Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9513 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9513 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMAIONI LITA CATERINA N. IL 26/05/1959
nei confronti di:
ZAMBOLIN PAOLA N. IL O 1 /09/1 959
ROMEO FRANCESCO N. IL 01/04/1955
VIRZI’ GERMANO N. IL 11/10/1962
avverso la sentenza n. 66/2013 TRIBUNALE di BOLOGNA, del
19/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 24/11/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, per la ricorrente, l’avv. Mario Marcuz, che si è riportato ai motivi di
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di pace di Bologna, con sentenza confermata dal Tribunale, ha

loro ascritto perché il fatto non costituisce reato e dal reato di ingiuria – pure a
loro contestato – per aver agito in stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui.
2. La vicenda è stata così ricostruita dai giudici di merito. Zambolin Paola era
stata assistita dall’avv. Lita Caterina Camaioni nella causa di separazione dal
marito Romeo Francesco. Professionista e cliente avevano concordato verbalmente – un compenso determinato in percentuale sulla somma che la
donna avrebbe dovuto ricevere dal marito a titolo di assegno divorzile.
All’esaurimento dell’incarico l’avvocato aveva preteso la percentuale del 15%,
mentre la Zambolin aveva inteso che il compenso fosse stato pattuito nella
percentuale del 10%, calcolato sull’importo della “conciliazione”. Per dirimere la
controversia le due donne stipularono una prima convenzione datata
22/11/2008, con cui fissavano l’importo del compenso in C 12.250, oltre
accessori di legge (per totali C 13,770), da pagare mediante assegno post-datato
con scadenza al 30 giugno 2009. Tuttavia, il 24 novembre 2008 professionista e
cliente stipulavano una seconda scrittura (redatta a casa della cliente, ove l’avv.
Zambolin si era recata), con la quale – premesso che il compenso sarebbe
ammontato, secondo le tariffe professionali, ad C 43.075,99 – convenivano il
compenso di C 22.500 netti, di cui C 11.250 già corrisposti ed C 12.250, oltre
accessori, da pagare entro il 30 giugno 2009.
Con sentenza del Tribunale di Bologna del 18 maggio 2009, l’assegno divorzile fu
determinato, una tantum, in C 150.000, per cui il compenso preteso dall’avv.
Camaioni risultò corrispondere esattamente al 15% dell’assegno divorzile (C
22.500).
In data 8 luglio 2009 (allorché la seconda rata – già scaduta – non era stata
pagata) Zambolin si recò nello studio dell’avv. Camaioni insieme all’ex marito
Romeo e al dr. Virzì, loro amico (oltre che cancelliere del Tribunale), per
ridiscutere la questione del compenso, che Zambolin riteneva eccessivo. Ne
nacque una discussione, nel corso della quale la cliente – spalleggiata dall’ex
marito e da Virzì – accusò l’avv. Camaioni di “scorrettezza” , di “non aver fatto
niente” e di averla voluta “fregare”, di essere una “approfittatrice” e una
“disonesta”, di averle “estorto” la firma sulla seconda scrittura con la minaccia di

assolto Zambolin Paola, Romeo Francesco e Virzì Germano dal reato minaccia

agire giudizialmente. Inoltre, minacciò di denunciare all’INPS e alla Guardia di
Finanza la condotta tenuta dall’avvocato, che non aveva rilasciato fattura per la
somma già ricevuta.
3. Secondo i giudici di merito le ingiurie sono scriminate dal comportamento
“non proprio irreprensibile” dell’avv. Camaioni, che aveva predisposto una
parcella sproporzionata rispetto all’opera svolta, era riuscita a farsi promettere il
compenso di € 22.500 (oltre accessori) con la prospettazione di defatiganti azioni
giudiziarie ed in maniera insolita (si era recata, di sera, a casa della cliente)’ed

sono state ritenute tali dal punto di vista del diritto penale, perché i tre imputati
– parlando di denunce al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, alla Guardia di
Finanza e all’INPS – non avevano affatto inteso perseguire risultati non conformi
a giustizia, ma solo esercitare un loro diritto.

2. Ha presentato ricorso per Cassazione, nell’interesse della parte civile Lita
Caterina Camaioni, l’avv. Mario Marcuz, con due motivi.
Col primo lamenta l’erronea applicazione degli artt. 594 e 339, nonché
dell’art. 599 cod. pen. per essere stato omesso il vaglio dei motivi di appello
riguardanti la prova dello stato d’ira, nonché del capo di imputazione “nella sua
integralità”. Deduce, sotto il primo profilo, che l’esame dei motivi di appello
avrebbe reso evidente che le ingiurie erano state proferite “con piena e perfetta
padronanza dei freni inibitori”; sotto il secondo aspetto, che una considerazione
unitaria delle condotte ascritte agli imputati, descritte nei capi A) e B), avrebbe
reso evidente che i tre si erano recati nello studio dell’avv. Camaione per
coartarne la volontà, affinché rinunciasse al compenso maturato.
Col secondo deduce una violazione dell’art. 2 cod. proc. pen., derivante
dal fatto che i giudici di primo e secondo grado hanno – in una situazione di
carenza di potere – risolto “la questione civile relativa all’adempimento del
contratto di mandato professionale” e ricondotto lo stato d’ira, tra l’altro, alla
“omessa richiesta di ammissione al Gratuito Patrocinio” a favore di Zambolin
nella causa civile, senza considerare che la cliente non ne aveva i requisiti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Entrambi i motivi di ricorso sono infondati.
1. Col primo la ricorrente contesta che sia stato adeguatamente motivata – per
l’ingiuria – la scriminante della provocazione. In realtà l’insufficienza lamentata
non sussiste, avendo i giudici di primo e secondo grado esteso la loro indagine a
tutta la vicenda che ha riguardato imputati e persona offesa per rilevare che la
condotta dell’avv. Camaione “non era stata irreprensibile”, avendo avanzato, ih

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aveva omesso di rilasciare fattura per il compenso percepito. Le “minacce” nón

un primo momento, richieste esorbitanti di compenso (circostanza nemmeno
contestata), avendo poi ridotto le sue pretese ad C 12.500 ed esséndosi, infine
presentata a casa della cliente per concordare un compenso di C 22.500, sotto
minaccia di agire per la somma originariamente pretesa. Inoltre, senza rilasciare
ricevuta per la somma di C 11.500 effettivamente riscossa. Da tanto hanno
dedotto che Zambolin Paola sia rimasta gravemente turbata dal contegno
dell’avv. Camaioni, da lei percepito come ingiusto e gravemente vessatorio, sia
per l’esorbitanza della richiesta – sproporzionata rispetto alla natura dell’attività

formulata in maniera da lasciarla incerta sulla percentuale pretesa, sia, ,infine,
per le circostanze della “transazione”, cui era stata indotta per evitare di essere
trascinata – da parte di operatore legale, e quindi attrezzato professionalmente in una vertenza “dalle conseguenze economiche peggiori”.
Il rapporto di derivazione tra lo stato d’ira e il fatto ingiusto altrui è, quindi,
logicamente argomento in sentenza, non bastando ad escluderlo il lasso
temporale intercorso tra la transazione e la scadenza dell’assegno, essendo
consolidato – in giurisprudenza – il principio secondo cui, ai fini del
riconoscimento dell’esimente della provocazione nei delitti contro l’onore, non è
necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia
ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato
d’ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del
tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle
esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa (Cass., n. 32323
del 31/7/2007) ovvero – come nella specie – dal riesplodere dell’ira in
concomitanza alla scadenza dell’assegno ritenuto “estorto”.
Tanto esclude la fondatezza anche del secondo profilo di doglianza, giacché il
fatto che i tre si fossero recati nello studio dell’avv. Camaioni per rimarcare
l’esosità della pretesa conferma che essi – effettivamente – non voleiano
corrispondere la seconda tranche della richiesta; il che non è affatto
incompatibile con la provocazione, perché la necessità di dover pagare – ‘per
ragioni ritenute inique – l’assegno nel frattempo scaduto rappresenta proprió la
causa scatenante dello stato d’ira e della reazione conseguente.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Il Giudice penale deve
risolvere, incidentalmente, salvo che sia diversamente disposto, tutte le
questioni da cui dipende la decisione (art. 2 cod. proc. pen.); quindi anche’ le
questioni da cui deriva l’applicabilità dell’art. 599 cod. pen.. Pertanto, (I Giudice
di pace e il Tribunale di Bologna erano tenuti a valutare – come hanno in effetti
fatto – l’ammontare del compenso richiesto dall’avv. Camaione al fine di stabilire

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prestata e alla tipologia dell’affare trattato – sia per le modalità della stessa,

se, in relazione all’attività professionale prestata, fosse talmente esorbitante da
rappresentare “fatto ingiusto” rilevante per il riconoscimento della provocazione.

3. L’infondatezza dei motivi comporta che il ricorso va rigettato, con conseguente
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Così deciso il 24/11/2015

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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