Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9640 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9640 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Duru Frankline, nato a Okwe (Nigeria) il 19/12/1979
avverso la ordinanza del 03/09/2013 del Tribunale della libertà di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Fabio Calderone che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 16/01/2014

.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Palermo, con ordinanza del 3 settembre 2013,
confermava il provvedimento cautelare del 16 agosto 2013 emesso dal Gip
presso il Tribunale di Trapani, con il quale veniva applicata a Frankline Duru la
misura della custodia cautelare in carcere in ordine al reato di cui all’art. 73
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 perché, in concorso con Mongi Ltaief e Lamjed
Kraiem, entrambi di nazionalità tunisina, importava, trasportava, deteneva per

stupefacente, fra cui in particolare 89 grammi di eroina occultati a bordo
dell’autovettura Volkswagen Golf e poi rinvenuti in agro di Marsala, occultati in
un buco nel terreno.
Il Collegio cautelare, dopo aver rigettato diverse eccezioni difensive circa la
mancata traduzione dell’ordinanza cautelare, la competenza per territorio e
l’omessa trasmissione di taluni decreti autorizzativi delle intercettazioni, riteneva
parimenti infondate le doglianze circa la insussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza ricavabili dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie dei coindagati
Mongi Ltaief e Lamjed Kraiem, da alcune specifiche conversazioni intercettate ed
i
indicate nell’ordinanza impugnata e dalle risultanze investigative con le quel le
predette captazioni erano state coniugate.
Riteneva infine la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274,
comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen. salvaguardabili solo con la misura di
massimo rigore in considerazione degli accertati stabili, attuali e consolidati
rapporti dell’indagato con fornitori all’ingrosso e spacciatori al dettaglio di droga,
disponendo la traduzione in lingua inglese dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art.
309, comma 9, cod. proc. pen.

2. Per l’annullamento della suddetta ordinanza ricorre per cassazione, a
mezzo del proprio difensore, Frankline Duru affidando il gravame a quattro
motivi.
2.1. Con il primo motivo, si deduce l’inosservanza della legge processuale e
di norme di cui si debba tenere conto nell’applicazione della legge penale; in
particolare la violazione dell’art. 143 cod. proc. pen. in ordine all’omessa
traduzione in lingua inglese, l’unica conosciuta dall’indagato, del decreto di fermo
e della successiva ordinanza di convalida del decreto di fermo nonché applicativa
della misura cautelare in carcere (art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc.
pen.).
Si assume, anche sulla base di richiami giurisprudenziali, che l’indagato
avesse diritto a conoscere l’accusa nella lingua da lui conosciuta per potersi

fini di spaccio e cedeva a terzi imprecisate e rilevanti quantità di sostanza

difendere e che la richiesta di riesame non possa, in alcun caso, essere intesa
come sanatoria delle pregresse violazioni del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce l’inosservanza della legge processuale
e di norme di cui si debba tenere conto nell’applicazione della legge penale; in
particolare la violazione delle regole generali di cui agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen.
quanto alla determinazione del giudice competente, e dell’art. 291 cod. proc.
pen. in ordine al procedimento applicativo della misura cautelare (art. 606,
comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen.).

doveva essere determinata presso il tribunale di Marsala, essendo stata in tale
luogo rinvenuta e sequestrata la sostanza stupefacente, al più Palermo (luogo
ove secondo le intercettazioni e le dichiarazioni dei chiamanti in reità sarebbe
stato acquistato lo stupefacente) ma in nessun caso in Trapani, dove invece
illegittimamente la competenza è stata radicata.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione del disposto di cui all’art.
309, comma 5, in relazione all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. per omessa
trasmissione da parte dell’autorità giudiziaria degli atti presentati a norma
dell’art. 291 cod, proc. pen. ossia, nella specie, dei decreti autorizzativi delle
disposte intercettazioni ambientali e telefoniche (art. 606, comma 1, lett. c) cod.
proc. pen.).
Si deduce che come il tribunale distrettuale abbia omesso qualsiasi
motivazione circa la mancata trasmissione nel termine di legge dagli atti indicati
dal ricorrente.
2.4. Con il quarto motivo, si lamenta l’inosservanza della legge processuale
e di norme di cui si debba tenere conto nell’applicazione della legge penale; la
manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal testo del
provvedimento impugnato e dagli atti specificamente indicati nel ricorso nonché
la violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. quanto alla sussistenza delle condizioni
generali di applicabilità della misura (art. 606, comma 1, lett. b) e c) ed e) cod.
proc. pen.).
Si sostiene come i dati ricavabili dalle intercettazioni siano del tutto neutri
quanto agli indizi di colpevolezza nei confronti del ricorrente; che il ritrovamento
in una buca della sostanza stupefacente non sarebbe idoneo a consentire la
riconducibilità al ricorrente della droga rinvenuta ed infine neppure idonee
possono ritenersi le dichiarazioni dei coindagati che, come precisato dallo stesso
Gip, hanno smentito la ricostruzione complessiva compiuta dal pubblico
ministero nel disporre il fermo.

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Si sostiene che la competenza <>

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Con il primo motivo il ricorrente si duole del fatto che sia stato
irrimediabilmente leso il diritto di difesa per la mancata traduzione nella lingua
da lui conosciuta dell’ordinanza cautelare.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la

all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale emessa nei confronti
dell’indagato che non conosce la lingua italiana, sempre che la richiesta di
riesame non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione
dell’ordinanza cautelare (Sez. 6, n. 38584 del 22/05/2008, Olebunne, Rv.
241403).
Tale condivisibile orientamento fonda sul presupposto che l’omessa
traduzione dell’ordinanza cautelare non genera una nullità assoluta ed
insanabile, ma soltanto una nullità a regime intermedio che influisce sull’efficacia
e non sulla validità del provvedimento.
A tale approdo sono giunte le Sezioni Unite di questa Corte (in causa Jakani)
secondo cui la mancata traduzione dell’atto processuale nella lingua conosciuta
dell’imputato, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 143 cod. proc. pen.
come interpretato da Corte cost. 12 gennaio 1993 n. 10, integra una nullità
generale di tipo intermedio (artt. 178, lett. c e 180 cod. proc. pen.) la cui
deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza (Sez. U, n. 12 del
31/05/2000, Rv. 216259), approdo al quale hanno dato continuità anche le
Sezioni Unite (in causa Zalagaitis) riaffermando che la omessa traduzione del
provvedimento custodiale nel momento in cui è emesso, ove ne ricorra il
presupposto, o la mancata nomina dell’interprete per la traduzione in sede di
interrogatorio di garanzia, quando non si sia già provveduto ai sensi della norma
dell’art. 94, comma 1-bis, disp. att., è causa di nullità dell’atto – rispettivamente,
dell’ordinanza di custodia cautelare o dell’interrogatorio di garanzia – nullità che
deve annoverarsi, in difetto di una specifica previsione della norma dell’art. 143
cod. proc. pen., tra le nullità contemplate dagli artt. 178, lett. c), e 180 cod.
proc. pen., la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza (Sez. U,
n. 5052 del 24/09/2003 (dep. 09/02/2004) Zalagaitis).
Da ciò consegue che la proposizione della richiesta di riesame ha effetti
sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione, perché in tal caso è
stato raggiunto lo scopo tipico dell’atto (conoscenza degli elementi costitutivi
dell’accusa e possibilità di contrapporvi argomenti difensivi), sempre che la
richiesta di riesame non sia stata proposta solo per dedurre la mancata
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proposizione della richiesta di riesame ha effetti sananti della nullità conseguente

traduzione dell’ordinanza cautelare (Cass. Sez. 6, 20/03/2006 n. 14588, Ajbari,
rv. 234036).
Nel caso di specie, la richiesta di riesame avverso l’ordinanza cautelare del
g.i.p. del Tribunale di Trapani non è stata proposta al solo fine di dedurre la
supposta nullità del provvedimento per la sua mancata traduzione in lingua
comprensibile all’indagato, sicché la doglianza non può trovare accoglimento
alcuno.
Questa Corte ha precisato che il surrichiamato principio vale anche quando

lo scopo tipico dell’atto omesso (la traduzione), vale a dire la conoscenza degli
elementi costitutivi dell’accusa e la possibilità di contrapporvi argomenti difensivi
dinanzi al Collegio cautelare mediante il ricorso che l’indagato, attraverso il suo
difensore, ha in concreto effettuato (Sez. 2, n. 32555 del 07/06/2011, Bucki, Rv.
250763).
A tali principi si è correttamente attenuto il Tribunale del riesame di Palermo
con la conseguenza che il primo motivo del ricorso è infondato,

3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la
violazione delle norme processuali che regolano la competenza per territorio.
Con accertamento di fatto, ampiamente motivato, il Collegio cautelare ha
ritenuto come non vi fossero elementi decisivi per affermare con certezza, in
relazione a ciascuno degli episodi rilevanti ex art. 73 legge stup. dove si
concludessero gli accordi tra il Duru, da un lato, ed i coindagati, dall’altro, né
dove il ricorrente detenesse lo stupefacente, dove lo prelevasse e dove lo
consegnasse.
Va ricordato che l’eccezione d’incompetenza per territorio deve essere
necessariamente fondata su elementi certi ed inequivocabili, non potendosi la
cognizione determinare sulla base di elementi incerti, né sulla bage delle
dichiarazioni rese dall’indagato o da terzi, ove non sorrette da elementi di sicuro
riscontro.
La giurisprudenza di questa Corte è infatti consolidata nel ritenere che la
competenza per territorio debba essere determinata in base ad elementi
oggettivi, desumibili con certezza dalle prove in atti (ex multis, Sez. 1, n. 5230
20/10/1995, Urrata, Rv n. 203101; Sez. 1, n. 43230 del 26/10/2010, Confl.
comp. in proc. Nicula Razvan, Rv. 249018).
Orbene, non essendo nella fattispecie certo e, dunque, essendo non
conosciuto il luogo di consumazione dei reati, correttamente il Tribunale ha
ritenuto inapplicabili gli artt. 8 e 9, comma 1, cod. proc. pen., con la
conseguenza che, inapplicabile anche il criterio del luogo di residenza degli
indagati ex art. 9, comma 2, cod. proc. pen. per essere diverso il luogo di
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il riesame è chiesto dal difensore in quanto, anche in tal caso, può dirsi raggiunto

abituale dimora degli stessi, correttamente si è fatto ricorso al criterio residuale
di cui all’art. 9, comma 3, cod. proc. pen. che radica la competenza del giudice
del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per
primo ad igscrivere la notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc.
pen., ossia il Tribunale di Trapani.
Peraltro, va precisato come il ricorrente non si duole specificamente
dell’errata individuazione del giudice territorialmente competente bensì
dell’incompetenza del giudice che avrebbe proceduto alla convalida del fermo, le

la competenza ma fondano su una speciale competenza funzionale, attribuita
dall’art. 390 cod. proc. pen. al giudice del luogo in cui l’arresto o il fermo è stato
eseguito, in ossequio ai principi fondanti il diritto all’habeas corpus.
Siccome non è prospettato che il fermo sia stato eseguito in un luogo
diverso dal circondario di Trapani, la doglianza è totalmente infondata.

4. Con il terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta l’omessa
trasmissione nel termine di cui all’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. dei decreti
autorizzativi delle disposte intercettazioni telefoniche ed ambientali.
Il motivo non è fondato.
Il Tribunale ha precisato (né il ricorrente ha provato il contrario) che gli atti,
con riferimento ai quali la difesa si duole dell’omessa tempestiva trasmissione,
non furono presentati dal pubblico ministero al Gip con l’esercizio dell’azione
cautelare.
Ne deriva che l’inefficacia del titolo cautelare, ai sensi del comb. disp. ex art.
309, commi 5 e 10, cod. proc. pen., non può mai conseguire all’omessa
trasmissione degli atti al Tribunale del riesame che non siano stati posti a
fondamento della domanda cautelare.
Peraltro il Tribunale, richiamando i decreti richiesti dalla difesa e rinviando
l’udienza camerale, si è correttamente uniformato all’orientamento di questa
Corte, cui va dato continuità, secondo il quale, in tema di misure cautelari, se i
decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche non siano allegati alla
richiesta del pubblico ministero, la successiva omessa trasmissione degli stessi al
Tribunale del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo
non determina l’inutilizzabilità, né la nullità assoluta ed insanabile delle
intercettazioni, salvo che la difesa dell’indagato abbia presentato specifica e
tempestiva richiesta di acquisizione, e la stessa o il giudice non siano stati in
condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità (Sez. 6, n. 7521 del
24/01/2013, Cerbasio, Rv. 254586).

5. Il quarto motivo di gravame è parimenti infondato.
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cui attribuzioni non derivano dall’applicazione dei principi generali che regolano

Con esso il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato censure
aspecifiche, e pertanto inammissibili, quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza.
Il Tribunale, con esaustiva e congrua motivazione, ha ritenuto la
configurabilità del grave quadro indiziario sulla base delle dichiarazioni etero ed
auto accusatorie dei coimputati, Mongi Ltaief e Lamjed Ben Kraiem, i quali hanno
riferito, con dichiarazioni pienamente univoche sul punto, di aver acquistato e
ricevuto dal ricorrente, in più occasioni, consistenti quantitativi di eroina;

chiamato in correità, oltre che corroborate peraltro dal risultato delle
intercettazioni e dal ritrovamento e sequestro di 89 grammi di eroina che il
ricorrente, secondo la plausibile ricostruzione accusatoria, aveva ceduto ai
coindagati.
A fronte di ciò, il ricorrente, attraverso una propria lettura dei risultati di
talune intercettazioni, sviluppa argomentazioni di mero fatto, il cui ingresso è
precluso nel giudizio di legittimità, non potendo la Corte di cassazione rivalutare
le prove, sovrapponendo la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella, peraltro ineccepibile, compiuta nel giudizio di merito.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese
processuali e la trasmissione del presente provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario perché provveda ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod.
proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 16/01/2014

ter, disp.

dichiarazioni che il Collegio cautelare ha ritenuto precise e convergenti verso il

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