Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9613 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9613 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto
da
De Iaco Raffaele, nato il 5 maggio 1958
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce del 18 gennaio 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 27/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 18 gennaio 2013, la Corte d’appello di Lecce ha
confermato la sentenza del Tribunale di Lecce – sezione distaccata di Casarano dell’8
aprile 2010, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui all’art. 10ter del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere omesso, quale legale rappresentante di una
società, di versare entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al
credito d’imposta successivo (27 dicembre 2006) l’imposta sul valore aggiunto dovuta

58.023,00.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo: 1) l’erronea applicazione dell’art.

10-ter del d.lgs. n. 74 del

2000, in relazione all’art. 25 Cost. e all’art. 2 cod. pen., sul rilievo che il
comportamento costituente reato sarebbe stato commesso nell’anno 2005 e, cioè,
prima dell’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004, che aveva introdotto la
sanzione penale in parola; 2) la manifesta illogicità della motivazione e la violazione
dell’art. 133 cod. pen., per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, anche perché non si sarebbe considerato che l’imputato non aveva
effettuato il versamento solo per mancanza di liquidità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Quanto al tempus commissi delicti, deve rilevarsi che le sezioni unite di
questa Corte hanno, in data 28 marzo 2013, risolto il dubbio sollevato dalla terza
sezione di questa stessa Corte relativamente alla questione se l’art. 10 ter del d.lgs.
10 marzo 2000, n. 74, introdotto dall’art. 35, comma 7, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ed entrato in vigore il
4 luglio 2006, si applichi anche agli omessi versamenti dell’Iva per l’anno 2005, da
effettuarsi nel corso del 2005, e non versati alla scadenza del 27 dicembre 2006,
prevista dal citato art. 10 ter, oppure se in tale ipotesi l’illecito debba ritenersi
comunque consumato alle singole scadenze del 2005 e sia quindi punibile con le sole
sanzioni amministrative previste dall’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Le
sezioni unite hanno ritenuto di adottare la prima delle due soluzioni, escludendo che
l’illecito potesse ritenersi consumato alle singole scadenze del 2005 e fosse, dunque,
punibile con le sole sanzioni amministrative previste dalla normativa previgente. La
mancata effettuazione del pagamento al 27 dicembre 2006 denota, infatti, un
disvalore ulteriore rispetto al semplice omesso pagamento alle singole scadenze del

in base della dichiarazione relativa all’anno 2005 per un ammontare di euro

2005, che induce a ritenere che non vi sia continuità fra la disciplina amministrativa
sanzionatoria e la disciplina penale. In altri termini, la condotta omissiva propria, che
ha ad oggetto il versamento dell’imposta afferente all’intero anno, si protrae fino alla
scadenza del richiamato termine, che coincide con la data di commissione del reato, a
nulla rilevando il già verificatosi inadempimento agli effetti fiscali.
Ne deriva, quanto al caso in esame, l’infondatezza della prima censura del
ricorrente, perché il reato si è consumato il 27 dicembre 2006, ovvero in un momento

3.2. – Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perché sostanzialmente
diretto ad ottenere da questa Corte una mera rivalutazione del trattamento
sanzionatorio, per di più attraverso generiche deduzioni che non prendono in
considerazione, neanche al fine di confutarli, i passaggi argomentativi della sentenza
impugnata.
Quest’ultima risulta, del resto, coerentemente e correttamente argomentata,
perché muove dal duplice presupposto dell’entità del danno cagionato all’erario e della
mancanza di resipiscenza, dimostrata dalla circostanza che l’imputato non ha mai
provveduto a versare neanche successivamente e neanche in parte le somme dovute
a titolo di Iva, essendo addivenuto alla decisione di non accantonare tali somme in
base ad una consapevole scelta imprenditoriale.
4. – Il ricorso deve perciò essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

successivo all’entrata in vigore della disposizione incriminatrice.

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