Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9459 del 06/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9459 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Venere Anselmo, nato a Taranto il 22/04/1969,

avverso l’ordinanza del 19/05/2015 del Tribunale della libertà di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Anselmo Venere ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del
19/05/2015 del Tribunale di Lecce che ha applicato nei suoi confronti la misura
degli arresti domiciliari così parzialmente modificando il provvedimento del
14/04/2015 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che,
sulla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato, tra gli altri, di
associazione per delinquere di cui all’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,
aveva applicato nei suoi confronti la misura coercitiva personale della custodia
cautelare in carcere.

Data Udienza: 06/11/2015

1.1.Con unico, articolato motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed
e), cod. proc. pen., il malgoverno degli artt. 74, commi 1, 2, 3 e 4, d.P.R. n. 309
del 1990, e 273, cod. proc. pen., e in ogni caso la mancanza e/o l’illogicità della
motivazione circa la sussistenza dell’associazione per delinquere di cui all’art 74,
d.P.R. cit., e della circostanza aggravante di cui al quarto comma.
Sulla premessa che l’ipotizzato sodalizio sarebbe composto, secondo i
Giudici della cautela, dal ricorrente stesso (con funzioni apicali), da Venere
Ermes e da Casucci Nicola (nipoti di Venere Anselmo), lamenta la mancanza,

per un primo profilo perché al Casucci non è stato contestato alcun reato-fine (il
che già di per sé escluderebbe, a suo dire, il vincolo associativo); b) per un
secondo profilo perché in ogni caso la stessa ordinanza impugnata ritiene
sufficientemente dimostrato l’effettivo coinvolgimento del Casucci
nell’associazione in questione in base ad una sola conversazione intercorsa il
29/05/2014 anche se dal contenuto non univocamente riconducibile alle attività
oggetto dell’ipotizzato sodalizio, bensì ad altra associazione
“semplice” (ipotizzata in altra contestazione) della quale il Casucci faceva parte.
Inoltre, conclude, l’ordinanza impugnata non motiva la sussistenza della
circostanza aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è inammissibile per i motivi di seguito indicati.

3.0sserva preliminarmente il Collegio che la mancata esecuzione dei reatifine non è circostanza che possa di per sé escludere la partecipazione alla
associazione per delinquere, di qualunque tipo essa sia. Sul piano descrittivo, la
fattispecie incriminatrice dell’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, richiede
esclusivamente una condotta di partecipazione che è di per sé sola sufficiente ad
integrare il delitto che è, come costantemente insegnato da questa Suprema
Corte, a “forma libera”, integrabile cioè da un qualunque comportamento non
tipizzato nel modo, purché causale rispetto all’evento tipico, che apporti cioè un
contributo, ancorché minimo ma non insignificante alla vita della struttura ed in
vista del perseguimento del suo scopo (Sez. 1, n. 2111 del 27/01/1986, Scala,
Rv. 172146; Sez. 1, n. 8064 del 24/06/1992, Alfano, Rv. 191309).
Ne è stata tratta la conseguenza, a fini dimostrativi della partecipazione ad
un sodalizio criminale, della irrilevanza della mancanza di prova della
consumazione del partecipe dei reati-fine (Sez. 2, 24194 del 16/03/2010,
Bilancia, Rv. 247660; Sez. 1, n. 33033 del 11/07/2003, Vitello; si veda anche
Sez. 5, n. 18837 del 05/11/2013, Corso, Rv. 260920), e, per converso, del

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sotto un duplice profilo, dei gravi indizi di sussistenza dell’associazione stessa: a)

carattere non transitivo della prova della consumazione di più reati-fine a scopi
immediatamente dimostrativi dell’appartenenza al sodalizio (si veda, da ultimo,
Sez. 1, n. 29959 del 05/06/2013, Amaradio, Rv. 256200).
La condotta di “partecipazione” è dunque strutturalmente impermeabile alla
consumazione del “reato-fine”. E del resto, specularmente, costituisce principio
consolidato che, in materia di reati associativi, il ruolo di partecipe – anche in
posizione gerarchicamente dominante – da taluno rivestito nell’ambito della
struttura organizzativa criminale non è di per sé solo sufficiente a far presumere,

probatoria dell’accertamento della responsabilità concorsuale, quel soggetto
automaticamente responsabile di ogni delitto compiuto da altri appartenenti al
sodalizio, sia pure riferibile all’organizzazione e inserito nel quadro del
programma criminoso; dei delitti fine rispondono soltanto coloro che
materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente
rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta
delittuosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel
reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione
di qualsiasi forma di anomala responsabilità di “posizione” o da “riscontro
d’ambiente”, con la quale si pretende di riferire all’associato il reato fine che si
ha prova di collegare all’associazione, siccome compreso nel programma
generico dell’organizzazione (così Sez. 1, n, 1988 del 22/12/1997, Nikolic, Rv.
209846; per una più recente affermazione sul punto, cfr. Sez. 1, n. 24919 del
23/04/2014, Attanasio, Rv. 262305).
La questione posta dal ricorrente si risolve perciò esclusivamente
nell’attitudine degli elementi di prova utilizzati dal Giudici del riesame a
dimostrare (sia pure a livello gravemente indiziario) la partecipazione del Casucci
al sodalizio ipotizzato e, dunque, la sussistenza del sodalizio stesso.
Sotto questo profilo il ricorrente non contesta che oggetto della
conversazione intercorsa il 29/05/2014 con i nipoti Ermes e Nicola (Casucci)
riguardasse la pianificazione e programmazione della fornitura di sostanza
stupefacente che quest’ultimo avrebbe dovuto procurare presso un fornitore dal
quale il ricorrente stesso reputava ormai pericoloso continuare a rifornirsi.
Egli contesta l’attitudine di tale conversazione a dimostrare in modo univoco
la partecipazione anche del Casucci all’attività di narcotraffico posta in essere
insieme con il Venere Ermes e deduce il possibile riferimento delle parti ritenute
in tal senso più qualificanti della conversazione alla diversa attività associativa
finalizzata alla commissione di delitti contro il patrimonio che vedeva certamente
coinvolto anche il Casucci.
Il rilievo, così come articolato, non è ammissibile.

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in forza di un inammissibile ed approssimativo criterio di semplificazione

I Giudici del riesame hanno interpretato le seguenti frasi profferite dal
ricorrente nel corso della conversazione: «noi andiamo camminando come i
pazzi, cioè noi andiamo a rischiare, capito? Tutto quello che andiamo facendo…
sono tutte cose da prendere sempre in considerazione che qua a noi ci chiudono!
», come un chiaro riferimento al traffico di stupefacenti organizzato in modo
stabile e continuativo e un richiamo alla necessità di agire con la massima
prudenza.
Questa Corte ha più volte spiegato che l’interpretazione e la valutazione del

questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui
apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti
della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono
recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del
11/12/2007, Rv. 239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6,
n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv.
258164; cfr., da ultimo, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
In sede di legittimità, inoltre, è possibile prospettare una interpretazione del
significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito
solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di
merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la
difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv.
259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del
17/10/2007, Rv. 237994).
Di fatto il ricorrente propone una inammissibile lettura alternativa del
contenuto del dialogo intercettato non giustificata da alcuna palese illogicità
esclusa dalla circostanza che la frase conclude una conversazione nel corso della
quale si stava valutando la pericolosità dell’operazione del trasporto della droga
direttamente da parte del Casucci (che avrebbe dovuto attraversare l’intera città
di Taranto con la droga a bordo della propria motocicletta, ipotesi che il
ricorrente non approvava) e la possibilità che di ciò si occupassero i fornitori
stessi, ritenuti oltretutto capaci anche di delazioni e dunque pericolosi.

4.E’ inammissibile, per mancanza di interesse, il secondo motivo di ricorso.
Va ricordato l’autorevole insegnamento di questa Suprema Corte secondo il
quale nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non
può essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni
civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa
come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una
prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto
legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da
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contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche costituisce

una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità,
ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e
che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del
27/10/2011, Marinaj, Rv. 251693). Ne consegue che vi è carenza di interesse sia
al riesame sia al ricorso per cassazione quando con essi l’indagato tenda ad
ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, salvo che da tale esclusione
derivi, per lui, una concreta utilità (Sez. 6, n. 50980 del 21/11/2013, Fabricino,
Rv. 258502; Sez. 5, n. 45940 del 09/11/2005, Oberto, Rv. 233219).

circostanza aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, non
produce effetti oltre il procedimento incidentale e che non incide sui termini di
durata massima della custodia cautelare, rileva il Collegio che i Giudici del
riesame non traggono dal carattere armato dell’associazione alcuna particolare
conseguenza pregiudizievole per il ricorrente che possa essere rimossa con
l’invocato annullamento.
Il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 06/11/2015

Orbene, fermo restando che la affermazione della sussistenza della

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