Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9636 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9636 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

Data Udienza: 27/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto
da
Bardelli Antonio Maria, nato il 2 marzo 1955
avverso l’ordinanza del Tribunale di Udine del 12 giugno 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 12 giugno 2013, il Tribunale di Udine, in sede di
riesame, ha confermato l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale del 16 maggio 2013,
con la quale è stato disposto il sequestro preventivo per equivalente – eseguito,
quanto all’indagato odierno ricorrente su un suo immobile – per l’omissione di
dichiarazioni fiscali per gli anni 2009 2010 in relazione ad una società esterovestita
ma sostanzialmente italiana e, dunque, tenuta a presentare la dichiarazione dei redditi

Il Tribunale ha, in particolare, evidenziato, sotto il profilo del fumus commissi
delicti, che la società aveva sede presso una società di servizi, in un luogo in cui vi era
la sede di altre decine di società e i suoi amministratori erano dipendenti di detta
società di servizi e contemporaneamente amministratore di decine di altre società,
così come i consigli amministrazione, le assemblee e la contabilità si tenevano in
Lussemburgo sempre ad opera di tali soggetti dipendenti della società di servizi.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deducono la violazione degli artt.
2380 bis, 2497 sexies, 2359 cod. civ., degli artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge
in generale, dell’art. 73 del d.P.R. n. 917 del 1987 e la carenza di motivazione. Si
rileva, in particolare, che l’indagato aveva addotto di essere amministratore di una
società finanziaria, a sua volta socia di maggioranza della società lussemburghese
che, secondo la prospettazione accusatoria, sarebbe stata esterovestita. Aveva
addotto, altresì, che tale ultima società aveva sede legale in Lussemburgo, aveva
amministratori residenti in Lussemburgo e svolgeva le sue attività in Lussemburgo,
dove teneva le scritture contabili, i bilanci e l’altra documentazione ed aveva i suoi
rapporti bancari; né l’indagato poteva essere considerato quale amministratore di
fatto di tale ultima società per il solo fatto di essere legale rappresentante della
società socia di maggioranza della società lussemburghese; né erano emerse prove in
tal senso all’esito del sequestro della documentazione contenuta nel computer del
commercialista. Si lamenta, inoltre, che il Tribunale avrebbe affermato il principio
secondo cui, quando un socio ha la maggioranza assoluta, la sua distinzione
dall’amministratore della società viene a essere sfumata.
La difesa passa poi a contestare la valenza probatoria dei documenti esaminati
dal Tribunale, con particolare riferimento: 1) ad una bozza di lettera in cui la società
lussemburghese chiedeva la convocazione dell’assemblea di una società controllata,

in Italia.

indicando che tale convocazione avrebbe dovuto essere riportata su carta intestata
della società lussemburghese; 2) ad una bozza di convenzione nella quale la società
lussemburghese e la società dell’indagato compaiono insieme quale parte venditrice e
precisano di voler trattare insieme in quanto esse, pur essendo soggetti giuridici
diversi, fanno riferimento allo stesso soggetto economico, tanto da costituire un’unica
parte contrattuale.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si contestano la mancanza della

la violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000. Si evidenzia, in particolare, che circa
la prova dell’utile conseguito dalla società lussemburghese asseritamente
esterovestita e dell’imposta eventualmente dovuta in Italia, si sarebbe proceduto in
modo impreciso e grossolano, avendo preso per buoni dati contabili che la stessa
Guardia di Finanza aveva più volte ritenuto incompleti non affidabili. Non si sarebbe
tenuto conto, in particolare, della perdita subita dalla società lussemburghese
nell’anno 2008, che risultava dal portale della Camera di Commercio, pur non essendo
stati depositati dall’indagato i bilanci completi della società lussemburghese. Si
evidenzia, infine, che il gruppo di società dell’indagato, alla fine del 2007 aveva scisso
una vecchia società dando vita alla società lussemburghese di cui oggi si tratta e ad
un’altra società avente sede in Italia, proprio allo scopo di prevenire i possibili
contenziosi fiscali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché proposto al di fuori dei limiti fissati
dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Esso è infatti basato su censure che – al di là
della loro intestazione formale – non sono sostanzialmente riferite a violazioni di
legge, ma a pretesi vizi della motivazione circa la ritenuta estero vestizione della
società lussemburghese facente capo all’indagato e circa la determinazione del reddito
imponibile di detta società.
3.1. – Quanto al primo motivo di doglianza deve rilevarsi che – come di fatto
riconosciuto dallo stesso ricorrente, che fa richiamo alle disposizioni di legge
asseritamente violate nella sola intestazione di detto motivo – la motivazione del
Tribunale si basa sulla valutazione degli elementi fattuali dai quali desumere
l’esterovestizione della società e non sull’interpretazione e l’applicazione delle
disposizioni richiamate nel ricorso. Con motivazione ampia e coerente, i giudici del
riesame evidenziano sul punto che: a) la società ha una sede in Lussemburgo che si
trova presso una società di servizi che ospita decine di altre società, fornendo un mero

motivazione e la violazione degli artt. 73, 84, 89, del d.P.R. n. 917 del 1986, nonché

recapito; b) gli amministratori della società sono residenti in Lussemburgo, ma sono
dipendenti di detta società di servizi e sono contemporaneamente amministratori di
decine di società, operando evidentemente quali meri prestanome; c) la gestione della
società, il consiglio d’amministrazione, le assemblee e la contabilità si tengono presso
tale sede fittizia, tanto da indurre a pensare che si tratti di attività non reali ma
meramente formali; d) la società è priva di una seppur minima struttura
organizzativa; e) l’indagato controlla la società lussemburghese essendo
l’amministratore della società che detiene 2.999.999 azioni su 3.000.000, a fronte
della presenza nella compagine sociale di un dipendente della sopra menzionata
società di servizi, il quale è titolare di una sola azione su un totale di 3.000.000 di
azioni; f) tali considerazioni rendono irrilevanti le doglianze in punto di diritto proposte
dalla difesa, perché tale doglianze attengono a profili meramente formali e non alla
sostanza della situazione; g) quanto all’assenza di documentazione che provi
l’esterovestizione, la stessa è irrilevante, in presenza dei dati univoci e concordanti
sopra richiamati; h) vi sono comunque almeno due documenti in base ai quali la già
ampiamente dimostrata esterovestizione trova, allo stato degli atti, ulteriore
conferma, ovvero la lettera che porta la dicitura “da riportare su carta intestata” della
società lussemburghese e il contratto nel quale si fa riferimento al fatto che la società
lussemburghese e la società dell’imputato, pur essendo soggetti giuridici diversi
costituiscono un’unica parte contrattuale ai fini economici.
3.2. – Analoghe considerazioni valgono – come già anticipato – con riferimento
al secondo motivo di doglianza, con cui si contesta, in sostanza, la quantificazione del
vantaggio fiscale che sarebbe stato conseguito tramite l’operazione di
esterovestizione.
Anche sotto tale profilo, del resto, la motivazione dell’ordinanza impugnata
risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, perché evidenzia che la perdita
d’esercizio del 2008 addotta dalla difesa allo scopo di diminuire l’entità dell’evasione
fiscale per l’anno 2009 non emerge dalla documentazione contabile, peraltro mai
prodotta dalla stessa difesa. Si tratta, del resto, di accertamenti che potranno essere
più approfonditamente condotti nella fase di merito, essendo ampiamente sufficienti,
nella fase cautelare, il rilievo della esterovestizione della società e i dati ricavati dai
bilanci estratti dalle banche-dati della Camera di Commercio, sui quali si è basato
l’accertamento della Guardia di Finanza.
4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
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..

fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2013.

spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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