Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 960 del 25/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 960 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRENTANI GIANCARLO N. IL 05/09/1929
avverso la sentenza n. 8618/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del
07/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Scr uyb_ S (4022.
che ha concluso per ,e.‘1,,ict,,,,,,,e4i-zbue9se

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 25/11/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Roma, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente TRENTANI GIANCARLO e della coimputata Caruso Adriana, con sentenza
del 07.11.2011, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Roma
il 08.11.2007, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in
ordine ai reati ai capi a) e b) perché estinti per intervenuta prescrizione, ed eliminava la relativa pena; rideterminava la pena nei confronti del Trentani in ordine alla residua imputazione al capo c), ferme le concesse attenuanti generiche,

Il Giudice di primo grado aveva dichiarato Trentani Giancarlo colpevole del
reato previsto dall’art. 483 c.p., commesso in Roma il 10.12.2004, condannandolo alla pena di anni 1 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali,
pena sospesa.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore di fiducia, Trentani Giancarlo, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. violazione dell’art. 606 co. 1 lett. c) cod. proc. pen. per inosservanza ed
erronea applicazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, con riferimento al combinato disposto degli artt. 157 co. 1 e 3 , 601 co. 1 e 3, 178 lett. c)
e 179 co. 1 cod. proc. pen., in relazione alla notifica al ricorrente del decreto di
citazione per l’udienza innanzi alla corte di appello.
Deduce il ricorrente che la Corte distrettuale avrebbe omesso di verificare la
ritualità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello.
La notifica sarebbe stata effettuata a mani del portiere dello stabile dove il
ricorrente aveva eletto domicilio.
Sul retro della relata di notifica vi sarebbe l’attestazione della spedizione
dell’avviso di notificazione a mezzo raccomandata.
Non risulterebbe acquisito al fascicolo, però, l’avviso di ricevimento di detto
avviso. Mancherebbe, pertanto, la prova della effettiva ricezione da parte
dell’imputato, con conseguente nullità della procedura di notificazione.
b. violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per inosservanza ed erronea applicazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto
nell’applicazione della legge penale con riferimento all’art. 530 co. 2 cod. proc.
pen. e all’art. 483 cod. pen. e comunque manifesta illogicità della motivazione
con cui è stata negata l’assoluzione, quantomeno con formula dubitativa, per
non aver commesso il fatto o perché lo stesso non sussiste.

in mesi tre di reclusione, confermava nel resto la sentenza.

La sentenza impugnata affermerebbe la responsabilità dell’imputato unicamente sulla base della valutazione dell’attendibilità della deposizione resa dal teste Procacci, omettendo di motivare in ordine all’incidenza del contenuto della
stessa deposizione circa la sussistenza del reato di falso contestato.
Il ricorrente rileva che non sarebbe possibile rinvenire nella sentenza quel
minimo di motivazione sufficiente a delineare la condotta relativa alla sussistenza
del reato di falso.

guenza di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i proposti motivi sono manifestamente infondati e pertanto il
ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Assolutamente rituale è la notifica per il giudizio di appello effettuata
all’imputato.
Con decreto del 31.8.2011, infatti, la I udienza per il giudizio di gravame
veniva fissata per il 7.11.2011.
Le notifiche di tale fissazione venivano operate ad entrambe gli imputati
al loro domicilio di via Raffaele De Cesare, 30 in Roma.
La notifica veniva effettuata il 4.10.2011 a mani di Gabrieli Gabriella portiere dello stabile, il che comportava, come per legge, l’invio della raccomandata
che il 21.10.2011 (come risulta ex actis) veniva consegnata il 21.10.2011 e ricevuta nuovamente dal portiere, circostanza quest’ultima che certo non inficia la
regolarità della procedura di notifica.
Peraltro va rilevato che all’udienza del 7.11.2011 dinanzi alla Corte di appello era presente il medesimo odierno ricorrente, avv. Fusco, che nulla eccepiva
sul punto.

3. Assolutamente generico è il secondo motivo di ricorso.
Ancora di recente, questa Corte dì legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per rinsindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità
delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore
logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, cariolo e altri, rv.
260608).
Appare, peraltro, evidente che la testimonianza del Procacci, amministratore del condominio di via Oletta 33, già valorizzata dal GM del Tribunale di Ro-

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Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni conse-

ma (cfr. pag. 3 della sentenza di primo grado) sul punto dell’affermazione che i
lavori di costruzione della struttura abusiva di cui all’imputazione erano in corso
al dicembre 2004, finisce per influire anche sul reato di falso.
Quest’ultimo, infatti, si concretizza come tale in quanto nell’atto di notorietà allegato alla domanda di definizione degli illeciti edilizi presentata al Comune di Roma (U.S.C.E.) in data 10.12.2004 prot. 39539 (prat. 67255) si attestava
che le opere erano state ultimate entro il 12.11.2002.
Sul punto la Corte territoriale ribadisce di non avere dubbi circa l’attendi-

sato rispetto ai fatti. Secondo quanto espresso dai giudici del gravame con una
motivazione logica e congrua -e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- “le dichiarazione in questione sono assolutamente univoche nel collocare tali
lavori in epoca successiva al febbraio 2004, come anche fotograficamente documentato, ed in esse non è ravvisabile alcuna incertezza ma soltanto un mero
lapsus prontamente corretto, come ammesso negli stessi motivi di appello”.

4. In ultimo va evidenziato che, alla data in cui è stata pronunciata la
sentenza dì secondo grado (7.11.2011) non era ancora spirato il termine massimo di prescrizione per il reato sub c), destinato a spirare il 10.6.2012.
Né può porsi in questa sede la questione della declaratoria della
prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della
manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. un., 22 novembre 2000,
n. 32, De Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata
successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2
marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n.
19601, Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013,
rv. 256463).

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento
della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

4

bilità del teste Procacci, amministratore del condominio, informato e disinteres-

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso in Roma il 25 novembre 2014
Il Presidente

Il t sigliere e- -nsore

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