Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9614 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9614 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto
da
Ballauri Giuseppe, nato il 28 settembre 1950
avverso la sentenza del Tribunale di Mondovì dell’Il dicembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 27/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza dell’Il dicembre 2012, il Tribunale di Mondovì ha condannato
l’imputato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui all’art.

29-quattuordecies,

comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 (così modificata l’originaria imputazione ex art.
16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2005) per non avere, nella sua qualità di presidente
del consiglio di amministrazione dell’Azienda consortile ecologica territoriale
osservato, in un impianto di trattamento di rifiuti, le prescrizioni indicate nella

2008, con la quale era stata rilasciata a tale azienda consortile l’autorizzazione
s
integrata ambientale. l_4!/ contestatili violazioni delle prescrizioni (più analiticamente
descritte nell’imputazione) consistono, in particolare: nel mancato rispetto delle
temperature minime per la combustione del biogas; nella mancata protezione dei
settori della discarica non interessati dalla coltivazione; nell’incompletezza delle analisi
effettuate sui campioni; nel mancato rispetto delle scadenze relative ai monitoraggi
delle matrici ambientali.
2.

– Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore,

impugnazione qualificata come appello (trasmessa a questa Corte dalla Corte
d’appello di Torino con ordinanza del 22 maggio 2013), chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce l’inosservanza dell’art. 4 del
d.lgs. n. 128 del 2010. Si sostiene, in particolare, che non vi è continuità fra il reato di
cui all’art. 29-quatuordecies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, per il quale vi è
stata condanna e il reato di cui all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del 2005
originariamente contestato. Secondo la difesa le nuove norme sanzionatorie non
possono trovare applicazione ai fatti per i quali si procede, perché tali fatti attengono
ad un’asserita inosservanza di prescrizioni concernenti l’autorizzazione rilasciata in
forza della vecchia disciplina, ormai abrogata; e ciò in mancanza di una norma
transitoria.
2.2. – Si denuncia, in secondo luogo, l’inosservanza degli artt. 520, comma 2,
519, comma 2, 429, comma 4, 172, comma 5, cod. proc. pen. e si impugnano
congiuntamente la sentenza e l’ordinanza emesse all’udienza del 20 novembre 2012.
Con tale ordinanza, a seguito della modifica dell’imputazione da parte del pubblico
ministero, il giudice aveva fissato una nuova udienza per il giorno 11 dicembre 2012,
disponendo la notifica di copia del verbale con l’imputazione modificata all’imputato
contumace. Detto verbale era stato notificato all’imputato presso il difensore
domiciliatario il 27 novembre 2012 e, dunque, non erano stati rispettati i termini di cui
2

determinazione provinciale del responsabile del Settore tutela ambiente del 31 marzo

all’art. 429, comma 4, cod. proc. pen., essendo intercorsi tra il 27 novembre 2012 e
1’11 dicembre 2012 sono 13 giorni liberi e tra il 20 novembre 2012 e 1’11 dicembre
2012 solo 20 giorni liberi.
2.3. – Si deducono, in terzo luogo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione e l’erronea applicazione degli artt.

29-decies e 29-

quattuordecies del d.lgs. n. 128 del 2010, nonché dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
36 del 2003, dell’art. 11 della legge della Regione Piemonte n. 24 del 2002, degli

è intervenuta condanna punisce l’inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione
integrata ambientale ed attiene, perciò, alla fase operativa della gestione dell’attività
di recupero e smaltimento di rifiuti. Tale attività di gestione non è svolta dall’azienda
consortile dell’imputato, essendo stata integralmente trasferita ad altra società.
L’azienda consortile dell’imputato sarebbe dunque, solo il richiedente
dell’autorizzazione integrata ambientale e non il gestore dell’attività; attività che stata
svolta mediante espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, a seguito della
quale è stato stipulato un contratto di concessione in cui si prevede che il
concessionario è, a tutti gli effetti, l’unico responsabile della realizzazione e gestione,
del servizio affidatogli. Non si sarebbe tenuto conto, del resto, della separazione delle
funzioni di governo da quelle di gestione operativa prevista dall’art. 11, comma 15,
della legge regionale n. 24 del 2002. Non si sarebbe considerato, inoltre, che l’azienda
consortile aveva un ufficio tecnico che eseguiva periodiche visite di controllo nella
sede dell’impianto, assicurando un’adeguata vigilanza sull’attività del concessionario
gestore dell’impianto stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – L’impugnazione – che deve essere qualificata come ricorso per cassazione,
ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non

arttt. 107 e 113 del d.lgs. n. 267 del 2000. La difesa evidenzia che il reato per il quale

appellabile in quanto recante condanna alla sola pena dell’ammenda, ai sensi dell’art.
593, comma 3, cod. proc. pen. – è infondata.
3.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si sostiene che non vi è continuità
fra il reato di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, per il
quale vi è stata condanna e il reato di cui all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 59 del
2005, originariamente contestato – è manifestamente infondato.
Dalla semplice lettura delle due disposizioni emerge, infatti, che le stesse hanno
identica formulazione letterale, perché entrambe sanzionano «colui che pur essendo in
possesso dell’autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o

(1s._

quelle imposte dall’autorità competente». Né la nuova disciplina prevede alcuna
esclusione dall’ambito della propria applicazione per le autorizzazioni integrate
rilasciate nella vigenza della vecchia disciplina. La rilevata continuità fra le due
fattispecie di reato, trova ulteriore conferma nel dato sistematico, rappresentato dalla
sostanziale identità del complesso della nuova regolamentazione dell’autorizzazione
integrata ambientale rispetto al previgente.
A ciò deve aggiungersi la più generale considerazione che, diversamente

oggetto della presente fattispecie – prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 128 del
2010 resterebbe del tutto priva di sanzione, così configurandosi un inadempimento
dell’obbligo degli Stati membri di adottare sanzioni, quali «misure necessarie affinché
le condizioni di autorizzazione siano rispettate» (attualmente previsto dall’art. 8 della
direttiva 24 novembre 2010, n. 2010/75/UE, che ha sostituito analoghe previsioni
delle previgenti direttive).
3.2. – Il secondo motivo di ricorso – con cui si denuncia l’inosservanza degli
artt. 520, comma 2, 519, comma 2, 429, comma 4, 172, comma 5, cod. proc. pen.
sul rilievo il verbale contenente la modificazione dell’imputazione è stato notificato
all’imputato contumace con l’indicazione di una nuova udienza senza il rispetto dei
termini di cui all’art. 429, comma 4, cod. proc. pen. – è infondato.
Non vi è dubbio che nel caso di specie il termine dilatorio di 20 giorni previsto
dall’art. 429, comma 4 – richiamato, quanto alla modificazione dell’imputazione, dagli
articoli 519, comma 2, e 520, comma 2 – non sia stato rispettato.
Nondimeno, deve rilevarsi che l’inosservanza di tale disposizione, sanzionata dal
successivo art. 522, comma 1, genera una nullità a regime intermedio, non
trattandosi di un caso riconducibile all’omessa conoscenza della modificazione
dell’imputazione da parte dell’imputato. Tale nullità avrebbe dovuto essere eccepita, a
pena di decadenza, dal difensore dell’imputato, ai sensi dell’art. 182, comma 2, nel
primo momento utile e, cioè, all’udienza dell’Il dicembre 2012, fissata per la
prosecuzione. Ciò non è avvenuto nel caso di specie, con la conseguenza che la
relativa doglianza proposta in sede di legittimità risulta ormai preclusa.
3.3. – Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si sostiene, in
sostanza, che l’imputato non sarebbe punibile perché egli è il legale rappresentante
dell’azienda consortile che non era il gestore dell’impianto, avendo affidato la gestione
in concessione ad una diversa società.

opinando, la violazione di autorizzazioni integrate ambientali rilasciate – come quella

Come correttamente osservato dal Tribunale, la presenza in atti di un contratto
di concessione, che affidava al concessionario gli oneri relativi alla realizzazione e alla
gestione dell’impianto e le relative responsabilità e riservava all’azienda consortile di
cui l’imputato è legale rappresentante il controllo sulla fase di costruzione e gestione,
non vale ad escludere la responsabilità dell’imputato stesso. Non deve dimenticarsi,
infatti, che il soggetto titolare dell’autorizzazione ambientale era proprio l’azienda
consortile, che era dunque tenuta a verificare l’osservanza di tutte le prescrizioni

Né può sostenersi – come ha tentato di fare la difesa sia nel giudizio di merito
sia in questa sede – che il presidente del consiglio di amministrazione di un ente
consortile sia una figura essenzialmente politica, equiparabile al sindaco di un
Comune, e dunque priva di poteri di gestione. Una tale equiparazione non emerge,
infatti, dalla normativa vigente richiamata dall’imputato.
In particolare, gli artt. 29-decies e 29-quattuordecies del d.lgs. n. 128 del 2010
[rectius: artt. 29-decies e 29-quattuordecies del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotti dal
d.lgs. n. 128 del 2010] si riferiscono, il primo, al gestore dell’impianto, da intendersi,
con tutta evidenza, come il titolare dell’autorizzazione, e il secondo espressamente al
soggetto titolare dell’autorizzazione. L’art. 2, comma 1, lettera o), del d.lgs. n. 36 del
2003 – che definisce come “gestore della discarica” «il soggetto responsabile di una
qualsiasi delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e
gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa» deve anch’esso intendersi nel senso di ricomprendere in tale categoria il titolare
dell’autorizzazione, anche ove questo abbia concretamente affidato ad altri una o più
fasi della gestione. L’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, anch’esso richiamato dal
ricorrente, si riferisce in generale alle funzioni e alle responsabilità dei dirigenti degli
enti locali e non ha, dunque, alcun rilievo con riferimento all’ambito della

imposte nell’autorizzazione medesima.

responsabilità per la violazione di un’autorizzazione ambientale da parte degli organi
di un consorzio, oggetto del presente procedimento. L’art. 11 della legge della Regione
Piemonte n. 24 del 2002 – il quale prevede, al comma 15, che, «In conformità con il
principio della separazione delle funzioni di governo da quelle di gestione operativa,
l’attività di gestione operativa dei servizi da effettuare nel bacino è svolta nelle forme
previste dal d.lgs. n. 267 del 2000 e successive modificazioni» – si riferisce, appunto,
alle previsioni del testo unico sugli enti locali quanto alla gestione dei servizi pubblici
e, in particolare all’art. 113 di tale d.lgs., il quale nulla prevede circa eventuali
esclusioni di responsabilità del legale rappresentante dell’azienda consortile titolare

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dell’autorizzazione integrata ambientale, soggetto meramente tecnico, distinto
dall’ente locale e, dunque, del tutto privo di rappresentatività politica.
Più in generale può osservarsi che nessuna delle disposizioni richiamate dal
ricorrente è volta ad escludere la responsabilità dell’ente sostituendo ad esso un altro
e diverso ente, ma solo ad escludere che nell’ambito di un ente possano essere
chiamati a rispondere per le attività di gestione gli organi politici, laddove questi diversamente dal caso di specie – siano presenti.

adozione di tutte le misure necessarie volte a garantire l’effettività dei controlli sulla
regolarità della gestione dell’impianto da parte della società concessionaria. Come
rilevato dal Tribunale sul punto, il teste escusso non ha infatti precisato nulla di
decisivo, limitandosi a riferire dell’espletamento dei controlli periodici, senza alcuno
specifico riferimento alla verifica dell’adempimento delle prescrizioni imposte
dall’autorizzazione integrata.
4. – Il ricorso deve perciò essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

Del tutto generiche risultano, infine, le doglianze difensive relative all’asserita

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