Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 946 del 12/12/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 946 Anno 2015
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: CONTI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Damassa Roberto, nato a Tivoli il 23/05/1950

avverso la ordinanza del 22/08/2014 del Tribunale di Roma

visti gli atti, la ordinanza denunziata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Conti;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
udito per il ricorrente il difensore avv. Vincenzo Sinopoli, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Roma, adito ex art. 310 cod.
proc. pen., confermava l’ordinanza in data 19 giugno 2014 con la quale il Giudice
per le indagini preliminari in sede aveva rigettato la domanda proposta da

Data Udienza: 12/12/2014

•1

Roberto Damassa di revoca o sostituzione della misura degli arresti domiciliari
applicatagli dal medesimo G.i.p. con ordinanza del 28 febbraio 2014 in ordine ai
reati di cui agli artt. 319 cod. pen. e 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Rilevava il Tribunale che, come osservato nel provvedimento impugnato, la
domanda non conteneva alcun elemento di novità rispetto a quanto già valutato
appena pochi mesi prima in sede di applicazione della misura, continuando a
persistere un concreto pericolo di reiterazione di analoghi fatti corruttivi non
contenibile con una misura di tipo non custodiale. Infatti, il Damassa, già

pur essendo in stato di quiescenza, delle sue relazioni con dirigenti e impiegati di
quella società per ulteriori iniziative corruttive analoghe a quelle, di particolare
gravità, che gli erano state addebitate, secondo un ben sperimentato modus
operandi.

Osservava ancora il Tribunale che erano stati già precedentemente
considerati, nel senso della esclusione di un pericolo di fuga, gli elementi su cui
si fondavano le deduzioni difensive svolte in sede di giudizio di appello proposto
dal P.m. avverso l’applicazione della misura non carceraria, incentrati in
particolare sul fatto che il Damassa, trovandosi all’estero al momento della
perquisizione domiciliare, aveva fatto spontaneamente rientro in Italia
mettendosi a disposizione dell’a.g.; ma tale condotta non era rilevante ai fini
della valutazione del periculum libertatis di cui alla lettera e) dell’art. 274,
comma 1, cod. proc. pen.

2. Ricorre per cassazione il Damassa, a mezzo del difensore avv. Vincenzo
Sinopoli, che con un primo motivo denuncia il vizio di motivazione in punto di
sussistenza del pericolo di reiterazione di condotte criminose, non essendosi
considerato adeguatamente che all’indagato era stato addebitato un unico fatto,
peraltro di modesta gravità e riferito a circa due anni addietro; che egli era
persona incensurata; che era tornato spontaneamente in Italia dall’estero; che
aveva trascorso circa sei mesi agli arresti domiciliari senza dare adito a rilievi di
alcun tipo; e che comunque non sussisteva alcune concreto indizio dal quale
desumere che egli avrebbe potuto sfruttare in futuro relazioni maturate nel
precedente ambiente lavorativo.
Con un secondo motivo si contesta l’esattezza del rilievo del Tribunale circa
l’assenza di elementi di novità degni di considerazione, posto che solo con la
istanza oggetto della presente procedura l’indagato aveva potuto dedurre il fatto
rilevante del suo spontaneo rientro in Italia, e che il Tribunale avrebbe dovuto

dipendente di Equitalia, se posto in stato di libertà, avrebbe potuto approfittare,

dare rilievo alla corretta condotta tenuta dal medesimo successivamente
all’applicazione della misura cautelare.
Successivamente il medesimo difensore, in data 4 dicembre 2014, ha
depositato atto di indagine difensiva attestante che il presunto corrotto,
Giuseppe Dionisi, all’epoca dei fatti non ricopriva più la carica di Sindaco di
Equitalia Giustizia s.p.a.

1. Il ricorso appare manifestamente infondato.

2.

La tesi della cessazione della esigenza cautelare del pericolo di

reiterazione di analoghi fatti corruttivi da un lato si appiglia alla mancata
valorizzazione del rientro spontaneo in Italia del Damasso non appena avuta da
lui cognizione della esistenza di un procedimento penale a suo carico, dall’altro fa
riferimento alla unicità e non gravità del fatto contestato, di risalente
collocazione temporale, allo stato di persona incensurata, allo stato di quiescenza
che avrebbe impedito ulteriori contatti con l’ambiente Equitalia, al buon
comportamento tenuto dall’imputato nel corso della applicazione della misura
domiciliare.

3. Si tratta tuttavia di elementi che, come esattamente posto in rilievo dal
Tribunale, erano stati tutti puntualmente valutati pochi mesi addietro o in sede di
applicazione della misura o nel successivo giudizio di impugnazione.
Ciò vale anche per il dato dello spontaneo rientro in Italia, nulla rilevando
che esso sia stato preso in considerazione, su deduzione della difesa, nel
procedimento di appello instaurato dal P.m. avverso l’ordinanza applicativa che
aveva ritenuto appropriata la misura domiciliare in luogo di quella carceraria
richiesta dall’organo dell’accusa. D’altro canto, questo ultimo elemento, come
condivisibilmente osserva l’ordinanza impugnata, è stato ritenuto significativo
per escludere il pericolo di fuga, essendo invece di scarso o nullo rilievo ai fini
della valutazione circa l’esigenza cautelare di cui alla lettera

c) dell’art. 274,

comma 1, cod. proc. pen.
Correttamente, dunque, l’ordinanza impugnata ha ritenuto insussistenti fatti
nuovi idonei nel senso di una rivalutazione della predetta esigenza cautelare.
E’ appena il caso di rilevare che non può essere preso in alcun modo in
considerazione in questa sede l’atto di indagine difensiva prodotto in occasione

CONSIDERATO IN DIRITTO

o

della presente udienza, che potrà essere eventualmente rappresentato dalla
difesa, ove ritenuto rilevante, davanti al giudice del merito cautelare.

4. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle
ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si ritiene equo contenere in
mille euro.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 12/12/2014.

P.Q.M.

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