Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9610 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9610 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto
dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia
nei confronti di
De Oliveira Costa Eli, nato il 9 agosto 1966
avverso la sentenza del Tribunale di Verona del 11 ottobre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata.

Data Udienza: 27/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 10 ottobre 2012, il Tribunale di Verona ha dichiarato non
doversi procedere, per mancanza di condizione di procedibilità, nei confronti
dell’imputato, in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 2
del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638
del 1983, riferito all’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali
sulle retribuzioni dei lavoratori nel periodo luglio-settembre 2006. Il Tribunale ha

violazione, non avendo mai ricevuto la notifica del relativo avviso.
2. – Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia, deducendo l’erronea
applicazione dell’art. 2, comma 1-bis, del richiamato decreto-legge n. 463 del 1983.
Rileva il ricorrente che tale disposizione non configura una condizione di procedibilità o
di punibilità, ma una causa di non punibilità costituita dal pagamento entro 3 mesi
della somma dovuta; così che il giudice non avrebbe potuto esimersi da una pronuncia
nel merito, anche perché, «nel caso di sussistenza del dolo e quindi di condanna, il
contumace De Oliveira Costa sarebbe pur sempre in grado di conseguire la non
punibilità tramite la rimessione nel termine per impugnare ex art. 175 comma 2 cod.
proc. pen. e il pagamento entro tre mesi nella fase dell’appello».
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Secondo quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza 24
novembre 2011, n. 1855/2012), l’art. 2, comma 1-ter, del decreto-legge n. 463 del
1983 non subordina l’esercizio dell’azione penale alla contestazione della violazione
ovvero alla notifica del relativo accertamento da parte dell’ente previdenziale e al
decorso del termine di tre mesi concesso al datore dell’oro per adempiere. Al
contrario, l’articolo 2, comma

rilevato che l’imputato non aveva avuto notizia dell’avvenuto accertamento della

1-bis, prevede esclusivamente la non punibilità del

reato, pertanto già perfezionatosi, per effetto di una condotta successiva, in certa
misura ripristinatoria del danno subito dall’ente pubblico, che la norma intende
favorire, e, quindi, prevede una tipica causa di non punibilità, destinata ad operare
solo sul piano sostanziale. Il meccanismo creato dai richiamati commi non può,
dunque, essere ricondotto alla categoria della condizione di procedibilità, perché
questa non trova riscontro nel dato letterale, né trova giustificazione
nell’individuazione dell’interesse pubblico prevalente rispetto a quello della punizione

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del colpevole del reato che possa giustificare la deroga all’obbligatorietà dell’azione
penale.
Ne consegue che la non correttezza formale del riconoscimento della mancanza
di «una valida condizione di procedibilità» quale fondamento della sentenza di non
doversi procedere pronunciata dal Tribunale.
Nondimeno, nel caso di specie, lo stesso Tribunale ha rilevato che l’imputato
non è mai venuto a conoscenza dell’avviso espressamente previsto dalla legge, perché

l’instaurazione del procedimento penale, trattandosi di soggetto irreperibile. A fronte
di tale constatazione, il Procuratore generale sostiene che il Tribunale sarebbe dovuto
comunque addivenire ad una valutazione della sussistenza degli elementi oggettivi e
soggettivi del reato e, conseguentemente, ad una condanna nel merito. A sostegno di
tale affermazione pone l’assunto che l’imputato contumace, successivamente alla
condanna in primo grado, potrebbe conseguire la non punibilità tramite la rimessione
nel termine per impugnare ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen.
Si tratta di un assunto palesemente erroneo: l’art. 175, comma 2, richiamato
consente infatti la rimessione in termini per il contumace solo laddove questo non
abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o della sentenza contumaciale, ma
non nel caso in cui non abbia avuto conoscenza di altri e diversi atti, quale è l’avviso
di accertamento della violazione da parte dell’Inps. Nel caso in esame, come visto, il
contumace ha avuto conoscenza del procedimento, ma non dell’avviso di
accertamento della violazione, con la conseguenza che il richiamato art. 175, comma
2, non può trovare applicazione. Nessun rimedio vi sarebbe dunque per l’imputato che
non ha avuto conoscenza dell’accertamento della violazione da parte dell’Inps contro
una sentenza di condanna eventualmente pronunciata nei suoi confronti.
La richiesta di annullamento della sentenza formulata dal Procuratore generale,
essendo diretta a sollecitare una condanna dell’imputato pur in mancanza dell’avviso
di pagamento previsto dal richiamato art. 2, comma

1-bis, del decreto-legge n. 463

del 1983, risulta, dunque, inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

la notificazione dello stesso, pur tentata, non è stata possibile né prima né dopo

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