Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9540 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9540 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZI LANFRANCO GIUSEPPE N. IL 02/03/1958
avverso la sentenza n. 253/2012 GIUDICE DI PACE di BERGAMO,
del 23/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 20/01/2016

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr.ssa Paola Filippi, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Ricorre Rizzi Lanfranco Giuseppe avverso la sentenza del Giudice di pace di
Bergamo del 23/11/2012, che lo ha condannato a pena di giustizia per ingiuria e
minaccia in danno di Garino Anna.
Deduce l’insussistenza della querela e l’inidoneità degli elementi di prova

quanto costituiti da un riconoscimento fotografico effettuato sulla base di
materiale risalente (la foto lo ritraeva in giovane età) e comunque inutilizzabile.
Inoltre, perché la donna non era stata sicura del riconoscimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Ai fini della validità della querela, la manifestazione della volontà di punizione
è univocamente desumibile dall’espressa qualificazione dell’atto come “querela”,
in quanto assume rilievo decisivo il significato tecnico dell’espressione adoperata
(Cass. , 1710 del 5/12/2013). La prima doglianza è, pertanto, manifestamente
infondata, in quanto Garino Anna, presentatasi in data 17/10/2008 alla stazione
dei carabinieri di Milano-Dalmine, propose “querela” nei confronti di Rizzi
Lanfranco Giuseppe per i fatti di cui all’imputazione.

2. Ugualmente infondato, in maniera manifesta, è il secondo motivo di doglianza.
Il Giudice di pace dà atto che la persona offesa – esaminata in sede
dibattimentale – ha riconosciuto l’imputato, la cui effigie era contenuta in un
album a lei mostrato, come la persona responsabile dei fatti narrati in querela.
L’individuazione fotografica di un soggetto costituisce una prova atipica la cui
affidabilità non deriva dal riconoscimento in sé, ma dalla credibilità della
deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua
identificazione (ex multis, Cass., n. 49758 del 27/11/2012). Nella specie il
Giudice di pace ha, sulla scorta delle dichiarazioni rese in dibattimento dalla
persona offesa e del modo in cui questa si è espressa, ritenuto che il
riconoscimento fosse “affidabile”, perché conseguente ad analogo riconoscimento
effettuato in sede di indagini e perché non contrastato da elementi probatori di
diversa natura e provenienza (l’imputato era rimasto contumace). Alla
congruenza di tale valutazione non osta la forma sintetica della motivazione,
giacché il procedimento dinanzi al giudice di pace si caratterizza proprio per la
2

valorizzati dal giudicante per la sua identificazione come autore del fatto, in

forma “abbreviata” della motivazione” (art. 32 d.lgs n. 274 del 28 agosto 2000),
alla condizione – realizzatasi nella specie – che rappresenti con sufficiente
precisione le ragioni della decisione.

3. Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, in regione dei motivi dedotti, si reputa
equo quantificare in € 1.000.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/1/2016

P.Q.M.

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