Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9536 del 22/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9536 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LIBERATI FABRIZIO N. IL 07/01/1971
avverso la sentenza n. 3034/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;

Data Udienza: 22/01/2014

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Motivi della decisione

Avverso la sentenza indicata in epigrafe, l’imputato Liberati
Fabrizio – giudicato responsabile del delitto di cui all’articolo
73 d. P.R. n. 309/1990 – ha proposto, a mezzo del suo difensore,
ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per violazione
di legge e vizio di motivazione in relazione all’art.192, comma 2,

dell’attenuante di cui all’art. 73, comma settimo, d.P.R. 309/90..
Il ricorso è inammissibile,

ex

articolo 606, comma 30 ,

cod.proc.pen., perché proposto per motivi manifestamente
infondati.
Quanto ai motivi in punto di responsabilità si osserva che gli
stessi sono manifestamente infondati, in quanto ripropongono
questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e
convincente risposta e mirano ad una diversa ricostruzione del
fatto preclusa al giudice di legittimità. Una volta infatti che il
giudice di merito abbia chiarito la dinamica del fatto con
motivazione congrua, non compete alla Corte di legittimità
valutare gli atti.
La Corte di appello di Milano ha infatti indicato chiaramente le
ragioni per cui doveva ritenersi la responsabilità dell’odierno
ricorrente in ordine al reato ascrittogli, in particolare
evidenziando che l’imputato non solo possedeva vari tipi di
sostanze stupefacenti, ma aveva accompagnato addirittura l’amico
Carenzi a comperare altra sostanza, affrontando un viaggio sino a

c.p.p. in punto di responsabilità e in relazione al diniego

Milano. I giudici di appello evidenziavano inoltre oltre alla
diversa tipologia delle sostanze detenute, anche i diversi luoghi
di occultamento ed il possesso di un bilancino di precisione,
tutti elementi che inducevano a ritenere che la detenzione fosse
finalizzata allo spaccio.
Quanto poi al motivo relativo alla mancata applicazione dell’art.
73, comma settimo d.P.R. n. 309/1990, la Corte territoriale ha
invero adeguatamente ed esaustivamente motivato sul punto,
correttamente ritenendo non concedibile la sopra indicata

fot

e
attenuante in considerazione del fatto che non potevano ritenersi
sufficienti le dichiarazioni dell’imputato a proposito del
possesso di altra cocaina da parte dell’amico Carenzi, integrando
tali affermazioni solo il tentativo di sgravarsi di parte della
penale responsabilità.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass, Sez. 6,
Sent. n.8243 del 6.05.1993, Rv. 194955) ha infatti ritenuto che la

della quale sono diminuite dalla metà a due terzi le pene per chi
si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a
conseguenze ulteriori, si applica allorquando le dichiarazioni
dell’imputato o dell’indagato si concretizzano o in un contributo
determinante nel neutralizzare la produzione di nuovi danni o di
ulteriori delitti come conseguenze dell’attività criminosa già
posta in essere, ovvero in una collaborazione con l’autorità di
polizia o con quella giudiziaria che consenta a tali organi di
giungere all’individuazione di grossi o abituali fornitori o
spacciatori della droga oppure alla scoperta e alla sottrazione di
importanti risorse di capitali, sostanze e attrezzature aventi
attinenza con la produzione, il traffico e l’uso delle sostanze
stupefacenti. Ne consegue che non possono ritenersi sufficienti,
ai fini della concessione dell’attenuante suindicata,
comportamenti e ammissioni che portino soltanto a rafforzare il
quadro probatorio o soltanto ad affrettare i risultati positivi
verso i quali le indagini siano già positivamente orientate.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al
pagamento, a favore della Cassa delle ammende, della somma di euro
1.000 a titolo di sanzione pecuniaria, trattandosi di causa di
inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del
ricorrente stesso (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7
– 13 giugno 2000 ).

P Q M

Pi

disposizione dell’art.73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n.309, in forza

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore
della Cassa delle ammende della somma di euro 1.000.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2014.

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