Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9582 del 26/11/2015
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9582 Anno 2016
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI IMPERIA
BHLI ZINA N. IL 15/05/1956
BOHLI RIHAB N. IL 12/06/1985
BEN BOHLI HAYET BENT MANSOUR N. IL 11/05/1969
ALBERTI SONIA
nei confronti di:
VENTURA FABIO N. IL 16/03/1979
PALUMBO GIANLUCA N. IL 17/08/1973
DI SIPIO FABIANO N. IL 02/04/1977
avverso la sentenza n. 2227/2014 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di IMPERIA, del 06/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSE
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egentite le conclusioni del PG Dott. 4„:-kt,..,9,
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Data Udienza: 26/11/2015
FATTO E DIRITTO
1. Il G.I.P. del Tribunale di Imperia, con sentenza del 6/3/2015, all’esito
dell’udienza preliminare dichiarò non luogo a procedere perché il fatto non
costituisce reato, nei confronti di Ventura Fabio e Palumbo Gianluca e per non
avere commesso il fatto s,t nei confronti di Di Sipio Fabiano, imputati del reato di
cui agli artt. 113, 589, e 61 n. 9, cod. pen.
Mare, erano accusati di avere per colpa procurato la morte di Bohli Kaies,
sottoposto ad inadeguata contenzione e trasporto, dopo essere stato tratto in
arresto.
Il GIP, quanto alla posizione del Ventura e del Palurnbo assumeva la non
punibilità del fatto per le ragioni di cui, in sintesi, appresso: a) era stato
necessario procedere ad immobilizzare con la forza il Bohli, sospettato di
spacciare stupefacenti, a cagione della violenta reazione intentata dal medesimo,
tanto da doversi richiedere la collaborazione di un privato cittadino per
immobilizzarlo; b) non era rimasto provato che durante il brevissimo trasporto
fino alla caserma l’arrestato fosse stato collocato prono, mani e piedi
ammanettati, con la faccia rivolta verso lo schienale posteriore dell’autovettura
di servizio e schiacciato dal peso dei due imputati, sedutiglisi sopra, piuttosto,
invece, che supino, con il viso rivolto verso i due sedili anteriori e i due militari,
sedutati davanti a lui, sul margine del divano; c) le conclusioni del C.T. del P.M.,
secondo le quali la «la dinamica letale [era] riferibile ad un quadro di arresto
cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione
dell’espansione della gabbia toracica», trovavano contrasto nelle risultanze
istologiche, le quali indirizzavano anche per un possibile ipertono da riflesso
vagale, indipendente dalle modalità della contenzione; d) le condizioni precarie di
salute dell’arrestato, cardiopatico e defedato da smodato uso di sostanze
stupefacenti, indirizzavano verso la concreta evenienza di un riflesso vagale da
stress, causato dalla concitazione del momento; e) la fiera resistenza dell’uomo
ben avevano giustificato le modalità energiche della contenzione; f) nel
procedere all’arresto non constava la violazione di alcuna norma prudenziale
specifica o generica, né l’evento era in alcun modo prevedibile ed evitabile.
Quanto alla posizione del Sipio veniva chiarito che il predetto militare non aveva
in alcun modo partecipato all’arresto (né alla prima fase, implicante la
colluttazione, né alla seconda del trasporto); si era limitato a recuperare
l’involucro lanciato dall’arrestato e, a bordo della propria autovettura privata, si
era recato in caserma.
1.1. Gli imputati, militari in servizio presso la Stazione CC di Santo Stefano al
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale d’Imperia propone ricorso
per cassazione corredato da plurimi motivi di censura.
2.1. Con i primi tre motivi, denunzianti violazione della legge processuale,
travisamento della prova e vizio motivazionale il ricorrente, in definitiva,
contesta, con radicalità, la decisione per più convergenti ragioni: a) il Giudice
aveva del tutto violato la regola del giudizio enunciata nell’art. 425, cod. proc.
l’esito del vaglio dibattimentale, non limitandosi a valutare le fonti di prova, ma
procedendo lui stesso al vaglio probatorio, giungendo a ritenere la sussistenza di
una causa di giustificazione, neppure addotta dagli imputati, e financo operando
una critica delle conclusioni del C.T.; b) aveva ipotizzato possibili decorsi
alternativi dei quali non vi era neppure traccia in atti; aveva valutato le prove
testimoniali con piena discrezionalità e, in ogni caso, senza tenere conto che
quella privilegiata (del maresciallo Lizza) era discutibile per il coinvolgimento del
teste nella vicenda e per la spendita di dati afferenti la personalità della p.o. non
recuperabili dall’incarto processuale, giungendo ad affermare anche la
sussistenza di una cardiopatia, non riscontrata in sede autoptico; c) aveva
travisato la prova, assegnando un significato del tutto diverso alle conclusioni
dell’anatomopatologo, siccome si traeva dal verbale che racchiudeva le
dichiarazioni di costui; d) la motivazione incorreva in contraddizione laddove, allo
stesso tempo, descriveva la p.o. come vigorosa e violenta e defedata dalla
conduzione di vita sregolata e dall’uso di stupefacenti.
2.2. Con il quarto motivo, denunziante violazione degli artt. 53, cod. pen. e 425,
cod. proc. pen., il P.M. ricorrente si duole del fatto che il Giudice, nonostante la
mancata allegazione, avesse d’ufficio ritenuto essere rimasta integrata la causa
di giustificazione di cui all’art. 53, cod. pen.
2.3. Con il quinto motivo, denunziante violazione di legge, il ricorrente rileva
che, anche a volere ammettere che nelle modalità di arresto, contenzione e
trasporto non si fosse ritenuto d’individuare violazioni di specifici precetti di
settore, non v’era dubbio che, fermo il valore precettivo dell’art. 13, comma 4,
Cost., del quale la sentenza dubitava, gli operatori non erano esonerati dal
rispetto delle norme cautelari generiche.
2.4. Con l’ultimo motivo viene criticata la decisione di reputare estraneo ai fatti il
Di Sipio: a costui, infatti, secondo il ricorrente, si estendeva la penale
pen., anticipando illegittimamente e con prognosi, peraltro, del tutto ipotetica,
responsabilità ai sensi dell’art. 113, cod. pen., a titolo di cooperazione colposa,
avendo agito in simultaneità, secondo un <
Nel caso in discorso ci si trova, appunto, in presenza di un compendio probatorio,
peraltro niente affatto minimale, suscettivo di difforme valutazione da parte del
giudice del dibattimento, avuto riguardo ai profili evidenziati dai ricorrenti.
Quadro che già ora, solo a costo di evidenti forzature, palesi contraddittorietà,
opinabili interpretazioni e valutazioni delle conoscenze di sapere di natura
tecnica, veicolate all’interno del procedimento, il GIP ha confinato nell’area
and
dell’inidoneità di sviluppi probatori avvaloranti l’accusa. Quadro, ammesso che
debba ritenersi insufficiente, non vi sono ragioni per presagire statico e non
soggetto a sviluppi, attraverso l’istruttoria dibattimentale (escussioni
testimoniali, perizia, esami di consulenti).
4.1. Non ignora il Collegio che una recente linea interpretativa elaborata da
questa Corte di cassazione ha, tuttavia, colto il mutamento d’assetto procurato
dagli interventi riformatori, concludendo che << La situazione è completamente
cambiata con la riforma introdotta dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479 (c. d. legge
"Carotti"). Invero al G.U.P., ai sensi dell'art. 425, comma 3, è odiernamente
consentito disporre il proscioglimento dell'imputato "anche quando gli elementi
acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere
l'accusa in giudizio".
Alla luce della riforma oramai non è più sostenibile la tesi che l'udienza
preliminare abbia finalità meramente procedurali, bensì può dirsi che essa
consenta una vera e propria valutazione di merito dell'accusa, sebbene solo per
finalità preliminari e cioè al fine di consentire al giudice di decidere se
prosciogliere l'imputato (con una sentenza "stabile" ma non irrevocabile) ovvero
rinviarlo a giudizio innanzi al giudice dibattimentale (...).
Ne consegue, alla luce di quanto esposto, che il giudice dell'udienza preliminare
è odiernamente abilitato a svolgere una valutazione del "merito" dell'accusa.
Quanto ai limiti dell'esercizio di tale potere, questa Corte ha già avuto modo di
precisare che ".... l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi probatori probatorio già acquisito - legittimamente il giudice può emettere sentenza di devono avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente
considerate superabili in giudizio, con la conseguenza che, a meno che ci si trovi
in presenza di elementi palesemente insufficienti per sostenere l'accusa in
giudizio per l'esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta
inconsistenza di quelle di non colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere
non è consentita quando l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi
acquisiti siano superabili in dibattimento... Di tale che, il giudice dell'udienza
preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuovi elementi di prova o da una
possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito tale
disposizione altro non è, infatti, se non la conferma che il criterio di valutazione
per il giudice dell'udienza preliminare non è l'innocenza, bensì.... l'impossibilità di
sostenere l'accusa in giudizio e la prognosi dell'inutilità del dibattimento...."
(cfr. Cass. 4^, 11335/08, Huscer; vedi anche : Cass. Sez. 6, Sentenza n. 33921
del 17/07/2012 Cc. (dep. 06/09/2012), Rv. 253127; Cass. Sez. 6, Sentenza n.
10849 del 12/01/2012 Cc. (dep. 20/03/2012), Rv. 252280; Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 43483 del 06/10/2009 Cc. (dep. 13/11/2009), Rv. 245464; Cass.
Sez. 4, Sentenza n. 13163 del 31/01/2008 Cc. (dep. 28/03/2008), Rv.
239597)».
Senza necessità d'invocare altro e diverso orientamento, parimenti recente, che
conferma, invece, l'impostazione tradizionale (Cass., Sez. IV, n. 41860 del
18/7/2013, in Diritto & Giustizia 2013; massima in De.lure, Giuffrè), non par
dubbio che, anche valorizzando l'arricchimento di potere decisorio, il giudice
dell'udienza preliminare, solo al cospetto di un quadro probatorio non suscettivo
d'implementazioni dibattimentali, deve pronunziare sentenza di proscioglimento
nel merito, e ciò (come chiarito dalla citata sentenza n. 41860) anche nel caso in
cui, come prevede espressamente l'art. 425 comma 3 c.p.p., gli elementi
acquisiti risultino insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere
l'accusa in giudizio: tale disposizione è la conferma che il criterio di valutazione
per il giudice dell'udienza preliminare non è l'innocenza, bensì - dunque, pur in
presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che
appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell'eventualità
del dibattimento) - l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio. 4.2. Non si può, peraltro, far finta d'ignorare che nel caso al vaglio la violazione
della regola del giudizio, perpetrata attraverso plurime e rilevanti ulteriori
violazioni di legge e vizi motivazionali in questa sede rilevabili, si staglia
macroscopica a riguardo della posizione degli imputati Ventura e Palumbo. Il dell'imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non Giudice, invero, svalutate le altre fonti di prova, privilegia la sola fonte costituita
dal comandante la Stazione, non solo, all'evidenza, bisognosa di una oculata
verifica di attendibilità, ma, addirittura, importata solo parzialmente in sentenza;
si avventura in disconferme delle risultanze della CTU, attraverso l'enfatizzazione
di rilievi teorici operati dall'anatomopatologo; omette di prendere in effettiva
rassegna le norme di cautela specificamente regolanti l'arresto e la contenzione
forzata e apoditticamente afferma, ignorando la vigenza, comunque delle regole
cautelari comuni e la precettività dell'art. 13, comma 4, Cost., il rispetto delle proc. pen. e le regole della congruenza logica si avventura a congetturare la non
concludenza degli approfondimenti istruttori dibattimentali; afferma la
sussistenza certa di patologia cardiaca della p.o., allo stato non riscontrata. 5. Al contrario, come si è anticipato, la sentenza impugnata si sottrae alle
critiche quanto alla posizione dell'imputato Di Sipio Fabiano.
Deve riaffermarsi, in generale, che «ai fini del riconoscimento della cooperazione nel delitto colposo, oltre a non esser necessaria la conoscenza
dell'identità delle altre persone cui risale la cooperazione, deve ritenersi non
necessaria neppure la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta,
essendo sufficiente la coscienza, da parte dell'agente, che dello svolgimento di
una determinata attività (...) un soggetto interviene nell'ambito di un'opera
complessivamente organizzata, essendo a conoscenza che la sistemazione di
detta opera è riservata anche all'altrui responsabilità (v. Cass., Sez. 4, n.
26020/2009, cit.). Proprio con riguardo a tali aspetti, questa corte ha già in
precedenza avuto modo di sottolineare come l'elemento di coesione tra le
diverse condotte di cooperazione chieda d'essere rinvenuto nel dato d'indole
psicologica costituito dalla consapevolezza di cooperare con altri, senza peraltro
che tale consapevolezza debba estendersi sino a cogliere il carattere colposo
dell'altrui condotta. (...) Occorre (...) che il coinvolgimento integrato di più
soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla
gestione del rischio, o almeno sia contingenza oggettivamente definita senza
incertezze e pienamente condivisa sul piano della consapevolezza. In tali
situazioni, l'intreccio cooperativo, il comune coinvolgimento nella gestione del
rischio, giustifica la penale rilevanza di condotte che, sebbene atipiche,
incomplete, di semplice partecipazione, si coniugano e si compenetrano con altre
condotte tipiche. In tutte tali situazioni ciascun agente dovrà agire tenendo conto
del ruolo e della condotta altrui. Si genera così un legame e un'integrazione tra
le condotte che opera non solo sul piano dell'azione, ma anche sul regime
cautelare, richiedendo a ciascuno di rapportarsi, preoccupandosene, pure alla regole precauzionali; senza tener in alcun conto il precetto dell'art. 425, cod. condotta degli altri soggetti coinvolti nel contesto. Tale pretesa 'd'interazione
prudente' individua il canone per definire il fondamento e i limiti della colpa di
cooperazione. La stessa pretesa giustifica la deviazione rispetto al principio di
affidamento e di autoresponsabilità, insita nell'idea di cooperazione colposa (v.
Cass., Sez. 4, n. 1428/2011, Rv. 252940)» (Cass., Sez. 4, n, 43083 del 3/10/2013, rv. 257197).
Tuttavia, nel caso di specie, i ricorrenti non hanno evidenziato alcuna specifica
emergenza sulla base della quale possa imputarsi al Di Sipio, la consapevolezza possibilità di una fattiva interazione in grado di scongiurare l'evento. Per
converso emerge dagli atti che il predetto militare restò totalmente estraneo
all'intervento coattivo, tanto che gli altri due imputati dovettero rivolgersi ad un
passante per potere essere materialmente aiutati nel contenere la p.o.; si occupò
di andare a recuperare l'involucro lanciato lontano dall'arrestato, non prese parte
all'opera di contenzione in loco (la p.o. venne ammanettata mani e piedi), né al
trasporto dell'arrestato che, secondo il capo d'imputazione, a cagione delle sue
improvvide modalità, aveva procurato lo schiacciamento della cassa toracica
della p.o. e, indi, l'arresto cardiaco e la morte della medesima.
In definitiva, proprio nel rispetto della regola di giudizio di cui all'art. 425, cod.
proc. pen., in presenza di un quadro probatorio del tutto insufficiente a sostenre
l'accusa in giudizio, non emergono elementi che possano far prevedere un
epilogo dibattimentale sfavorevole all'imputato in discorso. 6. Ciò posto, la sentenza gravata deve essere annullata nei soli confronti di
Ventura Fabio e Palumbo Gianluca e gli atti rinviati per nuovo esame al
competente Tribunale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ventura Fabio e Palumbo Gianluca
e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Imperia.
Rigetta il ricorso nei confronti di Di Sipio Fabiano. Così deciso in Roma il 26/11/2014
Il C • si ere est. Il Presidente spinta fino ad ipotizzare le modalità gestione del rischio e, comunque, la