Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9509 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9509 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANTARINI FRANCESCO N. IL 22/06/1979
avverso la sentenza n. 3262/2013 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 09/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 24/11/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, per la parte civile, l’avv. Antonino Orsatti, che si è associato alle
richieste del Procuratore Generale.

RITENUTO IN FATTO

sezione distaccata di Atri, per rispondere dei reati di oltraggio e resistenza a
pubblico ufficiale – commessi in danno del vigile urbano Giampietro Matteo, che
lo aveva sanzionato in via amministrativa per violazione di regole della
circolazione stradale – e assolto in primo grado per insussistenza del fatto.
Proponevano appello il Pubblico Ministero ai fini penali e la parte civile
Giampietro Matteo ai fini civili. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del
9/6/2014, ha dichiarato inammissibile, per tardività, l’appello del Pubblico
Ministero e, in parziale riforma della sentenza di prima cura, ha ritenuto
l’imputato responsabile di ingiuria e minaccia e lo ha condannato al risarcimento
dei danni in favore della costituita parte civile.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Achille Ronda deducendo:
– l’inammissibilità dell’appello della parte civile per mancanza di procura speciale
in capo al difensore;
– l’inammissibilità dell’appello della parte civile, perché rivolto ad ottenere una
pronuncia di condanna ai fini penali;
– l’illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della responsabilità,
per essere stata ritenuta credibile la persona offesa nonostante sia stata
smentita dall’unico teste obiettivo esaminato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutte le doglianze sono manifestamente infondate.
1. La procura ad impugnare era stata conferita dalla persona offesa all’avv.
Cipollone in data 3/10/2012, con formula chiara e onnicomprensiva: “Il presente
mandato è conferito in ogni stato e grado del procedimento”. Evidente era,
pertanto, la volontà della parte di officiare il legale anche per l’appello.
2. L’appello della parte civile era chiaramente rivolto ad ottenere la riforma della
sentenza di primo grado nelle parte di suo interesse. Per perseguire questo
risultato doveva necessariamente insistere sulla responsabilità dell’imputato per
1
2

1. Cantarini Francesco veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Teramo,

il reato a lui attribuito, salvo prendere conclusioni limitate alla sfera risarcitoria,
come è in concreto avvenuto e come è stato rettamente interpretato dal
giudicante, che ha accolto il gravame ai soli effetti civili..
3. Le doglianze in ordine alla credibilità della persona offesa si sostanziano in
censure all’apparato motivazionale della decisione. Tali censure possono portare
all’annullamento della decisione allorché evidenzino incongruenze logiche nel
ragionamento del giudicante o la pretermissione di elementi di prova
univocamente rivolti in direzione contraria. Ai sensi del disposto di cui all’art. 606

devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale
vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è
manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica
valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione,
magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De
Francesco). Nella specie il ricorrente, se non oppone una diversa ricostruzione
dei fatti, non evidenzia neppure alcuna reale illogicità o incongruenza nel
ragionamento del giudicante, limitandosi a negare la credibilità del vigile e a dare
una diversa lettura delle dichiarazioni del teste Petrosino, di cui il giudice
d’appello ha tenuto, invece, espressamente conto per rilevare che, sebbene non
avesse udito particolari frasi minacciose od offensive rivolte al soggetto passivo,
«ha tuttavia confermato che quest’ultimo discuteva animatamente con
l’imputato e che costui, invitato dal primo a scendere dall’autovettura in cui si
trovava, proferì la frase: “Prendi il numero di targa che poi ne parliamo”» (pag.
3). Logicamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto riscontrata la versione
della persona offesa (seppur non fosse – in realtà – necessario alcun riscontro, ai
sensi dell’art. 192 cod. proc. pen.), dal momento che il teste Petrosino, pur non
udendo personalmente le frasi oltraggiose e minacciose attribuite a Cantarini, ha
confermato il contesto – delineato dalla vittima – in cui si sono svolti i fatti di
questo procedimento ed ha dato indiretta conferma dell’atteggiamento risentito e
insolente assunto dall’imputato nella circostanza di cui si discute.
A ciò si aggiunga che, provenendo le dichiarazioni della persona offesa da un
pubblico ufficiale ed avendo narrato fatti accaduti nel mentre svolgeva le sue
funzioni, correttamente la Corte d’appello ha attribuito particolare valore
probatorio alle stesse, per il credito che circonda – ex A e fino a prova contrria
– le dichiarazioni di chi si trova coinvolto, per dovere d’ufficio, in situazioni
conflittuali, da cui possono scaturire aggressioni alla sua persona.

La motivazione con la quale si è affermata la sussistenza della cdndotta
delittuosa dell’imputato è quindi tutt’altro che manifestamente illogica e a questa
Corte non è consentito un intervento in sovrapposizione ricostruttiva.

3

c.p.p., comma 1, lett. E), la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione

4.11 ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma
favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto della natura delle dogpanze
sollevate, si reputa equo quantificare in C 1.000, nonché alla rifusione ,delle
spese sostenute dalla parte civile – come da dispositivo – in questo grado di
giudizio.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende,
nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida
in complessivi C 1.500, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 24/11/2015

P.Q.M.

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