Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 953 del 07/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 953 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Bonora Cristina, nata a Forlì, il 03/12/1964
Argentini Lucia, nata a Bologna, il 13/12/1974
Lazzari Linda, nata a Lugo, il 19/04/1978
avverso la sentenza del 03/10/2013 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 07/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello di Bologna,
decidendo in sede di giudizio di rinvio, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Rimini in data 24 luglio 2008, riqualificato il fatto come tentativo di
furto aggravato, ha rideterminato la pena inflitta nei confronti di Cristina Bonora,
Lucia Argentini e Linda Lazzari nella misura dì mesi quattro di reclusione ed
EURO 200,00 di multa, ferma restando l’esclusione nei confronti delle medesime

perpetuo dai pubblici uffici disposta nella sentenza della Corte di appello di
Bologna in data 3 marzo 2009, confermando nel resto la suindicata sentenza del
Tribunale di Rimini.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte territoriale – in applicazione del
principio di diritto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione secondo il quale il
fatto doveva qualificarsi come tentativo di furto e rideterminarsi,
conseguentemente, la relativa pena – riteneva, fermo il giudizio di equivalenza
tra le aggravanti e la ritenuta attenuante dell’art. 62 n. 4 cod. pen. coperta dal
giudicato parziale interno, adeguata e congrua al fatto commesso (tentato furto
di beni di modesto valore) ed alla personalità delle due imputate (plurirecidive)
la pena di mesi 6 di reclusione e 300,00 euro di multa, da ridursi di un terzo per
il rito alla pena finale di mesi 4 di reclusione ed euro 200,00 di multa.

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza, ricorrono per cassazione, a
mezzo del difensore, Cristina Bonora, Lucia Argentini e Linda Lazzari affidando il
gravame ad un unico complesso motivo con il quale deducono la violazione degli
artt. 56,132 e 133 cod. pen. (art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen.)
per l’irragionevole ed immotivata irrogazione di una pena pari al triplo del
minimo edittale previsto dal combinato disposto degli art. 56 e 624 cod. pen.
nonché l’assoluta carenza di motivazione in merito alle ragioni di un così elevato
scostamento, in assenza della determinazione della pena base per il delitto
tentato ed essendosi la Corte territoriale fatta scudo del cd. metodo sintetico ai
fini del calcolo finale della pena per il tentativo.
Assumono che la carenza di motivazione è tanto più evidente ove si
consideri che secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità il
giudice di merito è tenuto ad assolvere l’obbligo di motivazione previsto dall’art.
132 cod. pen. quanto più si allontani dal minimo edittale optando per un regime
più severo.
Inoltre, l’illogicità del trattamento sanzionatorio riservato alle ricorrenti
emerge anche dal confronto (interno) con l’opzione punitiva già operata dai

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della dichiarazione di abitualità, della misura di sicurezza e dell’interdizione in

Giudici di merito in relazione al medesimo episodio criminoso allorché esso era
qualificato come delitto perfetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo proposto.

2. Questa Corte è orientata nel ritenere che la determinazione della pena nel

metodo diretto o sintetico, ossia senza operare la diminuzione sulla pena fissata
per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il calcolo
“bifasico”, ossia scindendo i due momenti enunciati, purché venga comunque
rispettato il vincolo normativo relativo al contenimento della riduzione della pena
edittale prevista per il reato consumato da uno a due terzi (Sez. 5, n. 39475 del
19/06/2013, Brescia e altri, Rv. 256711).
Entrambi i sistemi, peraltro, non si sottraggono ai vincoli normativi relativi al
contenimento della riduzione della pena, rispetto al reato consumato, da uno a
due terzi e solo l’inosservanza in concreto di tali limiti comporta la violazione di
legge.
Quanto poi alla pena determinata nel caso di specie, i rilievi appaiono del
tutto privi di fondamento avendo la Corte territoriale, contrariamente a quanto
sostenuto dalle ricorrenti, commisurato la pena ampiamente al di sotto del
massimo edittale, laddove la censura si attesta sullo scollamento rispetto al
minimo.
Tuttavia è l’irrogazione della pena in una misura prossima al massimo
edittale che rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine
alla quantità di pena irrogata (Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv.
258356), e non viceversa, avendo la Corte territoriale individuato, nel caso di
specie, la pena detentiva (sei mesi) anche al di sotto della media edittale tra il
minimo (due mesi) ed il massimo (due anni).
Peraltro il riferimento alla congruità ed adeguatezza della pena consente di
ritenere osservato l’obbligo motivazionale che è stato agganciato, per due delle
ricorrenti, anche ai precedenti penali e dunque la sentenza non merita alcuna
censura al riguardo e neppure con riferimento alla pena che, nei precedenti
giudizi, era stata comminata con riferimento al reato consumato.
E’ agevole osservare, infatti, che la pena detentiva (finale e quindi
comprensiva anche della diminuente del rito) è stata dimezzata (quattro mesi
invece di otto mesi di reclusione) e quella pecuniaria diminuita di un terzo
(200,00 euro invece di 300,00 euro di multa).

3

caso di delitto tentato può essere indifferentemente effettuata con il cosiddetto

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che il
ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per
ciascuna ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese
del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che ciascuna ricorrente versi la somma, determinata

P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna ciascuna ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso il 07/10/2014

in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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