Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9564 del 16/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9564 Anno 2016
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SINNONA NICOLA
avverso la sentenza n. 4679/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
02/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per j
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Udito, per la parte civile l’Av\4. Itif
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Data Udienza: 16/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 2/5/2014, in riforma di
quella emessa dal Tribunale di Latina il 24/3/2009, dichiarò non doversi
procedere, essendo il reato estinto per prescrizione, nei confronti di Venuti
Vincenzo Maria e Sinnona Nicola, imputati del reato di cui agli artt. 113 e 589,
cod. pen., ai danni di Stacchiotti Adelaide.
Agli imputati, il primo quale primario ed il secondo quale aiuto, si

violazione dell’arte medica, di aver causato la morte della paziente Stacchiotti
Adelaide, deceduta nel decorso post-operatorio per il sopravvenire di un
arresto cardio-circolatorio, conseguente ad edema polmonare acuto. In
particolare, gli imputati, in servizio presso clinica privata, avevano deciso di
eseguire una laparatomia esplorativa, senza prima effettuare gli esami
strumentali del caso (in particolare una TAC), senza tener conto dell’assenza
nella predetta struttura di unità attrezzate per la rianimazione ed il postoperatorio, senza tenere conto delle <> condizioni generali della
paziente (referto dell’anestesista), senza predisporre adeguato e continuativo
monitoraggio dei parametri vitali ed infine,

di trasferire la

paziente presso struttura ospedaliera idonea, nonché d’intervenire con í mezzi
strumentali del caso utili a fronteggiare la sopravvenuta emergenza.

2. Sinnona Nicola propone ricorso per cassazione corredato da duplice,
articolata censura.

2.1. Con il primo motivo, denunziante violazione di legge e vizio
motivazionale, il ricorrente contesta l’attribuzione al medesimo, quale mero
componente dell’equipe medica, la irregolare acquisizione del consenso
informato della paziente. Nella fattispecie, a parere del Sinnona, il consenso vi
era stato e a nulla rilevavano gli eventuali vizi formali riscontrati, stante che
alla raccolta del medesimo aveva provveduto direttamente il primario e al
secondo chirurgo era bastevole accertare che il consenso fosse stato
acquisito. Inoltre, precisava l’impugnante, l’anestesista non aveva espresso
parere contrario all’intervento, ma si era limitato a segnalare le condizioni di
salute non ottimali della paziente, sulla quale, peraltro, l’intervento andava
effettuato (trattavasi di soggetto in precedenza operato per neoplasia al
colon, che presentava gravi disturbi gastrointestinali).

2.2. Con il secondo motivo, denunziante i medesimi vizi, il ricorrente
contesta la sussistenza del nesso di causalità.
1

rimproverava, per colpa, consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza, in

Il giudizio controfattuale delineato dalla sentenza era inconferente, non
potendosi pretendere che il chirurgo restasse a vigilare per tutto il postoperatorio.
L’addebito, poi, di aver rassicurato la p.o. era irrilevante, in quanto, in
effetti, la clinica era idonea a fornite adeguata assistenza anche per il postoperatorio (circostanza, questa, che si traeva dalle stesse dichiarazioni del
medico del 118).
Piuttosto andava addebitata decisiva negligenza a carico del medico di

respiratorio-cardiaca, nonostante gli strumenti utili al fine si trovassero nella
vicina sala operatoria (anche sul punto decisive dovevano ritenersi le
dichiarazioni del medico del 118).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso non può essere accolto.
Un solo profilo di responsabilità, adeguatamente motivato in sentenza
sulla base dell’evidenza disponibile, è bastevole a confermare la responsabilità
del ricorrente.
Il Sinnona certamente conosceva le risorse operative, l’organizzazione,
la capacità di far fronte alle emergenze della struttura sanitaria privata presso
la quale esercitava la sua opera di chirurgo. Conoscenza, questa, che il
ricorrente, a ben vedere, neppure nega.
Non v’è motivo di dubitare che lo stesso rassicurò il figlio della p.o. in
ordine all’esito dell’intervento chirurgico, esito che, come par ovvio, non
avrebbe potuto prescindere dalla prognosi di sopravvivenza della paziente
dopo l’intervento medesimo. SQbbene la teste sentita dalla Corte territoriale
non abbia espressamente confermato (né, peraltro, smentito) la circostanza,
non emergono ragioni per screditare le dichiarazioni del predetto congiunto,
conformi alla decisione della paziente di sottoporsi all’intervento.
Questa circostanza, tuttavia, non ha valore decisivo. Quel che rileva, a
parere del Collegio, è che il Sinnona prestò la propria opera chirurgica su una
paziente fortemente defedata e affetta da plurime patologie, anche
respiratorie e cardiache, pur conoscendo l’assoluta inadeguatezza della
struttura.
L’inadeguatezza risulta evidente e di misura intollerabile sulla base
delle acquisizioni probatorie riportate in sentenza: la paziente, dopo
l’intervento, venne, di fatto abbandonata, senza che ne fossero monitorate le
funzioni vitali; senza che il personale fosse in grado di fronteggiare il

2

turno, il quale non era intervenuto tempestivamente all’insorgere della crisi

sopravvenire d’emergenze (il medico di turno, una volta allertato all’insorgere
della difficoltà respiratoria, assume dì averla affidata ad un medico chirurgo,
però impegnato in viste ambulatoriali e di aver chiamato l’ambulanza senza
specificare il codice d’emergenza); ben tre bombole d’ossigeno risultarono non
funzionanti; sopraggiunto il medico del 118, quando oramai il quadro clinico
non era più recuperabile, questi ebbe modo di constatare lo stato di
disinteresse e d’incuria nel quale la paziente versava e a quegli strumenti
elettrosanitari che l’imputato dice oggi essere presenti e agevolmente

cominciò «ad alzare la voce».
La marcata deficienza, quindi, non riguarda, siccome sostiene il
ricorrente, l’adeguatezza della strumentazione (in qualche misura presente),
ma ancor prima, la totale assenza di una vera unità operativa, adeguatamente
responsabilizzata e dotata di acconcia competenza, capace di fronteggiare
situazioni d’emergenza, altamente probabili all’esito d’interventi di quel tipo in
pazienti a rischio. Una tale deficienza avrebbe dovuto indurre l’imputato ad
astenersi dal partecipare all’operazione chirurgica, salvo a garantire
personalmente il buon andamento del post-operatorio, permanendo per tutto
il tempo necessario al capezzale della paziente.

4. All’epilogo consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché al rimborso delle spese legali in favore della parte
civile costituita, che si liquida nella misura stimata congrua, vista I anotula, di
cui in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile Ilentineenato che
liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 16/12/2015.

reperibili, fu possibile accedere solo dopo che il predetto medico del 118

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