Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9562 del 22/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9562 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROMANO PIERFRANCESCO N. IL 21/04/1985
avverso la sentenza n. 1916/2011 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 29/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Data Udienza: 22/01/2014

Fatto e diritto

ROMANO PIERFRANCESCO ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che,
confermando quella di primo grado, l’ ha riconosciuto colpevole del reato di tentato furto

Con il ricorso censura il giudizio di responsabilità, sostenendo anche che gli elementi
acquisiti non avrebbero consentito di ravvisare gli elementi costitutivi del tentativo, ma
semmai quelli della desistenza. Lamenta, poi, il diniego delle attenuanti generiche, basato
sulla valorizzazione negativa del fatto e l’assenza di elementi ulteriori – rispetto alla
incensuratezza- per ridurre la pena già determinata nei minimi.

Le doglianze sono manifestamente infondate, con conseguente inammissibilità dei
ricorsi.

Le prime due doglianze, da trattare congiuntamente, a fronte di una “doppia conforme”
valutazione dei giudici di merito, si limitano a proporre una diversa lettura del compendio
probatorio e si sostanzia nel sindacato di merito sulla ricostruzione della vicenda che
non può qui essere censurato a fronte di una motivazione analitica, puntuale, che regge
ampiamente il vaglio di legittimità.

I giudici hanno ricostruito il fatto in termini coerenti con la contestazione: non si è
trattato di desistenza, giacchè gli imputati si erano nascosti proprio alla vista degli
agenti.

Risulta rispettato il principio secondo cui, in tema di tentativo, il giudizio di “idoneità”
degli atti deve essere effettuato con valutazione ex ante ed in concreto, cioè tenendo
conto di tutte le circostanze del caso concreto e, a tal fine, l’idoneità deve ritenersi
sussistente quando l’azione in sé considerata ha capacità causale, cioè è suscettibile di
produrre l’evento che poi non si verifica per le circostanze impreviste verificatesi. Il
requisito dell'”univocità” degli atti, invece, va accertato ricostruendo, sulla base delle
prove disponibili, la direzione teleologica della volontà dell’agente quale emerge dalle
modalità di estrinsecazione concreta della sua azione, allo scopo di verificare quale sia
stato il risultato dallo stesso avuto di mira, sì da pervenire con il massimo grado di
precisione possibile all’individuazione dello specifico bene giuridico aggredito e
concretamente posto in pericolo (Sezione IV, 17 settembre 2010, Gabrieli).

pluriaggravato commesso in concorso con altro [non ricorrente]

Con l’ulteriore doglianza si vuole parimenti sostituire l’apprezzamento della Corte sul
potere dosimetrico che la legge attribuisce al giudice del merito: la valutazione dei vari
elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di
comparazione delle circostanze, nonché per quanto riguarda in generale la dosimetria
della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio se effettuato nel
rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133 c.p. è censurabile in cassazione

senz’altro escludersi avendo il giudice motivato sulla determinazione della pena e, nello
specifico, sull’implicito diniego delle generiche attraverso una corretta ed incensurabile
considerazione dell’assenza di ulteriori elementi a favore.

Del resto, non va trascurato che la concessione o no delle circostanze attenuanti
generiche risponde ad una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio, positivo o
negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese,
comunque, come oggetto di una “benevola concessione” da parte del giudice, né
l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro
concessione deve avvenire come riconoscimento dell’esistenza di elementi di segno
positivo, suscettibili di positivo apprezzamento (Sezione VI, 28 ottobre 2010, Straface).

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in
millecinquecento euro, in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio in data 22 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

residente

solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve

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