Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9641 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9641 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Avellino
nei confronti
Storti Felice Nicola, nato a Atripalda il 08/05/1992
Libera Adam Jerzy, nata a Biale Podlaska (Polonia) 30/03/1989
avverso la ordinanza del 31/05/2013 del Tribunale della libertà di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata;
udito per l’imputato

Data Udienza: 16/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica di Avellino ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale della libertà di Napoli, in
riforma dell’ordinanza emessa in data 7 maggio 2013 dal Gip presso il Tribunale
di Sant’Angelo dei Lombardi, sostituiva nei confronti di Felice Nicola Storti e di
Adam Jerzy Libera la misura della custodia cautelare in carcere con quella
dell’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria competente in

1.1. Nei cui confronti era stata elevata l’imputazione cautelare di cui all’art.
73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
In particolare allo Storti si rimproverava di aver ceduto ad Adam 3erzy
Libera sostanza stupefacente che quest’ultima vendeva, a sua volta, a terzi.
Ad entrambi erano poi contestati una pluralità di episodi di cessione di
sostanza stupefacente a tossicodipendenti specificamente individuati ed indicati
nei capi dell’imputazione cautelare.
1.2. Il Tribunale distrettuale, dopo aver ampiamente convalidato la
prospettazione accusatoria recepita nell’ordinanza cautelare in punto di
sussistenza della gravità indiziaria, riteneva che fosse ravvisabile anche
l’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. sul
rilievo che le plurime condotte di vendita e detenzione a fini di spaccio secondo
le modalità descritte nell’impugnata ordinanza, i contatti con ambienti criminali
anche di aree geografiche diverse da quella di provenienza, la mancanza di
un’occupazione lavorativa e di lecite fonti di sostentamento economico
costituissero indicativi elementi di un’elevata propensione a delinquere degli
indagati, concorrendo, nel loro complesso, a fondare il timore che, liberi da
vincoli coercitivi, gli stessi avrebbero potuto reiterare analoghe ipotesi delittuose.
Avuto tuttavia riguardo allo stato di incensuratezza degli indagati, il Collegio
cautelare stimava che l’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia
giudiziaria, garantendo un continuo controllo sui comportamenti dei prevenuti,
rappresentasse un vincolo restrittivo alla libertà di azione sufficiente ed adeguato
a fronteggiare il ravvisato pericolo di recidiva.

2. L’impugnazione del procuratore della Repubblica di Avellino è affidata ad
un unico complesso motivo con il quale si denuncia la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen.
Si deduce come la motivazione del Tribunale distrettuale sia priva di un
percorso logico intrinsecamente coerente perché, date alcune premesse, il

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relazione al luogo di residenza o di domicilio degli indagati.

ragionamento è risultato del tutto slegato rispetto alle conclusioni cui il Collegio
cautelare è giunto.
Ed infatti – da un lato – il tribunale del riesame ha riconosciuto l’esistenza di
una pluralità di episodi delittuosi, attestata dall’elevato numero delle cessioni e
dimostrativa di un’intensità dei rapporti dei cedenti con i consumatori acquirenti, nonché l’esistenza di contatti degli indagati con ambienti criminali
anche di aree geografiche diverse, oltre all’impossidenza degli autori degli illeciti
e della loro inoccupazione e – dall’altro – lo stesso il Tribunale ha,

esigenza cautelare la blanda misura dell’obbligo di presentazione alla polizia
giudiziaria, che permette agli indagati proprio quella libertà di movimento che
consentirebbe loro di reiterare le condotte delittuose specifiche e di attentare alla
genuinità della prova, il cui pericolo di inquinamento pure era stato posto a
fondamento della misura cautelare carceraria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2. Il ricorrente fondatamente lamenta il vizio di manifesta illogicità della
motivazione, nel quale rientra la cosiddetta contraddittorietà interna o logica
della decisione giudiziale, che si ha quando, sullo stesso punto di fatto o di
diritto, il provvedimento del giudice, contenga valutazioni l’una con l’altra
contrastanti, tanto da essere logicamente o giuridicamente fra loro inconciliabili.
Nel caso di specie, a fronte di una pluralità di imputazioni cautelari di
detenzione e spaccio, in più occasioni e nei confronti di una pluralità di
acquirenti, di sostanze stupefacenti (otto per Felice Nicola Storti e nove per
Adam Jerzy Libera, la maggior parte di esse avvinte dal vincolo della
continuazione interna con condotta criminosa protrattasi, secondo l’assunto dello
stesso Tribunale, nell’arco di circa sei mesi ed in relazione a quantità non sempre
modiche), il Collegio cautelare, da un lato, ha espressamente riconosciuto come
gli indagati avessero intensi rapporti con i consumatori – acquirenti nonché
indiscutibili contatti con ambienti criminali, anche di aree geografiche diverse da
quella di provenienza, oltre alla mancanza di una stabile occupazione lavorativa
che consentisse loro il reperimento di lecite fonti di reddito, traendo da ciò il
logico e corretto convincimento circa l’esistenza di «un’elevata propensione a
delinquere>> nel senso che se «liberi da vincoli coercitivi>>, gli indagati
potessero reiterare analoghe ipotesi delittuose e, dall’altro, ha ritenuto, quanto
alla scelta della misura e sull’unico presupposto dell’incensuratezza, che l’obbligo

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contraddittoriamente, stimato adeguata alla salvaguardia dell’individuata

di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria, garantendo un continuo
controllo sui comportamenti dei prevenuti, rappresentasse un vincolo restrittivo
alla libertà di azione sufficiente ed adeguato a fronteggiare il ravvisato pericolo di
recidiva.
Fermo il principio secondo cui le cautele, quando effettivamente sussistono,
devono essere incisive ed efficaci, dovendo essere salvaguardate con la misura
più idonea (custodiale o non custodiale, secondo i casi, quanto alle misure
cautelari coercitive), deve ritenersi come il pericolo di ripetizione criminosa non

dell’imputato alla polizia giudiziaria allorquando, adempiuto all’obbligo, il pericolo
si riproporrebbe allo stesso modo, e senza alcuna logica attenuazione, subito
dopo l’assolvimento della prescrizione cautelare.
Ed infatti, non essendo consentito un sacrificio della libertà personale del
cittadino che prescinda dal soddisfacimento di una finalità cautelare, il sistema
non consente l’imposizione di una misura che sarebbe inutilíter data con
specifico rifermento alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare
nel caso concreto.
Nella specie è lo stesso Collegio cautelare a stimare come elevata la
pericolosità sociale degli indagati, a ritenere che la mancanza di redditi leciti
possa costituire motivo per delinquere ed a puntualizzare come essi siano
collegati ad ambienti criminali, persino di aree geografiche diverse.
Sulla base di queste premesse, tutte ampiamente condivisibili, è contrario ai
principi della logica ritenere che, pur in presenza di persone incensurate ma
collegate con ambienti criminali e sprovviste di leciti redditi, l’obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria, in considerazione della estesa libertà di
movimento del tutto ampia che essa comporta, ad eccezione dell’irrilevante
frangente temporale della presentazione all’autorità, possa contenere e
salvaguardare il pericolo della ripetizione criminosa specifica ed essere idoneo al
soddisfacimento del bisogno cautelare individuato.
Dovendo essere rimossa la contraddittorietà interna che affligge il
provvedimento impugnato, l’ordinanza va pertanto annullata con rinvio, per
nuovo esame, al Tribunale di Napoli che si atterrà ai principi di diritto sopra
enunciati e che valuterà anche la sussistenza o meno dell’esigenza di cui all’art.
274 lett. a) cod. proc. pen in considerazione dell’ulteriore doglianza mossa dal
Procuratore della Repubblica di Avellino (pure formalmente fondata) circa il
difetto assoluto di motivazione quanto al paventato pericolo di inquinamento
probatorio, che il provvedimento impositivo, con motivazione invero apparente,
altrettanto riconosceva.

P.Q.M.
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possa essere salvaguardato con l’obbligo di presentazione, sebbene quotidiana,

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.

Così deciso il 16/01/2014

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