Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9625 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9625 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BORDIN LORENZO GIOVANNI N. IL 30/04/1966
avverso la sentenza n. 1651/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
24/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.c)(2),C.
che ha concluso per

xoz”, ra-SGLZ–4″ o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 30/01/2014

4990/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 settembre 2012 la Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello
proposto da Bordin Lorenzo Giovanni avverso sentenza del 23 dicembre 2011 con cui il
Tribunale di Genova lo aveva condannato alla pena di un mese di reclusione e C 200 di multa
per il reato di cui agli articoli 81 cpv. c.p. e 2 1.638/1983 per avere omesso, in qualità di socio
accomandatario di una società, di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle

2.

Ha presentato ricorso l’imputato adducendo sei motivi. Il primo motivo denuncia

violazione di legge, non essendosi il giudice d’appello pronunciato sull’eccezione, proposta in
udienza del 24 settembre 2012 dal difensore dell’imputato, di omessa notifica dell’appello
incidentale del PM al difensore stesso. Il secondo motivo denuncia vizio motivazionale
sull’elemento soggettivo, confuso dal giudice d’appello con la causa di non punibilità ex articolo
2, comma 1, 1.638/1983. Il terzo motivo denuncia pure vizio motivazionale in ordine alla forza
maggiore addotta come scriminante, che la corte territoriale ha illogicamente disatteso. Il
quarto motivo denuncia ancora vizio motivazionale, per negazione della conversione in pena
pecuniaria sulla base di motivazione illogica. Il quinto motivo lamenta l’omessa dichiarazione
della prescrizione, che sarebbe maturata il 16 settembre 2012. Il sesto motivo chiede
dichiarazione dell’estinzione del reato per prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Deve anzitutto rilevarsi che, nel caso in esame, il reato contestato risulta essersi
prescritto successivamente alla sentenza d’appello, cioè dal 16 dicembre 2012 al 16 febbraio
2013 (tenuto conto, naturalmente, dei tre mesi di sospensione legale della prescrizione di tre
mesi di cui all’articolo 2, comma 1 quater, I. 638/1983). Per procedere all’applicazione

retribuzioni dei lavoratori dipendenti nel periodo febbraio-luglio 2005.

dell’articolo 129, comma 1,c.p.p., peraltro, occorre tener conto della consolidata
giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui può condurre alla dichiarazione di prescrizione
(anche d’ufficio) solo il ricorso idoneo a instaurare un nuovo grado di giudizio, vale a dire non
affetto da inammissibilità originaria (ex multis S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21,
Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass.
sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca).
Nel caso di specie, non si prospettano profili di inammissibilità per quanto concerne le
questioni di rito stricto sensu attinenti alla proposizione del ricorso. In termini poi di
valutazione della sussistenza o meno di manifesta infondatezza come vizio diretto dei motivi

5

che inibisce l’instaurazione effettiva di un grado di giudizio ulteriore, dato atto della sufficienza

anche di un solo motivo che non sia manifestamente infondato perché invece tale
instaurazione si realizzi, è ictu ocu/i constatabile l’assenza di manifesta infondatezza del quarto
motivo. Come si è visto, questo consiste in un vizio motivazionale relativo alla negata
concessione della conversione della pena in pena pecuniaria, che secondo il ricorrente è
manifestamente illogica, perché afferma che l’efficacia afflittiva della sanzione penale viene a
perdersi in caso di sostituzione della pena detentiva. Effettivamente, la corte territoriale ha
motivato sul punto dichiarando di non ritenere “di sostituire la pena detentiva con quella

pena deve possedere”. Il rilievo è palesemente illogico, perché, nel momento in cui il
legislatore consente per la fattispecie criminosa detta conversione sanzionatoria, è in re ipsa
che il legislatore abbia valutato la pena pecuniaria equivalente in termini di efficacia afflittiva
con la pena detentiva: valutazione che rientra nella discrezionalità costituzionalmente
riconosciuta al legislatore ordinario e che, d’altronde, non può essere in alcun modo inficiata
dal giudice. Anche a prescindere, dunque, all’ulteriore motivo che la corte territoriale ha
addotto per negare la conversione (l’asserto che l’avvenuta dichiarazione di fallimento “lascia
presumere la incapienza” dell’imputato: il quale, nella sua doglianza, adduce ulteriore illogicità
derivante dal fatto che il fallimento sarebbe stato dichiarato sei anni prima), il motivo non
risulta manifestamente infondato, e ciò conduce, essendosi instaurato validamente il presente
grado giurisdizionale e assorbito ogni altro motivo, non emergendo dagli atti elementi che
possono giustificare l’applicazione dell’articolo 129, comma 2, c.p.p., alla dichiarazione della
estinzione del reato per maturata prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essersi il reato estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma il 30 gennaio 2014

Il Presidente

pecuniaria, in quanto la sanzione penale perderebbe quella minima efficacia afflittiva che la

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