, Smorta, Billizzi, Gammino) appare alquanto ridotta - tanto che la decisione di eliminare il Mirabella deve, in realtà, promanare direttamente dai vertici del gruppo di Gela non approfondisce la reale portata dell'elemento a discarico rappresentato, circa la posizione di Avvento, dalle dichiarazioni rese dal Billizzi nel corso del giudizio di secondo grado. La versione del Billizzi non può apoditticamente essere sospettata di falsità (non apparendo, tra l'altro, chiara la ragione per cui tale soggetto avrebbe, in ipotesi, scientemente deliberato di proteggere Avvento Giovanni sullo specifico episodio, posto che lo stesso Billizzi lo include nel gruppo di cosa nostra in Vittoria) proprio perchè si inserisce in un contesto che in modo non irragionevole (rispetto ai contenuti dell'istruttoria) tende a spostare l'asse deliberativo dell'omicidio sui referenti 'gelesi' di cosa nostra (in particolare Emmanuello Alessandro ed Emmanuello Daniele, che incaricano il Billizzi di coordinare l'azione) fermo restando che i contrasti con il Mirabella erano insorti nel territorio di Vittoria. Da ciò la considerazione per cui appare significativa l'esclusione di Avvento dal «quadro rappresentativo» proposto dal Billizzi, soggetto che appare univocamente il reale organizzatore, su indicazione di Alessandro Emmanuello, della tragica spedizione di morte. Con ciò si intende affermare che da un lato non è impossibile ipotizzare (anche dopo le nette affermazioni del Billizzi) che il dettaglio operativo circa la funzione dell'avvistatore Amadio sia stato, in concreto, delegato da Piscopo Giovanni ad Avvento Giovanni (all'insaputa del Billizzi medesimo e ferma restando la singolarità di tale circostanza) ma dall'altro va anche detto che tale novità probatoria (le dichiarazioni del Billizzi) imponeva una più accurata verifica della affidabilità complessiva del Piscopo, anche in tal caso non realizzata. Vi sono, infatti, non solo talune difformità tra i dati di preparazione dell'omicidio (ad esempio il momento del furto della vettura) e le dichiarazioni di Piscopo Giovanni, difformità che non risultano adeguatamente sviluppate, ma soprattutto il riferimento, operato in sentenza, alle altre fonti dichiarative di «sostegno» alla affermazione di penale responsabilità dell'Avvento risulta erroneo sul piano del metodo in riferimento a Piscopo Alessandro e Smorta Crocifisso . i Ed invero : 31 (come emerge dall'incrocio di tutte le fonti disponibili) - la decisione di merito - Piscopo Alessandro del '60 risulta indicato dal fratello Piscopo Giovanni come colui che gli avrebbe dato conferma, nel mentre lo accompagnava all'aereoporto due giorni dopo la strage, della presenza di Giovanni Avvento nel luogo concordato «a copertura» della fuga la sera del 2 gennaio. Non solo tale circostanza non è oggetto di espressa conferma da parte del Piscopo Alessandro, ma è emerso che costui nelle prime dichiarazioni rese da collaborante aveva negato, a specifica domanda, lo svolgimento di qualsivoglia ruolo nella strage da parte di Avvento. Trattasi, pertanto, di fonte che - visti i sospetti incrementi responsabilità di Avvento; - Smorta Cocifisso attribuisce de relato al Billizzi una affermazione (che sarebbe stata resa durante il comune periodo di detenzione a Caltanissetta) del tutto distonica con l'andamento dell'istruttoria (Avvento si sarebbe occupato di distruggere l'auto utilizzata per la spedizione) e pertanto anche tale dichiarazione difetta del presupposto della convergenza e non può contribuire alla operazione valutativa. Anche il preteso riscontro 'di ruolo', essendo stato da più fonti l'Avvento indicato come uno dei principali referenti in Vittoria degli Emmanuello (il che lascia intravedere un possibile accrescimento qualitativo delle diverse chiamate sull'episodio) non appare, a ben vedere, significativo in quanto la catena di comando è essenzialmente rappresentata dai due fratelli Emmanuello e dal Billizzi, il che esclude l'applicabilità dei principi di matrice giurisprudenziale circa l'incremento probatorio correlato alla qualità dirigenziale per omicidi 'eccellenti'. Resta valutabile, invece - ma a questo punto ciò potrà avvenire solo in sede di rinvio - la dichiarazione resa da Gammino Gianluca circa la consapevolezza del proposito omicidiario in capo all'Avvento dovuta al fatto che l'incontro nel corso del quale Giovanni Piscopo gli passò al telefono Alessandro Emmanuello sarebbe avvenuto presso l'abitazione di Avvento medesimo. Tale dato, invero, possiede una autonoma valenza dimostrativa e può essere posto, una volta verificata in modo più ampio l'attendibilità specifica di Piscopo Giovanni e dello stesso Gammino, a fondamento di una nuova valutazione, ferma restando la necessità di individuare e dimostrare - come per ogni caso di responsabilità concorsuale (Sez. U. n. 42756 del 30.10.2003, rv 226101) - le forme di manifestazione concrete del concorso criminoso. Le segnalate divergenze del procedimento valutativo dai canoni normativi, come interpretati nella parte iniziale, conduce pertanto - non potendosi in tal sede operare alcuna prova di resistenza del tessuto argomentativo - all'annullamento con rinvio della decisione impugnata in relazione al giudizio di responsabilità di Avvento Giovanni. 32 conoscitivi - non può essere annoverata tra gli elementi di sostegno della penale In sede di rinvio, in applicazione dei suddetti principi e criteri, dovrà essere globalmente rivalutato il materiale istruttorio, con l'ampiezza dei poteri cognitivi e di integrazione tipici della fase e del grado. 3. Il ricorso proposto nell'interesse di Emmanuello Alessandro è infondato, tranne che per la parte relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Le critiche mosse con il secondo e terzo motivo - nella parte riferita alla motivazione in punto di responsabilità - non si confrontano, in realtà, con il acquisito. La indicazione di Emmanuello Alessandro (in una con quella di Emmanuello Daniele) quale mandante dell'omicidio di Mirabella Angelo (e dei suoi guardaspalle, dato che l'azione armata implica l'eliminazione degli antagonisti anche solo potenziali) non solo è un dato che proviene in modo univoco da tutte le fonti escusse - ivi compresi Billizzi Carmelo e Gammino Gianluca - ma che trova conforto, come esplicitato in sentenza, anche in dati 'estranei' alla parola dei dichiaranti. In particolare, sono di certo utilizzabili in chiave valutativa i contatti telefonici di cui vi è traccia - intervenuti proprio tra Billizzi Carmelo e Emmanuello Alessandro (al momento del fatto in Germania) in orari (tra le 18.15 e le 18.30) che molto rappresentano, in quanto coincidenti con l'operazione criminosa. Del resto, la stessa versione resa dal Billizzi, riscontrata, sul punto, dalle tracce comunicative acquisite, appare del tutto esaustiva circa l'identificazione logica del contenuto delle conversazioni e circa la necessità di informare il vertice del gruppo dei 'gelesi' di quanto accaduto, come si è congruamente ritenuto in sentenza. Inoltre, va detto che anche sotto il profilo del metodo valutativo, tutti gli apporti narrativi risultano, nel caso in questione, provenire da soggetti (Piscopo Alessandro, Gammino Gianluca, Billizzi Carmelo) che senza dubbio superano il vaglio di attendibilità generica per aver realmente vissuto segmenti del fatto che raccontano, nè sono emerse incertezze o contrasti sul ruolo di Emmanuello Alessandro nel fatto giudicato. Non possono, pertanto, le segnalate criticità circa la valutazione operata nei confronti di Avvento Giovanni rifluire sulla diversa posizione di Emmanuello. Ciò sia in ragione della regola generale di «scindibilità» dei contributi narrativi (espressa già da Sez. I , n. 6992 del 30.1.1992 ric. Altadonna, per cui è perfettamente legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie provenienti da taluno dei soggetti indicati ai co.3 e 4 dell'art.192, con attribuzione, quindi, di piena attendibilità e valenza probatoria a tutte e solo 33 puntuale contenuto della motivazione e con l'ampio materiale istruttorio quelle parti di esse che risultino suffragate da idonei elementi di riscontro) che in virtù, come si è detto, della esistenza di dati ulteriori. Oltre alla esistenza delle ricordate comunicazioni tra Billizzi ed Emmanuello va infatti condivisa la considerazione per cui l'omicidio del Mirabella, bersaglio essenziale dell'azione delittuosa, era espressione di un più ampio contrasto, allora in atto, tra la organizzazione cosa nostra e il diverso gruppo della stidda nei territori amministrati, sul versante di cosa nostra proprio da Emmanuello Alessandro e Emmanuello Daniele, il che legittima - in tal caso - l'ulteriore pregressi accertamenti definitivi circa la caratura mafiosa dell'attuale ricorrente ed i compiti da lui svolti in seno al gruppo criminoso. Non può, inoltre, ritenersi fondato il primo motivo di ricorso. E' pacifico, infatti, che nei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado non venne fatto riferimento alcuno alla omessa «acquisizione» dello scritto inviato da Emmanuello Alessandro in chiave difensiva e pervenuto alla Corte di Assise di Siracusa solo il 22 dicembre del 2009 a fronte di una decisione presa in data 21 dicembre. Ciò rende irrilevante la mancata valutazione - da parte della Corte d'Assise d'Appello di Catania - dei contenuti della successiva 'memoria', posto che l'oggetto del giudizio di appello è rappresentato dall'esame dei motivi, che delimitano la cognizione del giudice di secondo grado (in tal senso Sez. VI n. 18453 del 28.2.2012, rv 252713, nonchè in via generale Sez. V n.1099 del 26.11.1997) specie in rapporto a questioni di stretto carattere processuale, come nel caso in esame. In effetti la memoria andava obbligatoriamente valutata solo ove il fatto denunziato fosse stato ritenuto quale ipotesi di nullità di ordine generale, ai sensi degli artt. 178 e 180 cod.proc.pen. . Ma, a ben vedere, non può dirsi che la mancata valutazione, in sede di giudizio di primo grado, del contenuto di tale atto abbia dato luogo a tale tipologìa di nullità. L'intervento dell'imputato risulta in ogni caso assicurato dalla sua partecipazione in videoconferenza e la mancata lettura, prima della decisione in camera di consiglio, delle note da lui redatte (di cui è impossibile valutare l'effettiva pertinenza ed influenza sulla decisione) non attiene il contenuto essenziale della partecipazione ma una sua specifica modalità, sanzionata dall'art. 523 comma 5 con una previsione espressa di nullità, da intendersi relativa. Da ciò deriva che l'eventuale nullità - prodottasi ai sensi dell'art. 523 comma 5 cod.proc.pen. - è da ritenersi sanata ai sensi dell'art. 181 comma 4 codice di rito per la mancata eccezione nell'atto di appello. 34 affermazione di un riscontro 'di ruolo' derivante, come collante logico, dai Legittima, pertanto, risulta l'assenza di valutazione espressa da parte dei giudici di secondo grado, che in ogni caso hanno seppur in modo implicito, valutato e respinto ogni questione relativa al giudizio di responsabilità. Fondato è, invece, il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio. A fronte di una precedente condanna alla pena dell'ergastolo già definitiva ed in rapporto alla quale già il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente il vincolo della continuazione (sentenza Corte Assise Appello di Genova del 31.12.1997) va applicata la previsione di legge di cui all'art. 72 comma 1 cod.pen. (richiamata ergastolo con l'isolamento diurno da sei mesi a tre anni. Tale previsione va direttamente applicata in sede di cognizione ai sensi dell'art. 80 cod. pen. e 533 comma 2 cod.proc.pen. e ciò anche in virtù della necessità di determinare, ai sensi del predetto articolo 72, la durata dell'isolamento diurno, la cui natura giuridica è quella di autonoma sanzione penale (Sez. I, 28.1.2000, rv 215422). Limitatamente a tale aspetto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, con rigetto del ricorso nel resto. 4. I ricorsi proposti da Billizzi Massimo Carmelo e Gammino Gianluca sono fondati nella parte relativa alla esclusione delle speciale circostanza attenuante di cui all'art. 8 legge n.203 del 1991. Sul punto, la motivazione addotta non risulta aderente al complesso delle attività valutative, dato che le dichiarazioni rese da entrambi - con obiettiva dissociazione dal contesto omertoso di provenienza - risultano in concreto utilizzate al fine di confermare la penale responsabilità di Emmanuello Alessandro. Inoltre, le dichiarazioni rese dal Gammino, come già considerato, appaiono utile elemento ricostruttivo anche in rapporto alla posizione di Avvento Giovanni e in ogni caso non può affermarsi che la versione resa dal Billizzi, pur in parte contrastante con altri dati, sia frutto di volontà 'protettiva' nei confronti dello stesso Avvento (anche in virtù di quanto si è evidenziato nella parte della presente decisione dedicata all'esame del relativo ricorso). La Corte territoriale, pertanto, finisce con l'adottare un criterio selettivo di eccessiva rigidità, quasi ritenendo il fatto già accertato in modo pieno con la decisione di primo grado, lì dove l'obiettiva utilità del contributo può intervenire anche nel corso del giudizio di appello, non essendo previsto alcun termine preclusivo dalla legge per il riconoscimento della collaborazione (si veda, sul tema, Sez. I n. 4824 del 18.4.1997, rv 207585). 35 anche dall'art. 81 comma 3 cod.pen.) che prevede l'applicazione di un unico Nè può essere ritenuto motivo di diniego dell'attenuante, per il Gammino, l'aver eventualmente conosciuto la scelta operata dal coimputato Billizzi, posto che le (inevitabili) componenti utilitaristiche non escludono la ricorrenza dei parametri legali della dissociazione e della obiettiva utilità del contributo. L'orientamento giurisprudenziale in tema di utilità obiettiva della collaborazione (tra cui, di recente, Sez. VI, n.10740 del 16.12.2010, rv 249373) va indubbiamente rapportato alla fase processuale in cui viene prestato il contributo, ma con la consapevolezza di fondo che in valutazioni complesse - è di per sè «decisivo» per la ricostruzione dei fatti (come testualmente recita l'art. 8 della legge n.203 del 1991), pena l'inconciliabilità con la stessa previsione processuale di cui all'art. 192 comma 3 del codice di rito (su cui ci si è largamente intrattenuti in precedenza). Dunque il criterio va più ragionevolmente interpretato - per necessaria coerenza sistematica - nel senso che il nuovo atteggiamento dichiarativo in tanto può essere fonte di attenuazione del trattamento sanzionatorio in quanto «concorra utilmente» ad una ricostruzione dei fatti ancora aperta a possibili soluzioni alternative. Tale condizione appare - per quanto detto - sottovalutata nel percorso motivazionale e va pertanto rimessa ad una nuova valutazione, da modellarsi sul descritto parametro interpretativo. E' evidente che l'accoglimento di tale motivo di ricorso impone una rivalutazione - in sede di rinvio - dell'intero quadro circostanziale, posto che l'eventuale riconoscimento di tale attenuante speciale (in quanto più favorevole rispetto all'art. 62 bis cod.pen.) potrebbe assorbire le ragioni che hanno determinato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche che, peraltro, mai potrebbero essere ritenute equivalenti o prevalenti - e ciò per espresso divieto di legge - alla aggravante prevista dall'art. 7 della legge n.203 del 1991 (la cui efficacia permane in ogni caso di applicazione di una pena diversa dall'ergastolo, come ritenuto da Sez. VI n. 20144 del 17.2.2010, rv 247370), con relativo rigetto parziale dei suddetti ricorsi. I ricorrenti Emmanuello Alessandro, Gammino Gianluca e Billizzi Massimo Carmelo vanno pertanto vanno pertanto condannati, come da dispositivo, a rifondere in solido tra loro le spese del presente giudizio liquidate a favore delle parti civili. P.Q.M. 36 come quelle basate sull'incrocio tra più dati narrativi - nessun elemento di prova Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Avvento Giovanni. Annulla altresì la ridetta sentenza nei confronti di Emmanuello Alessandro limitatamente al trattamento sanzionatorio, nonchè nei confronti di Billizzi Massimo Carmelo e di Gammino Gianluca limitatamente alla comparazione tra le circostanze e al diniego della attenuante ad effetto speciale della così detta dissociazione attuosa. Rinvia per nuovo giudizio sui capi e sui punti anzidetti ad altra Sezione della Corte di Assise di Appello di Catania. rifondere in solido tra loro le spese del presente giudizio che si liquidano a favore della parte civile difesa dall'avocato Schembari in euro 3.000,00; a favore della parte civile difesa dall'avvocato Assenza in euro 3.000,00; a favore delle parti civili difese dall'avvocato Drago Raffaele in euro 3.600,00; a favore delle parti civili difese dall'avvocato Drago Daniele in euro 6.000,00; a favore delle parti civili difese dall'avvocato Scrofanil Cancellieri in euro 3.600,00 e a favore delle parti civili difese dall'avvocato Nicosia in euro 10.800,00. Così deciso il 5 novembre 2013 Il Consigliere estensore Il Presidente Rigetta nel resto i ricorsi di Emmanuello, Gammino e Billizzi che condanna a

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