Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9637 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9637 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto
da
Cecconi Massimo, nato il 31 luglio 1955
avverso l’ordinanza del Tribunale di Pistoia del 10 luglio 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 27/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 10 luglio 2013, il Tribunale di Pistoia ha rigettato la
richiesta di riesame presentata avverso il decreto di acquisizione emanato dal pubblico
ministero il 6 giugno 2013, avente ad oggetto i documenti contabili della società di cui
l’interessato odierno ricorrente è legale rappresentante.
2. – Avverso l’ordinanza l’interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso
per cassazione, esponendo che la Guardia di Finanza aveva acquisito documenti della

pertinenze e altri luoghi, quali un suo deposito e lo studio del suo commercialista. Ad
avviso della difesa, tali attività costituirebbero per sé perquisizione e sequestro, a
nulla rilevando il fatto che l’interessato non fosse ancora indagato. Né il fatto che l’art.
248 cod. proc. pen. preveda una richiesta di consegna che può consentire la
prosecuzione delle indagini esime dall’applicazione della normativa sul sequestro. Tale
normativa sarebbe stata violata, in particolare, per la mancanza di un decreto del
pubblico ministero, per la mancata nomina di un difensore d’ufficio, per il mancato
invito farsi assistere da un difensore e il mancato avviso comunque al difensore, per
l’omessa notifica del decreto e del relativo verbale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Come evidenziato dal Tribunale, la richiesta di riesame aveva per oggetto il
decreto con il quale il pubblico ministero aveva disposto l’acquisizione di documenti
contabili della società della quale il ricorrente è legale rappresentante. Tale
acquisizione era avvenuta senza alcuna attività di perquisizione e non si era al
momento concretizzata in un sequestro. Al momento dell’acquisizione, del resto,
l’interessato non rivestiva la qualità di indagato, perché si procedeva nell’ambito di
indagini su reati fiscali relativi a fatture commerciali emesse dalla società di altro
soggetto. La Guardia di Finanza era andata presso l’abitazione dell’interessato odierno
ricorrente ed aveva ricevuto la documentazione fiscale spontaneamente da
quest’ultimo (verbale del 17 giugno 2013); tale documentazione era stata
successivamente integrata, sempre spontaneamente, presso gli uffici della Guardia di
Finanza, con ulteriori fatture commerciali, che, erano anch’esse acquisite in originale e
inserite fra gli atti dell’indagine con l’espresso consenso dell’interessato (verbale del
18 giugno 2013). Il sequestro probatorio è stato invece adottato con successivo
decreto del pubblico ministero del 4 luglio 2013, successivamente all’iscrizione

sua società su delega del pubblico ministero, sia presso la sua abitazione, sia presso le

dell’odierno ricorrente nel registro degli indagati; ma tale decreto non è impugnato in
questa sede.
Deve, dunque, concludersi che l’atto impugnato è un semplice atto di indagine
delegato dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria, cui solo successivamente è
seguito un diverso e ulteriore provvedimento di sequestro. Tale atto è stato eseguito
ai sensi dell’art. 248 cod. proc. pen., senza lo svolgimento di alcuna perquisizione, ma
attraverso la spontanea consegna delle cose ricercate da parte dell’interessato.

sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della

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