Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9606 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9606 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

Data Udienza: 14/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto
da
Rimessi Fabio, nato l’8 ottobre 1986
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 30 giugno 2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, Enrico
Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

i AQ

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 30 giugno 2011, la Corte d’appello di Bologna ha
parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Ferrara del 20 ottobre 2010, con la
quale l’imputato era stato condannato, ritenute la continuazione e la recidiva specifica,
per una serie di reati relativi a illecita detenzione e cessione di hashish in vari
quantitativi e a diversi destinatari (capi da 8 a 12 dell’imputazione). In particolare, al
capo 8) era contestata la condotta di detenzione e cessione di hashish, con cadenza

La Corte d’appello ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo 9) e ha
conseguentemente diminuito la pena complessiva, confermando nel resto la sentenza
impugnata.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1.- Con un primo motivo di doglianza, relativo al capo 8) dell’imputazione, si
contestano l’erronea applicazione dell’art. 63 cod. proc. pen. e la manifesta illogicità
della motivazione, sul rilievo che la condanna sarebbe basata sulle dichiarazioni
testimoniali rese da Garelli, assuntore dello stupefacente, presso la cui abitazione
l’imputato era stato arrestato. Secondo la prospettazione difensiva Garelli avrebbe
dovuto essere sentito come indagato, in quanto indiziato del delitto di cui all’art. 73
del d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto lo stupefacente sequestrato all’atto dell’arresto
(circa 94 g di hashish) era destinato interamente a lui.
2.2. – Si deduce, in secondo luogo, sempre con riferimento al capo 8)
dell’imputazione, l’inosservanza dell’art. 649 cod. proc. pen., sul rilievo che l’imputato
sarebbe già stato giudicato per tale fatto dal Tribunale di Ferrara, con sentenza n. 151
del 11 marzo 2010, appellata davanti alla Corte d’appello di Bologna. In tale
procedimento – secondo la difesa – vi erano stati un inseguimento e un arresto
dell’imputato, che erano avvenuti proprio sulla scorta delle intercettazioni telefoniche
tra costui e Garelli. Da tali telefonate – sempre secondo la difesa – non sarebbero
desumibili nuove e diverse cessione di sostanze stupefacenti, ma cessioni che avevano
interessato comunque i 94 g di hashish poi sequestrati all’imputato, con la
conseguenza che vi sarebbe una sostanziale identità tra i fatti già giudicati e quelli del
presente procedimento.
2.3. – Con un terzo motivo di ricorso, si prospettano la mancanza e la
manifesta illogicità della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, sul rilievo

settimanale e per un valore dai 5 ai 15 euro ogni volta, a tale Garelli.

che i precedenti penali non potrebbero essere valutati se non ai fini della ritenuta
recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su motivi formulati in modo non
specifico.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione – con il quale si sostiene che le
dichiarazioni di Garelli sarebbero inutilizzabili perché tale soggetto avrebbe dovuto
essere sentito fin dall’inizio come indagato e non come semplice persona informata sui
fatti – è inammissibile, per genericità.
I rilievi difensivi risultano infatti meramente ripetitivi di censure motivatamente
e rigettate in sede di appello e, già sotto il profilo della loro prospettazione, del tutto
inidonee a contrastare la puntuale e coerente motivazione della sentenza impugnata.
In essa si precisa, infatti, che al momento in cui Garelli era stato sentito come persona
informata sui fatti non emergevano a suo carico elementi per ritenere che i suoi
acquisti di hashish fossero finalizzati a future cessioni e non, invece, al mero consumo
personale. Del resto – prosegue la Corte d’appello – non vi è nessuna prova del fatto
che il quantitativo di hashish sequestrato all’imputato sotto l’abitazione di Garelli fosse
destinato a lui e, anzi, quest’ultimo risultava, in base al tenore delle telefonate
intercettate, come un mero acquirente-consumatore. A tali corrette considerazioni
svolte dalla Corte distrettuale può in questa sede aggiungersi che, con il ricorso per
cassazione, la difesa si limita a contrastare la valenza probatoria delle dichiarazioni del
teste Garelli, senza in alcun modo considerare che la prova del reato risulta – come
evidenziato dai giudici di primo e secondo grado – da altri univoci e decisivi elementi,
costituiti dalle conversazioni telefoniche intercettate.
3.2. – Anche quanto alla pretesa violazione del principio del

ne bis in idem,

oggetto del secondo motivo di ricorso, la prospettazione difensiva risulta del tutto
generica. Dal tenore del ricorso non emerge, infatti, con sufficiente chiarezza quali
sarebbero gli elementi di identità fra la condotta contestata al capo 8) nel presente
procedimento e le condotte per le quali era già intervenuta condanna in primo grado
in diverso procedimento. A fronte delle mere asserzioni difensive, del resto, la
sentenza impugnata reca una motivazione puntuale e logicamente coerente, perché
evidenzia che nel presente procedimento le condotte contestate all’imputato sono
relative a cessioni che emergono dalle intercettazioni telefoniche delle conversazioni
fra lui e Garelli; cessioni che non riguardano il quantitativo di g 94,51 di hashish
sequestrato all’imputato al momento dell’arresto in flagranza (e oggetto del diverso

procedimento), ma riguardano più piccoli quantitativi precedentemente ceduti a più
riprese.
3.3. – Del pari generico è il terzo motivo di impugnazione, relativo al
trattamento sanzionatorio. Dalla formulazione letterale della doglianza non si evince,
infatti, in cosa consisterebbe la doppia valutazione dei precedenti penali lamentata dal
ricorrente. Anche sotto tale profilo, comunque, la sentenza impugnata contiene una
motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, perché esclude la

dell’imputato e della prova della sua stabile dedizione al traffico illecito di hashish, che
trattava anche in cospicui quantitativi e che custodiva presso la sua abitazione.
Così argomentando, i giudici di secondo grado hanno fatto corretta applicazione
dei principi costantemente affermati sul punto dalla giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui, per il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a
quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (ex plurimis, sez. 3, 23 aprile 2013, n.
23055, rv. 256172; sez. 6, 16 giugno 2010, n. 34364, rv. 248244).
4. – Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2013.

concedibilità delle circostanze attenuanti generiche sulla base di precedenti penali

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