Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9530 del 22/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9530 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

Data Udienza: 22/01/2014

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DOTTORI CORRADO N. IL 24/05/1966
avverso la sentenza n. 1006/2013 GIP TRIBUNALE di ANCONA, del
11/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

(p-

Osserva
Ricorre per cassazione, personalmente, Dottori Corrado avverso la sentenza emessa in
data 11.3.2013 ai sensi dell’art. 444 c.p.p. dal G.i.p. del Tribunale di Ancona con la quale
veniva applicata al predetto la pena concordata a di anni quattro di reclusione per i delitti
di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p. e 73 dPR 309/1990 (illecita detenzione di cocaina ed
hashish).
deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine al mancato riconoscimento
dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73 comma 5 0 dpr 309/1990.

Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis, Cass. pen. Sez. Un., n.
10372 del 27.9.1995, Rv. 202270, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima
e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, come nel
caso di specie, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la
sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto,
l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della
pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena ove la efficacia della
richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata
sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p.).
Non può, invece, l’imputato che abbia consentito all’applicazione della pena, rimettere in
discussione gli altri profili oggettivi o soggettivi della responsabilità e non può, in
particolare, proporre in sede di legittimità eccezioni o censure attinenti al merito nè
recriminare sulla qualificazione giuridica del fatto e la ricorrenza delle circostanze o la
congruità della pena a meno che si tratti di statuizioni palesemente illegittime: evenienza
questa che, nel caso di specie, è senz’altro da escludere.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare in C 1.500,00, in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così
deciso in Roma, addì 22.1.2014

Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti nella presente sede.

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