Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9458 del 06/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9458 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ACETO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cappuccini Giovanni, nato a Fermignano il 29/04/1954,

avverso l’ordinanza del 20/03/2015 del Tribunale della libertà di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Corasaniti, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’avv. Roberto Brunelli che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.11 sig. Giovanni Cappucini ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del
20/03/2015 del Tribunale di Ancona che ha respinto l’appello cautelare proposto
avverso il provvedimento del 11/02/2015 del Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Urbino che, sulla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza dei reati di cui agli artt. 56, 323 e 351, cod. pen. e dell’esigenza
special-preventiva di impedirne la reiterazione, aveva applicato nei suoi confronti

Data Udienza: 06/11/2015

la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di dirigente del
servizio igiene e sanità pubblica dell’Azienda Sanitaria ASUR n. 1.
Si contesta al ricorrente di aver posto in essere atti idonei diretti in modo
non equivoco a procurare intenzionalmente alla società «La Galvanina
S.p.a.» un ingiusto vantaggio patrimoniale mediante la revoca dell’ordinanza
contingibile ed urgente n. 23 del 05/08/2013 con cui il Sindaco del Comune di
Apecchio aveva ordinato alla società suddetta di rimuovere e smaltire i rifiuti
contenenti amianto, dalla stessa precedentemente interrati. La condotta ascritta

convalidato dai Giudici della cautela, attraverso comportamenti (interventi diretti
e personali) e atti (l’adozione di una nota, datata 26/08/2013, indirizzata al
Sindaco) volti a indurre quest’ultimo a revocare l’ordinanza suddetta e a
procurare, di conseguenza, alla «La Galvanina S.p.a.» (al cui legale
rappresentante era legato da rapporti di frequentazione documentati e non
contestati) l’ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dal risparmio di spesa
ottenuto evitando l’esecuzione dei lavori.
Al ricorrente viene altresì contestato di essersi attivato per ostacolare le
indagini del N.O.E. C.C. e, in particolare, di aver consegnato la documentazione
amministrativa, rilevante ai fini delle indagini, a persona estranea alla Pubblica
Amministrazione (nella specie il proprio difensore).
La sussistenza delle esigenze cautelari, infine, è stata tratta dalla gravità
della condotta complessivamente tenuta, ritenuta indice di un modo di
interpretare il

“munus publicum” tale da rendere concreto il pericolo di

reiterazione del reato.
1.1.Con il primo motivo il Cappuccini eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b)
ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’allegato 3, D.M. 6 settembre
1994 e illogicità della motivazione sul punto.
Sulla premessa che il proprio comportamento è successivo all’interramento
dei rifiuti, all’intervento del N.O.E. e all’ordinanza sindacale n. 23 del 2013,
lamenta l’interpretazione che della vicenda è stata data dal Tribunale di Ancona
secondo il quale, trattandosi di mero smaltimento di rifiuti (e non di bonifica),
non si applicherebbe alla fattispecie il citato decreto ministeriale che consente
invece il confinamento dei rifiuti nel sito sotterraneo allo stabilimento, come da
lui coerentemente proposto nella nota del 26 aprile 2013.
1.2.Con il secondo motivo eccepisce l’erronea applicazione degli artt. 323, e
351, cod. pen., e vizio di motivazione apparente in ordine alla loro astratta
configurabilità.
Denuncia, quanto all’ipotizzato tentativo di abuso d’ufficio, che il Tribunale
ha ritenuto penalmente rilevante un parere dato a procedimento ormai concluso,
con il quale aveva invitato il sindaco a modificare i presupposti e le motivazioni

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al ricorrente è stata posta in essere, secondo l’editto accusatorio provvisorio

dell’ordinanza. Ma quand’anche quest’ultima fosse stata revocata, il relativo
provvedimento sarebbe rimasto atto proprio del sindaco, e ciò a prescindere dal
fatto che in ogni caso manca la prova dell’elemento intenzionale.
Quanto al reato di cui all’art. 351, cod. pen., eccepisce che si era
semplicemente limitato a consegnare i documenti al proprio avvocato,
circostanza del resto nota all’intero ufficio.
1.3.Con il terzo motivo eccepisce la mancanza di motivazione circa la
sussistenza delle esigenze cautelari, non assolta dal generico riferimento al fatto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso, pur fondato, è tuttavia inammissibile per sopravvenuta carenza
di interesse.

3.A1 fine di comprendere meglio la vicenda in esame è necessario
ricostruirne – secondo quanto incontestabilmente risulta dal provvedimento
impugnato e dalle stesse allegazioni difensive – i passaggi più importanti, che
possono essere così sintetizzati:
a)con ordinanza n. 53 del 08/11/2012 il Sindaco del Comune di Apecchio
aveva ordinato alle società «La Galvanina S.p.a.» e «Elle S.r.l.» (e ad
altre società) lo smaltimento delle macerie, contenenti amianto, residuate dal
crollo dei tetti dei relativi stabilimenti, crollo provocato dalle abbondanti nevicate
di quell’anno;
h)tale smaltimento avrebbe dovuto essere realizzato mediante la raccolta
manuale delle lastre di eternit e il tombamento del residuo materiale, secondo
modalità – si legge nell’ordinanza impugnata – stabilite dal Cappuccini, ancorché
non condivise dagli Enti componenti il tavolo tecnico che doveva occuparsi della
vicenda, ed anzi ad esso contrarie (anche se, annota il Tribunale di Ancona,
dell’adozione di tale ordinanza risponde il solo Sindaco di Apecchio e non anche il
ricorrente);
c)il NOE CC di Ancona accertò che, invece, la società «La Galvanina
S.p.a.» aveva interrato i rifiuti senza separarli dall’amianto, e sollecitò di
conseguenza l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente n. 23 del
05/08/2013 con cui il Sindaco di Apecchio avrebbe poi ordinato alla «La
Galvanina S.p.a.» la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti;
d)il successivo 26/08/2013, con un documento indirizzato alla Regione
Marche e al Sindaco di Apecchio, il ricorrente (facendo leva – si legge
nell’ordinanza impugnata – su riferimenti normativi imprecisi) aveva sollecitato la
revoca o comunque la modifica dell’ordinanza sindacale.
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che egli potesse (testualmente) “tornare alla carica” con il Sindaco.

Questo atto integra, a parere dei giudici cautelare, l’ipotizzato tentativo di
abuso di ufficio.
3.1.11 ricorrente deduce l’applicabilità alla fattispecie dell’allegato 3, D.M.
Min. Sanità 6 settembre 1994 che descrive le tecniche di bonifica dell’amianto
(dalla sua rimozione, all’incapsulamento, al confinamento) e fornisce le
indicazioni per la scelta del metodo da utilizzare.
3.2.0sserva il Collegio che tali soluzioni presuppongono l’incorporazione
dell’amianto nella struttura fissa da bonificare e non si applicano ai casi in cui

esame, la struttura incorporante. In tal caso, infatti, l’amianto costituisce rifiuto
speciale pericoloso, soggetto solo a smaltimento e non più a “bonifica”.
3.3.11 rilievo, dunque, è infondato.
3.4.E’ invece fondata l’eccezione relativa alla non configurabilità, nel caso in
esame, del tentativo di delitto di abuso d’ufficio.
3.5.1n termini generali ed astratti il reato di abuso di ufficio tentato sussiste
ogni volta che il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) ponga in
essere, in violazione di legge o di regolamento o del dovere di astensione, atti
idonei diretti in modo non equivoco a cagionare ad altri un danno ingiusto o
beneficiare altri di un vantaggio patrimoniale ingiusto che non si realizzano per
cause estranee alla volontà dell’autore della condotta (cfr. sul punto Sez. 6, n.
10136 del 24/06/1998, Ottaviano, Rv. 211567; Sez. 6, n. 26617 del
01/04/2009, Masella, Rv. 244465).
3.6.Non v’è dubbio, pertanto, che integra il reato (anche nella forma tentata
se l’evento non si realizza) consentire a un privato di smaltire rifiuti con modalità
vietate dalla legge che gli consentono di lucrare sui relativi risparmi.
3.7.L’ordinanza, peraltro, dà ampiamente conto dei rapporti personali che
intercorrevano tra il pubblico ufficiale ed il privato (rapporti che il ricorrente
nemmeno menziona, quantomeno per confutarli) per cui non è affatto
irragionevole desumerne l’intenzionale asservimento del pubblico ufficio agli
interessi privati del beneficiario della condotta.
3.8.Quando però, il pubblico ufficiale non sia l’autore del provvedimento che
attribuisce direttamente al beneficiario l’ingiusto vantaggio (o l’ingiusto danno) la
sua condotta può essere valutata, anche ai fini del tentativo, solo sotto il profilo
del concorso nel reato che può assumere la forma del concorso materiale (se egli
confeziona o predispone materialmente la minuta del provvedimento ovvero il
provvedimento stesso poi sottoposto alla firma del pubblico ufficiale competente
ad emetterlo) o di quello morale, poiché il pubblico ufficiale concorre in tal modo
a manifestare la volontà della pubblica amministrazione mediante l’adozione
degli atti del procedimento prodronnici alla emissione del provvedimento finale.

non vi sia più nulla da bonificare per essere andata distrutta, come nel caso in

3.9. In quest’ultimo caso, però, non è sufficiente che il pubblico ufficiale o
l’incaricato di pubblico servizio adotti un atto del procedimento finalizzato ad
orientare la decisione finale nella segreta speranza del successo della propria
iniziativa; é necessario che il proposito criminoso sussista anche nel pubblico
ufficiale autore principale (Sez. 6, n. 36125 del 13/05/2014, Minardo, Rv.
260235; Sez. 6, n. 15116 del 25/02/2003, Gueli, Rv. 224690). Ove il pubblico
ufficiale competente a emettere il provvedimento finale non sia già animato da
alcun intento criminoso, il parere o la proposta di adozione del provvedimento

accolta. In mancanza di prova dell’accordo collusivo la proposta di adozione del
provvedimento illegittimo resta tale, non integra il tentativo punibile di abuso
d’ufficio ed é penalmente irrilevante.
3.10.Sono invece infondate le censure relative alla insussistenza del reato di
cui all’articolo 351, cod. pen.. Non ha i a tal fine alcun rilievo la circostanza
(peraltro di natura fattuale) che la documentazione fosse stata consegnata al
proprio difensore, sia perché si tratta di persona comunque estranea alla
pubblica amministrazione, sia perché – ove con tale deduzione si voglia
sottintendere la liceità del fine – il reato é punito a titolo di dolo generico.
Nemmeno rileva la circostanza (anche essa fattuale) che tutti fossero a
conoscenza della “sottrazione” della documentazione perché ciò non esclude
l’offensività della condotta integrata ogniqualvolta il bene sia sottratto per un
periodo di tempo apprezzabile dal luogo in cui è custodita.

4.t fondato l’ultimo motivo di ricorso.
I giudici del riesame ricavano la sussistenza delle esigenze cautelari specialpreventive dalla gravità della condotta e dal modo con cui il ricorrente interpreta
il proprio ufficio pubblico.
Non v’è dubbio (e questa Corte lo ha detto più volte) che il pericolo, attuale
e concreto, di reiterazione del reato possa essere ricavato anche dalle sole
modalità della condotta; occorre tuttavia una motivazione adeguata che non si
limiti a ricavare l’esigenza cautelare dal sol fatto di aver commesso il reato. Si
tratterebbe, come nel caso in esame, di una motivazione tautologica.
Tanto più che deve essere esclusa la sussistenza di uno di essi.
Sennonché, l’intera misura interdittiva risulta già eseguita alla data
dell’odierna udienza, rendendo del tutto superfluo l’annullamento del
provvedimento impugnato, non sussistendo alcun interesse del ricorrente
all’accertamento “postumo” della legittimità del titolo cautelare, atteso che alle
misure interdittive non si estende l’istituto della riparazione per ingiusta
detenzione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., il quale giustifica la persistenza di
uno specifico e concreto interesse all’impugnazione in caso di cessazione

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stesso, ove non accolta, dovrà essere valutata alla stregua di un’istigazione non

dell’operatività della misura (Sez. 5, n. 42839 del 16/05/2014, Oliani, Rv.
260761; Sez. 6, n. 9479 del 10/11/2009, Barnabà, Rv. 246523).
Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile senza
condanna del ricorrente al pagamento delle spese e dell’ammenda (Sez. 6, n.
19209 del 31/01/2013, Scaricaciottoli, Rv. 256225; Sez. U, n. 7 del 25/07/1997,
Chiappetta, Rv. 208166).

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso il 06/11/2015

P.Q.M.

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