Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9510 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9510 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZACCONE ENRICO N. IL 25/11/1959
avverso la sentenza n. 72/2013 TRIBUNALE di MESSINA, del
07/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 24/11/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, per il ricorrente, l’avv. Guido Orlando in sostituzione dell’avv. Fabio
Petrantoni, che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

sentenza confermata dal Tribunale, alla pena di C 600 di multa per lesioni
personali in danno di D’Arrigo Antonio, colpito al volto con un pugno, nonché al
risarcimento dei danno in favore della persona offesa, costituita parte civile.
Alla base della decisione vi sono le dichiarazioni della persona offesa, giudicate
coerenti e credibili, e del teste Aloisi Giovanni, nonché la documentazione medica
acquisita. L’aggressione sarebbe maturata perché la persona offesa pretendeva
di fotografare l’imputato sul torrino dell’edificio in cui vivevano entrambi e dove
l’imputato era salito per riparare un’antenna (torrino di proprietà esclusiva della
persona offesa).

2. Ha presentato ricorso per Cassazione nell’interesse dell’imputato l’avv. Fabio
Petrantoni lamentando;
a) l’illogicità della motivazione con cui è stata spiegata la credibilità della persona
offesa, non essendosi tenuto conto delle “incoerenze” del suo racconto
(menziona le discrasie tra la narrazione contenuta nel ricorso immediato al
giudice e le dichiarazioni dibattimentali, nonché l’esito degli accertamenti clinici
effettuati subito dopo la presunta aggressione, che davano valori pressori
normali, laddove D’Arrigo aveva dichiarato di essere “molto agitato”), della
conflittualità esistente tra i due condomini e delle dichiarazioni di Zanghì Elisa,
moglie dell’imputato, nonché dell’interesse del teste Aloisi per le sorti del
processo, avendo anch’egli sporto querela nei confronti dell’imputato;
b) l’erronea applicazione degli artt. 52 e 59 cod. pen., non essendosi considerato
che Zaccone – seppur avesse fatto quanto contestatogli – stava solo difendendo
la propria “privacy”, in quanto illegittimamente ripreso – fotograficamente – dalla
persona offesa;
c) la violazione dell’art. 62, n. 2, cod. pen., per non essere stata riconosciuta la
provocazione;
d) l’erronea applicazione dell’art. 62/bis cod. pen., di cui sussistevano – a suo
giudizio – i presupposti per lo stato d’ira determinato dal comportamento della
persona offesa e per l’incensuratezza dell’imputato.

2

1. Zaccone Enrico è stato condannato dal Giudice di Pace di Messina, con

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nessuno dei motivi proposti merita accoglimento.
1. Sono inammissibili i motivi concernenti l’affermazione della responsabilità.
Con consolidato orientamento, questa Corte ha avuto modo di precisare che “è
inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le

dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del
motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragidni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità….” (Cass. 4, 5191/2000, imp.
Barone, rv. 216473. Da ultimo, Cass., n. 28011 del 15/2/2013). In particolare il
giudice di merito ha evidenziato come la prova dei reati sia fornita dalla
dettagliate, coerenti e lineari dichiarazioni della persona offesa, che ha
raccontato, senza discrasie e senza contraddirsi, in maniera chiara e lineare,
l’aggressione di cui fu vittima e le conseguenze che ne derivarono, confermate
dalla documentazione medica prodotta (che descrive un

“trauma contusivo

regione zigomatica sx ed escoriazione regione nasale”, perfettamente compatibili
con la dinamica dell’aggressione) e dalla testimonianza di Aloisi, che assistette
all’aggressione e ne fu vittima, per il tentativo – da lui fatto – di interporsi tra i
due ed evitare al malcapitato più gravi conseguenze personali. Per contro,
assertive e soggettive sono le “incongruenze” intraviste dal ricorrente nelle
dichiarazioni della persona offesa – che i giudici di merito hanno esaminato e
riscontrato stabili e coerenti – e fuorviante la lettura degli “accertamenti clinici”,
che non contrastano con gli esiti dell’esame obbiettivo, quali che fossero i valori
pressori riscontrati nella vittima. Illogiche e incongrue sono, invece, le riflessioni
sulla credibilità del teste Aloisi, la cui testimonianza non è sminuita dall’avere,
egli, querelato l’imputato proprio perché aggredito – a sua volta – nella
medesima circostanza; anzi, è proprio questo fatto che – come rimarcato dala
Corte di merito – conferisce maggiore spessore alla narrazione da lui fatta,
perché dimostra che era presente sui luoghi, ebbe una visione completa degli
accadimenti, ne rimase coinvolto per l’atteggiamento aggressivo di Zaccone,
sebbene non avesse motivi di contrapposizione con lui. Così come illogica e
incongrua è la pretesa di attribuire valore dirimente alla testimonianza della
moglie dell’imputato, interessata, molto più degli altri, alle sorti

dl

procedimento e intervenuta – secondo lo stesso ricorrente – “immediatamente

3

stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravarne,

dopo il fatto”: vale a dire, quando l’aggressione era già stata consumata e
nessuno – che non avesse avuto visione diretta della scena – sarebbe più stato
in grado di raccontarla.

2. Quanto alla legittima difesa, correttamente è stato escluso il pericolo attuFale
di un’offesa ingiusta, posto che Zaccone avrebbe potuto allontanarsi dai luoghi,
invece che colpire l’avversario. Del resto, eccentrica è l’invocazione della
“privacy” nella circostanza di cui si discute: il proprietario del “torrino” staia

sua proprietà. In tale condotta non v’è nulla di illecito, giacché il ‘diritto alla
riservatezza non è assoluto ma cede di fronte all’esercizio di altri diritti
costituzionalmente rilevanti, qual è il diritto di agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti, previa acquisizione della prova necessaria a farli valere, specie se la
prova consiste nel fotografare l’invasore nel mentre attenta alla

RaFttL;-

proprietà.
Le stesse ragioni – oltre che il carattere “macroscopico” della reazione e la
possibilità di tutelare la propria riservatezza allontanandosi dai luoghi,
sottolineati dalla Corte d’appello – escludono, parimenti, che potesse invocarsi nella specie – la provocazione.

3. Senza pregio sono anche le doglianze circa la denegata concessione delle
circostanze attenuanti generiche. I criteri impiegati dal giudice di merito ai fini di
tale diniego non possono essere sindacati in questa sede di legittimità; in quanto
non appaiono manifestamente inconferenti rispetto alle previsioni dell’art. 133
c.p., che, come affermato da costante giurisprudenza, delinea, sia pure in modo
non esclusivo, il perimetro entro il quale sono racchiusi gli elementi, oggettivi ‘e
soggettivi, che possono essere valutati ai fini dell’art. 62 bis c.p. (cfr. Cass., n.
3609 del 18/1/2011; Cass. Sez. 1^ 13/11/1997, Ingardia; Sez. 2^ 27/02/1997,
Zampilla; Sez. 1^, 6/10/1995, Biondo).
La Corte territoriale, proprio facendo leva sulla richiamata norma, pone l’accentó
sull’assenza di indici positivi (a parte l’incensuratezza, di per sé non decisiva) da
valutare a favore dell’imputato e sulla abnormità della reazione, che esclude ogni
più favorevole lettura dell’occorso. Trattasi di valutazione di merito che ; in
quanto immune da vizi logici, non è censurabile sotto il profilo della legittimità e
che è resa ancora più solida dall’applicazione della sola pena pecuniaria: segno
della ponderazione attuata dal giudice di merito tra le opposte istanze punitive e
della scelta “personalizzata” della sanzione.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisandosi profili di colpa
4

fotografando l’imputato per costituirsi la prova di una ritenuta invasione dell’a

nella proposizione del ricorso, al versamento di una somma a favore della Cassa
delle ammende che, in ragione dei motivi dedotti, si stima equo determinare in
Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille a favore della Cassa delle

Così deciso il 24/11/2015

ammende.

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