Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9586 del 01/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9586 Anno 2016
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IZZO FAUSTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPADARI ROSA N. IL 13/04/1952 parte offesa nel procedimento
PERRONE FORTUNATA N. IL 27/08/1977 parte offesa nel
procedimento
PERRONE ELISABETTA N. IL 02/04/1979 parte offesa nel
procedimento
c/
BERNARDI GIOVANNA N. IL 04/10/1974
MECENERO ANDREA N. IL 29/08/1975
avverso l’ordinanza n. 224671/2014 GIP TRIBUNALE di MILANO,
del 22/04/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FAUSTO IZZO;
lette/se2kite le conclusioni del PG Dott. C,r,
..p.e

r4

-0 A..o i

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 01/12/2015

1. Con provvedimento del 22\4\2015 il G.i.p. del Tribunale di Milano, disponeva “de plano”
l’archiviazione del procedimento per il delitto di cui all’art. 589 c.p., per omicidio colposo in
danno di Perrone Giovanni (acc. in data 27.8.2012 in San Donato Milanese).
I fatti vanno ricostruiti nel modo che segue, secondo quanto riportate nel provvedimento impugnato.
In data 5.8.2014, Rosa Spadari, Fortunata Perrone, Carmela Perrone ed Elisabetta Perrone,
avevano presentato denuncia in relazione al decesso del proprio congiunto Giovanni Perrone,
avvenuto il 27.8.2012, nei confronti dell’IRCCS Policlinico San Donato in persona del suo rappresentante legale pro tempore (dott. Andrea Mecenero) e della dott.ssa Giovanna Bernardi.
Avevano riferito i denuncianti che in data 27.8.2012 Giovanni Perrone, rispettivamente marito
di Rosa Spadari e padre di Fortunata Carmela ed Elisabetta Perrone, era stato accompagnato
dall’ambulanza presso il Pronto Soccorso del Policlinico San Donato ed era stato accettato con
il codice verde ossia “urgenza minore ” alle ore 13:17. Dopo indagini di routine, era stato lasciato lungo il corridoio del Pronto Soccorso, assistito solo dalla moglie la quale invano aveva
riferito le particolari patologie mediche del marito e che era da giorni che lo stesso non si nutriva e idratava.
La dott.ssa Giovanna Bernardi, aveva annotato negli atti da lei redatti, come il paziente si trovasse in “cattive condizioni generali, debilitato, soporoso ma contattabile. Polsi periferici pieni
isonormosfìgmici. Cute e mucose disidratate”. Alle ore 17:45 era stata poi accertato il decesso
del paziente.
Dalla lettura della cartella clinica, i denuncianti si $ii erano accorti che il certificato del Pronto
Soccorso riportava il codice giallo ossia “urgenza”, discordante rispetto al codice verde “urgenza minore ” con il quale il Perrone era stato accettato.
In data 16.9.2014, il P.M. richiedeva l’archiviazione rilevando in primo luogo la tardività della
denuncia; inoltre come la documentazione clinica allegata all’atto di denuncia-querela riportasse unicamente le terapie poste in essere nei confronti di Giovanni Perrone nel periodo del suo
ricovero presso il Pronto Soccorso, dalle ore 13:17 alle 17:45 del 27.8.2012, e che la esiguità
delle cure apprestategli non consentivano di accertare, attraverso una consulenza tecnica, la
causa della morte e se la stessa potesse ricondursi a negligenze, imprudenze o imperizie dei
sanitari che gli avevano prestato soccorso. Inoltre ben difficilmente, a due anni di distanza dal
fatto, difficilmente era possibile fare proficui accertamenti sul cadavere.
Avverso la richiesta proponevano opposizione le persone offese in data 29\9\2014, chiedendo
la prosecuzione delle indagini.
2. Con provvedimento del 22\4\2015 emesso “de plano” il G.i.p. del Tribunale di Milano dichiarava inammissibile l’opposizione, disponendo l’archiviazione del procedimento.
Osservava il giudice di merito che gli opponenti non avevano indicato l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova. Essi erano carenti in quanto, pur senza spingersi
ad un giudizio prognostico, gli accertamenti prospettati risultavano ictu ()cui/ irrilevanti e non
pertinenti.
In particolare le indagini suppletive proposte, ossia l’audizione della moglie della vittima e degli
operanti del Pronto Soccorso presenti il giorno del decesso non potevano aggiungere alcun
elemento utile alle indagini, trattandosi di temi già scandagliati nel corso delle indagini preliminari.
Il lungo lasso di tempo intercorso tra la morte e la proposizione della denuncia-querela (quasi
due anni), precludeva utili escussioni testimoniali.
Parimenti l’elevato lasso di tempo decorso dalla morte del Perrone precludeva l’utile esperimento di una consulenza tecnica intesa a verificare la eventuale sussistenza del nesso eziologico tra la condotta degli operatori sanitari e l’evento morte. L’eventuale riesumazione del cadavere e l’esperimento di esame autoptico, in ragione dell’avanzato stato di decomposizione, non
avrebbe consentito di acclarare la eziologia del decesso del Perrone.
Peraltro neanche i denuncianti rimarcavano omissioni terapeutiche dei sanitari che sarebbero
state doverose e che, ove fossero state adottate, avrebbero con elevato grado di credibilità razionale avuto una efficacia salvifica.
In una tale situazione, ulteriori accertamenti investigativi avrebbero avuto un’inammissibile valenza meramente esplorativa, in quanto non sorretti da alcuna adeguata notitia criminis.

RITENUTO IN FATTO

3. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore delle persone offese, lamentando la erronea applicazione della legge per non avere il G.i.p. attivato il dovuto
contraddittorio a fronte di una opposizione ritualmente proposta e non inammissibile, effettuando una illegittima valutazione di merito prognostica delle indagini da svolgere.
CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Va premesso che questa Corte di legittimità ha stabilito il principio che il provvedimento assunto “de plano”, per decidere sulla richiesta di archiviazione, dal giudice per le indagini preliminari nonostante l’opposizione della persona offesa, è illegittimo qualora, invece di delibare
sull’ammissibilità dell’opposizione, il G.i.p. abbia valutato il merito della richiesta del pubblico
ministero in ordine alla fondatezza dell’accusa (Cass. Sez.
3, Sentenza n. 24536 del
20/03/2013 Cc. (dep. 05/06/2013), Rv. 255457; Cas. Cass., Sez. 2, 10.10.2008, n. 38534).
Invero, come già osservato in plurime pronunce, la declaratoria di inammissibilità sacrifica il
diritto della parte offesa al contraddittorio analogamente al mancato avviso per l’udienza camerale. Infatti, il contraddittorio orale rappresenta la regola fondamentale del procedimento di
archiviazione, per cui a fronte dell’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, il G.I.P. deve, di norma, provvedere a fissare l’udienza camerale per la decisione nel contraddittorio, tra l’indagato e la parte lesa, sulla richiesta del P.M.
L’esclusione della parte offesa dal contraddittorio orale è giustificata in soli due casi : quando
non sia stata presentata tempestiva opposizione; quando la parte offesa non abbia ottemperato all’onere, imposto a pena d’inammissibilità (art. 410 c.p.p.), di indicare i temi della “investigazione suppletiva” e “i relativi elementi di prova”.
3. Fatta questa premessa, va osservato che nel caso che ci occupa la proposta opposizione non
era inammissibile ed il G.i.p. si è impegnato in considerazioni di merito della vicenda, non consentite nella fase preliminare di valutazione della ammissibilità della opposizione alla richiesta
di archiviazione; in sostanza, la delibazione sull’ammissibilità dell’opposizione è stata preceduta dalla valutazione del merito della richiesta del P.M., condizionando il giudizio di irrilevanza
del supplemento di indagine richiesto dalla p.o.
In particolare nella opposizione alla richiesta del P.M. le persone offese hanno sottolineato la
necessità di accertamenti in ordine alle ragioni della modifica del codice di ricovero (da “verde”
in “giallo”) che poteva lasciare sottintendere un errore diagnostico iniziale di cui non vi alcun
cenno nel provvedimento del G.i.p. a dimostrazione del fatto che tale tema di indagine non è
stato approfondito dal P.M.
Consegue da quanto esposto che la richiesta di indagini suppletive non era né irrilevante, né
generica. Pertanto il ricorso è fondato laddove si deduce la violazione del contraddittorio, per
avere il giudice deciso “de plano” su una richiesta per la quale era doverosa, invece, la celebrazione dell’udienza in camera di consiglio.
Il provvedimento va pertanto annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di
Milano per l’ulteriore corso.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di
Milano per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma il 1 dicembre 2015
Il Presidente

1. Il ricorso è fondato.

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