Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9418 del 16/02/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9418 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Oloyede Christ, nato in Nigeria il 10/03/1975

avverso la sentenza del 21/11/2013 della Corte di appello dell’Aquila

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Anna Criscuolo;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21/11/2013 la Corte di appello dell’Aquila, in parziale
riforma della sentenza emessa il 13/12/2011, all’esito del giudizio abbreviato,
dal G.u.p. del Tribunale di Pescara nei confronti di Oloyede Christ erroneamente indicato in Oleyede Christ, nato in Nigeria il 13/03/1075-,
derubricato il delitto di rapina nel delitto di cui all’art.393 cod. pen., ha
condannato l’imputato alla pena di mesi sei di reclusione, confermando nel resto
la sentenza di primo grado.

Data Udienza: 16/02/2016

L’imputato era stato ritenuto responsabile della rapina commessa in danno
di Osagie John, suo debitore, al quale, dopo aver sottratto gli oggetti in oro
indossati ed il cellulare, aveva cagionato lesioni, giudicate guaribili in giorni
sette, colpendolo con calci e pugni e spingendolo fuori dall’autovettura.
Identificato su indicazione della persona offesa, l’imputato aveva prelevato dalla
propria abitazione e consegnato agli operanti tutti i beni sottratti al denunciante.
Il giudice di primo grado aveva escluso la possibilità di qualificare il fatto ai
sensi dell’art.393 cod. pen. alla luce delle violente modalità del fatto e della

recuperare il credito dovutogli dalla persona offesa; tuttavia, avuto riguardo al
comportamento collaborativo dell’imputato ed alla lieve entità delle lesioni subite
dalla vittima, gli aveva riconosciuto le attenuanti generiche con giudizio di
prevalenza sulla recidiva contestata, e, applicato l’aumento per la continuazione
ed operata la diminuente di rito, lo aveva condannato alla pena di un anno e sei
mesi di reclusione e 300,00 euro di multa.
In sede di appello il difensore dell’imputato aveva contestato l’attendibilità
della persona offesa per incompatibilità tra la dinamica dell’aggressione descritta
e le lievi lesioni riportate ed aveva chiesto la diversa qualificazione giuridica del
fatto, risultando incontestato il debito e chiara la finalità dell’azione, diretta a
recuperare il credito.
Respinte le censure in punto di attendibilità della persona offesa e
condivisa la valutazione del giudice di primo grado in ordine alla qualificazione
giuridica del fatto in ragione della particolare violenza della condotta,
sproporzionata rispetto al fine dell’esercizio del diritto, la Corte di appello aveva
confermato la sentenza di condanna, anche in relazione alla pena, ma, ritenuto
fondato il secondo motivo di impugnazione, aveva riqualificato il fatto ai sensi
dell’art.393 cod. pen e condannato l’imputato per detto reato alla pena di mesi
sei di reclusione, confermando nel resto la sentenza.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello ricorre il difensore
dell’imputato, che ne chiede l’annullamento per mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen.
e per erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.606 lett. b) cod.
proc. pen.
Con il primo motivo il difensore deduce la mancanza di motivazione
sull’attendibilità della persona offesa in ordine alla ricostruzione del fatto,
desunta esclusivamente dalla certificazione medica, che, invece, dimostra
l’inverosimiglianza della versione resa dalla vittima, atteso che proprio la tenuità
delle lesioni è incompatibile con la violenza dell’aggressione descritta (calci e
pugni ed una spinta all’esterno dell’esterno dell’autovettura, al cui sportello la

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sproporzione tra la violenza posta in essere e l’intento perseguito dall’imputato di

vittima si era aggrappata, mentre il veicolo riprendeva la marcia, procedendo a
zig zag).
Censura, inoltre, la contraddittorietà della motivazione, che, da un lato,
condivide la valutazione del giudice di primo grado quanto all’incompatibilità di
condotte dotate di particolare violenza con il delitto di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, dall’altro, la smentisce, riqualificando il fatto proprio in tali
termini. Censura l’illogicità della decisione in punto di rideterminazione della
pena, in quanto, pur confermando il concorso tra i reati, ridetermina la pena per

persona, confermando nel resto la sentenza, senza spiegare in modo preciso il
calcolo della pena.
Con il secondo motivo deduce l’improcedibilità dell’azione penale per
entrambi i reati per mancanza di querela.
In udienza il PG ha concluso per l’annullamento della sentenza con rinvio e
ha richiesto la trasmissione di copia della sentenza al proprio ufficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
La contraddittorietà della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica
del fatto è palese e risultante “per tabulas”.
Dalla motivazione della sentenza risulta che la Corte di appello ha,
dapprima, dichiarato infondato l’appello, precisando, quanto alla qualificazione
giuridica del fatto, di condividere la valutazione del Tribunale, che aveva ritenuto
incompatibili con la fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni le
condotte connotate da particolare virulenza, sproporzionate rispetto al fine
dell’esercizio del diritto, affermando testualmente “come è certo nel caso di
specie, nel quale il prevenuto ha colpito la vittima con calci e pugni tanto da
cagionargli lesioni”. Ha, quindi, confermato la sentenza di condanna, anche in
relazione alla pena, attestata sul minimo edittale.
Ma subito dopo ha smentito la tesi, pervenendo alla soluzione opposta. Ha,
infatti, ritenuto fondato l’appello quanto al motivo subordinato, attinente proprio
alla qualificazione del fatto.
Dopo aver premesso che la persona offesa aveva ammesso di essere
debitrice del prevenuto e rispondente al vero che questi si era impossessato
degli oggetti di cui all’imputazione per rientrare del suo credito e vi era
proporzione tra esso e lo scarso valore degli oggetti in questione, la Corte ha
ritenuto non condivisibile la valutazione del Tribunale, riferibile ai casi di
condotte violente esorbitanti e gratuite, ben diverse da quella posta in essere dal
prevenuto con l’esercizio di una violenza limitata, che non aveva causato

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il solo reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza alla

conseguenze particolarmente serie alla persona offesa ed era chiaramente
funzionale ad assicurare la definitiva disponibilità del compendio sottratto per il
recupero del credito. Qualificato, pertanto, il fatto nel meno grave delitto di cui
all’art.393 cod. pen., che concorreva con il reato di lesioni, ha rideterminato la
pena per il reato ritenuto in mesi sei di reclusione, confermando nel resto la
sentenza.
Anche in ordine a tale profilo il ricorso è fondato, in quanto nella sentenza
impugnata manca ogni indicazione dei criteri di calcolo adottati, non risultando

sia la pena per il concorrente reato di lesioni.
Invero, il giudice di primo grado aveva determinato la pena per entrambi i
reati originariamente contestati e, ritenuto più grave il delitto di rapina ed i reati
unificati dal vincolo della continuazione, aveva riconosciuto all’imputato le
attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla recidiva contestata,
applicato l’aumento per la continuazione ed operato la diminuzione per il rito.
La valutazione frazionata operata dalla Corte di appello per i due reati rende
oscura ed indeterminata la pena in concreto irrogata, atteso che, a seguito della
riqualificazione operata, più grave in astratto è proprio il delitto di lesioni
aggravato dal nesso teleologico, che la Corte ha ritenuto concorrere con il delitto
riqualificato.
2. E’, invece, infondato il secondo motivo di ricorso, in quanto l’aggravante
del nesso teleologico è astrattamente configurabile anche se in relazione al reato
fine debba applicarsi una causa di non punibilità o di estinzione o di
improcedibilità, essendo giustificata dal rapporto che lega la commissione dei
due reati e dalla maggiore pericolosità dimostrata dall’agente – v. Sez. 2,
n.31038 del 4/06/2008, che ha ritenuto idonea ad elidere il nesso di
preordinazione tra reato strumentale e reato fine solo l’aboltio criminis di
quest’ultimo, e Sez. 5, n.13546 del 10.2.2015, Rv. 263083, che ha ritenuto
corretta la sentenza di condanna per il reato di lesioni personali aggravate da
connessione teleologica, nonostante la dichiarazione di estinzione, per
remissione di querela, del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con
violenza sulle persone -.
Ferma la facoltà dell’ufficio di Procura di acquisire copia della sentenza
impugnata, per le ragioni illustrate deve pervenirsi all’annullamento della
sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di
Perugia.

P.Q.M.

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ov-i

chiarito né il modo in cui si perviene a detta determinazione della pena né quale

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di
Perugia.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2016

Il Presidente

Il Consigliere tensore

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