Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9409 del 09/12/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 9409 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
CERATO ALCIDE, nato il 11/02/1939
D’ANTONI RICCARDO, nato il 28/04/1970
.PANZARINO FRANCESCO, nato il 14/8/1967
CAVALETTI MAURIZIO, nato il 21/07/1963
GANZERLI DANIELE, nato il 11/05/1952
CANEO FRANCO, nato il 26/09/1953
CUSIMANO ROBERTO, nato il 25/01/1977
LO VERDE FRANCESCO, nato il 02/06/1966
LO VERDE TITO, nato il 02/02/1963
MARTINAZZOLI DOMENICO, nato il 12/01/1958
MERELLO GIOVANNI CAMILLO ALESSANDRO, nato il 28/05/1953
PRECIPUO GILBERTO, nato il 23/07/1957
VALENTE FRANCO DANILO, nato il 21/11/1954
ZANELLATO FRANCO, nato il 27/02/1959
avverso la sentenza n. 2587/2014 pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano il 26/11/2014;
visti gli atti, la sentenza impugnata, i ricorsi, i motivi nuovi presentati nell’interesse di
Panzarino Francesco il 19/11/2015 e le memorie depositate nell’interesse Ganzerli Daniele e
Martinazzoli Domenico 1’11/11/2015 e di Cerato Alcide il 23/11/2015;
udita la relazione del consigliere Stefano Mogini;
udito il sostituto procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso per l’annullamento

Data Udienza: 09/12/2015

con rinvio dell’impugnata sentenza limitatamente alla data dei fatti di corruzione propria
contestati in continuazione e rigetto di tutti i ricorsi nel resto;
uditi gli avvocati Andrea Castaldo per Cerato Alcide, Marco De Giorgio per Lo Verde
Francesco e Tito, Paolo Alberto Antimiani per D’Antoni Riccardo, Claudio Marcone per Caneo
Franco, Cusimano Roberto, Zanellato Franco, e, in sostituzione dell’avvocato Angelo Leone,

Ritenuto in fatto

1. Cerato Alcide, D’Antoni Riccardo, Panzarino Francesco, Cavaletti Maurizio, Ganzerli
Daniele, Caneo Franco, Cusimano Roberto, Lo Verde Francesco, Lo Verde Tito, Martinazzoli
Domenico, Merello Giovanni Camillo Alessandro, Precipuo Gilberto, Valente Franco Danilo e
Zanellato Franco ricorrono avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte d’Appello di
Milano, in riforma di quella pronunciata il 21.12.2012 dal Tribunale di Milano, li ha assolti dal
reato di associazione per delinquere a loro contestato al capo 110 della rubrica e ha
confermato il giudizio di penale responsabilità emesso nei loro confronti in primo grado in
ordine ai reati di corruzione propria di incaricato di pubblico servizio (art. 319, 320 c.p.) e di
rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326, comma 1, c.p.) a loro rispettivamente contestati,
nonché, limitatamente ad Alcide Cerato, per il reato di falso a lui ascritto, e ha per l’effetto
rideterminato le pene loro rispettivamente inflitte.
I fatti ritenuti nelle sentenze di merito si riferiscono ad un accordo corruttivo che, nella
prospettiva accusatoria, sarebbe stato concluso in molti nosocomi milanesi tra impresari di
pompe funebri e infermieri e addetti obitoriali, in base al quale i primi remuneravano i secondi
per le segnalazioni dei decessi intercorsi in quegli ospedali, permettendo così l’accaparramento
della clientela in violazione di specifiche circolari emanate dagli enti preposti.

2. I ricorrenti censurano la sentenza impugnata deducendo:
2.1. Inosservanza di norme processuali rilevanti ai sensi dell’art. 606, lett. c) c.p.p. e
conseguenti vizi di motivazione, ed in particolare:
a) Cerato, mancanza di motivazione in ordine ai punti della sentenza in cui si rinvia

per

relationem a quella di primo grado e si trattano i motivi di appello di tutti gli imputati per
“gruppi tematici” involgenti in massima parte questioni giuridiche attinenti alla qualificazione
giuridica dei reati loro rispettivamente ascritti, consegnando così un’analisi generica delle
specifiche doglianze proposte da ciascun ricorrente e in definitiva, una motivazione apparente.
,Ciò sarebbe particolarmente evidente per la doglianza con la quale in appello il ricorrente
aveva chiesto la riqualificazione dei fatti corruttivi a lui contestati nella fattispecie di cui all’art.
319-quater c.p., introdotta con legge successiva alla sentenza di primo grado, ed in relazione

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per Precipuo Gilberto, Emanuele Cervio per Cavaletti Maurizio e Panzarino Francesco, che
hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

I.

àll’intervenuta assoluzione di tutti gli imputati dal reato associativo loro inizialmente contestato
e per il quale erano stati condannati dal giudice di primo grado.
b) CERATO, violazione degli artt. 416, comma 2, c.p.p. e 130 disp. att. c.p.p. e vizi di
motivazione per incompleta trasmissione, con l’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p., degli atti
contenuti nel fascicolo del p.m., con conseguente violazione del diritto di difesa (mancata
discovery). Sarebbe stata in particolare omessa la trasmissione degli atti inseriti nel fascicolo
stralciato a carico degli enti per responsabilità amministrativa, ivi comprese consulenze
contabili e informative di p.g..
e) CERATO e CANEO, illogicità di motivazione in relazione al diniego di rinnovazione

del decesso del familiare, sicché assolutamente necessario ad esito della sentenza di primo
grado sarebbe stato accertare se anche solo qualcuno di essi avesse consentito all’operatore
obitoriale di divulgare i propri dati all’impresa di turno.
d) Lo Verde Vito e Francesco, violazione artt. 415-bis e 416 c.p.p. e mancanza di
motivazione con riferimento all’omessa notifica a Francesco Lo Verde dell’atto di citazione a
giudizio e ad entrambi i ricorrenti dell’atto di citazione in appello (quest’ultimo nel domicilio
eletto con l’atto di nomina del secondo difensore, contestuale al deposito dei motivi d’appello)
e) Valente, violazione dell’art. 448 c.p.p. conseguenti vizi di motivazione per mancato
recupero della richiesta di patteggiamento proposta in udienza preliminare e reiterata nel corso
degli atti preliminari all’apertura del dibattimento senza incontrare il consenso del p.m..
La Corte territoriale ha erroneamente assunto che il recupero della richiesta di patteggiamento
necessiti della sua riproposizione in limine del dibattimento e omette di considerare che la pena
finale proposta prima della riduzione per il rito – pari ad anni uno e mesi nove di reclusione – è
superiore a quella inflitta in appello – anni uno e mesi sei di reclusione.
f) Panzarino e Cavaletti, violazione degli artt. 392 e 512 c.p.p. e conseguenti vizi di
motivazione in relazione all’inutilizzabilità del verbale di interrogatorio reso il 21.11.2008 da
Marco Pusceddu, imputato in procedimento connesso, acquisito agli atti nonostante il decesso
del Pusceddu fosse evento prevedibile fin dal 2008 in ragione delle sue condizioni di salute,
delle quali il p.m. doveva ritenersi pienamente consapevole risultando le stesse da diversi atti
del procedimento.

2.2. Questioni attinenti alla qualificazione giuridica dei fatti, ed in particolare:
g) Cerato, violazione di legge e conseguenti vizi di motivazione in ordine alla mancata
riconduzione dei presunti fatti corruttivi contestati sotto l’alveo dell’art. 319-quater c.p.. La
sentenza impugnata ricaverebbe in maniera apodittica e generica la parità di posizione tra
impresari di pompe funebri e operatori obitoriali, pur dopo l’assoluzione di tutti gli imputati dal
reato associativo loro inizialmente ascritto. Diversa sarebbe in particolare la posizione del
ricorrente Alcide Cerato rispetto a quella dei figli Massimo e Andrea, che hanno definito la loro
vicenda processuale mediante ricorso a patteggiamento.
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dibattimentale avente ad oggetto l’escussione dei dolenti, titolari della disponibilità della notizia

t

– h) D’Antoni, violazione di legge e omessa motivazione circa la mancata qualificazione giuridica
dei fatti corruttivi nella fattispecie della concussione (317 c.p.) p. 52 – vedi motivo precedente.
i) Cerato, D’Antoni, Panzarino, Cavaletti, Caneo, Zanellato, Cusimano, Loverde Vito e
Francesco, Merello, Precipuo, erronea applicazione degli artt. 15, 319, 320, 326 c.p. con
riferimento al mancato assorbimento della divulgazione a terzi di notizie destinate a rimanere
segrete nel delitto di corruzione propria, in ragione della specialità di tale ultima fattispecie,
che comprende e ingloba la rivelazione di segreti d’ufficio (tale rivelazione integrando l’atto
contrario ai doveri dell’agente pubblico contemplato negli artt. 319 e 320 c.p.). In altre parole,
il reato di cui al primo comma dell’art. 326 c.p. si esaurisce, a differenza di quello previsto al

esattamente e esclusivamente il contenuto dell’accordo corruttivo, che a sua volta costituisce il
suo contenitore.
I) Il delitto di cui all’art. 326, comma 1, c.p. non è configurabile nel caso di specie, in quanto:
– può avere ad oggetto solo le notizie d’ufficio coperte da segreto assoluto (erga omnes e in
ogni tempo), ma non quelle indebitamente diffuse in violazione delle norme sull’accesso degli
‘atti della P.A., in quanto svelate a chi non è titolare di tale diritto e senza il rispetto delle
modalità previste.
– il certificato di morte redatto da medico ospedaliero è atto pubblico e l’evento certificato non
è oggetto di segreto;
– la condotta della persona che riceve la notizia non rientra nel precetto di cui all’art. 326 c.p. e
quindi non è punibile (Cass. 14.1.1976).
m) D’Antoni, Loverde Vito e Francesco, violazione di legge e mancanza di motivazione per
avere i giudici di merito ritenuto la sussistenza del reato di corruzione propria anziché quello di
cui all’art. 513 c.p. (Turbata libertà dell’industria e del commercio). Si tratterebbe infatti di
accordi estemporanei tra imprenditori e operatori obitoriali conclusi al fine di escludere i
concorrenti dei primi. La mancanza di querela renderebbe i reati improcedibili.
n)

Ganzerli e Martinazzoli,

(il motivo è illustrato anche con memoria depositata

1’11.11.2015) violazione di legge con riferimento agli artt. 15, 319, 320, 326 c.p. dovendosi i
fatti corruttivi contestati essere qualificati come violazione dell’art. 326, comma 3, c.p.,
rimanendo in tale ultima fattispecie assorbiti in applicazione del principio di specialità. Le
“fattispecie di cui agli artt. 319 e 326 c.p. sono entrambe poste a tutela del buon andamento
della P.A. e l’art. 326 c.p. prevede specifica condotta in violazione dei doveri inerenti la
funzione di incaricato di pubblico servizio: la rivelazione di notizie che devono rimanere
segrete.
2.3.

Panzarino, Cavaletti, Precipuo, violazione degli artt. 319, 320 e 358 c.p. e

mancanza di motivazione poiché l’attività degli operatori obitoriali – con riferimento ai
nosocomi di cui alle imputazioni – non è tra quelle che possono attribuire la qualità di incaricato
di pubblico servizio. Precipuo in particolare sottolinea di non essere assimilabile agli operatori
obitoriali, essendo addetto ad altro reparto.

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comma terzo dello stesso articolo, nella rivelazione del segreto d’ufficio, che rappresenta

2.4. Panzarino, Cavaletti, Caneo, Zanellato, Cusimano, violazione di legge e mancanza
di motivazione in relazione al diniego dell’attenuante speciale di cui all’art. 323-bis c.p. (fatto
di speciale tenuità) con riferimento alle specifiche condotte di ciascun imputato.
2.5. Cerato, erronea applicazione della norma penale in relazione agli artt. 110, 117, 326
c.p. e omessa motivazione sul punto della consapevolezza del ricorrente extraneus circa la
segretezza delle informazioni rivelate dagli operatori obitoriali e la loro indiscriminata fruibilità.
2.6. Cerato Violazione degli artt. 476 c.p. e 192 c.p.p. e vizi di motivazione in ordine al
reato di falso contestato al ricorrente. La Corte territoriale avrebbe ritenuto la responsabilità
del ricorrente sulla base dell’equivoco tenore di una sola intercettazione telefonica. Il registro

2.7. Cerato, Caneo, Zanellato, Merello, violazione degli artt. 319, 320, 321 c.p. e
conseguenti vizi di motivazione in relazione alla data di commissione dei fatti corruttivi, che la
sentenza impugnata accomuna all’interno di un indistinto sistema di corruzione, senza
riferimento agli specifici episodi contestati ai diversi imputati. La mancata corretta
determinazione della data di commissione dei reati determinerebbe tra l’altro la loro
intervenuta prescrizione (Cerato, ultima intercettazione telefonica 14.3.2008; Caneo, capo 59,
13.12.2007; ecc.). Con memoria depositata il 23.11.2015 la difesa del ricorrente Cerato ha
esteso la doglianza anche ai reati di concorso in rivelazione di segreti d’ufficio e di falso ritenuti
a suo carico.
2.8. Cusimano, violazione dei criteri legali di valutazione della prova e di quello dell’oltre
ogni ragionevole dubbio, nonché travisamento delle prove testimoniali Pasquarelli, Salva,
Costabile, Giorgio e Capitano, che hanno negato il coinvolgimento del ricorrente nell’accordo
illecito tra impresari di pompe funebri e operatori obitoriali dell’Ospedale Niguarda, e
conseguenti vizi di motivazione circa la ritenuta responsabilità penale del ricorrente per i reati
a lui contestati ai capi 15 e 16 dell’imputazione (partecipazione patto corruttivo e pretesa
retribuzione da parte sua degli infermieri per la segnalazione dei decessi).
2.9. Merello, vizi di motivazione circa la sua responsabilità per i fatti corruttivi a lui
contestati con riferimento alla valutazione delle conversazioni telefoniche captate col collega
dostabile e alla mancata considerazione degli atti di intimidazione subiti dal ricorrente, il quale,
in definitiva, si sarebbe limitato a divulgare informazioni protette da segreto per conto e
nell’interesse dei suoi colleghi.
2.10. Panzarino e Cavaletti, violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alle
specifiche posizioni dei ricorrenti e alle censure da loro formulate con i rispettivi atti di appello.
Panzarino lamenta in particolare: l’assenza di intercettazioni che lo riguardano; l’erronea
valutazione delle dichiarazioni rese dalla coimputata Corna; l’assenza di valore dimostrativo
delle dichiarazioni di Massimo Cerato, imputato in procedimento connesso, e della chiamata in
correità Lisi; gli erronei riferimenti alle dichiarazioni Pusceddu, Pollicano, Murabito, Perrinello e
altri. Argomenta diffusamente sul suo preteso riconoscimento e identificazione come l’autore
delle condotte corruttive a lui attribuite (in presenza di omonimo collega con identiche
mansioni all’interno della GVS – vedi documenti depositati con memoria 19.11.2015).
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della camera mortuaria dovrebbe considerarsi un mero brogliaccio ad uso interno.

Cavaletti deduce invece che come produttore GVS si occupava delle sedi di Rho e Arese,
estranee ai fatti contestati, e di non essere stato citato dagli operatori obitoriali come coinvolto
nelle pratiche corruttive.
2.11. Cerato, mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio dei reati
posti in continuazione, in particolare circa la quantificazione dell’aumento di pena per la
continuazione interna ed esterna operato sul più grave reato di corruzione (8 mesi di
aumento).
2.12. Merello, insussistenza della continuazione interna, poiché al più risulta provato un
solo fatto corruttivo in data 22.11.2007.

relazione al mancato riconoscimento della continuazione con i fatti di bancarotta di cui a
procedimento definito con sentenza di patteggiamento irrevocabile, in quanto tutti i reati sono
da farsi risalire ad unica determinazione, come sarebbe fatto palese dalle modalità fraudolente
.

di tutte le condotte considerate.
2.14. D’Antoni, Caneo, Zanellato, Lo Verde Francesco e Lo Verde Vito, violazione di
legge e omessa motivazione in ordine alla determinazione della pena, in presenza di
contestuale assoluzione dal reato associativo. Caneo lamenta al riguardo violazione del divieto
di reformatio in peius. Lo Verde Francesco e Vito lamentano mancanza di motivazione in
ordine: al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p.; al diniego dei doppi benefici;
all’applicazione di pena base superiore al minimo edittale e all’eccessivo aumento per la
continuazione.
2.15. D’Antoni, Panzarino, Cavaletti, Caneo, Zanellato, Loverde Vito e Francesco,
violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alle statuizioni civili della sentenza
impugnata, con specifico riferimento alla determinazione e alla quantificazione del danno non
patrimoniale reclamato dalle parti civili PAT e Ospedale San Carlo, Comune di Milano, Azienda
di Servizi Martinitt e Stelline. Gli enti erano destinatari della pertinente Circolare Regionale e
l’omissione di controllo da parte di quegli enti è stata concausa delle violazioni.
11 danno all’immagine non è riconoscibile al Comune di Milano poiché i fatti non sono stati

‘commessi da soggetti legati al Comune da rapporto funzionale o organico.

Considerato in diritto

1. I ricorsi proposti da Cerato Alcide, D’Antoni Riccardo, Ganzerli Daniele, Caneo
Franco, Cusimano Roberto, Lo Verde Francesco, Lo Verde Vito, Martinazzoli Domenico, Merello
Giovanni Camillo Alessandro, Precipuo Gilberto, Valente Franco Danilo e Zanellato Franco sono
a vario titolo inammissibili, mentre i ricorsi di Panzarino Francesco e Cavaletti Maurizio sono
infondati e devono quindi essere rigettati.

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2.13. Panzarino e Cavaletti, violazione dell’art. 81, comma 2, c.p. e vizi di motivazione in

2. Inammissibili sono innanzitutto i motivi di ricorso coi quali sono stati fatti valere
l’inosservanza di norme processuali rilevanti ai sensi dell’art. 606, lett. c) c.p.p. e conseguenti
vizi di motivazione, ed in particolare:
a)

contrariamente agli assunti del ricorrente

Cerato,

che al riguardo si palesano

manifestamente infondati, la sentenza impugnata opera consentiti e puntuali rinvii a quella di
primo grado, della quale vengono testualmente riportati, con specifico riferimento a ciascuno
dei pertinenti motivi d’appello, ampi stralci, che la Corte territoriale sottopone a precisa e
congrua valutazione, dimostrando con ciò di aver preso cognizione del contenuto sostanziale
delle ragioni del provvedimento di riferimento e di averle meditate e ritenute coerenti con la

provvedimento di destinazione. Così operando, il giudice d’appello ha fatto buon governo dei
principi affermati più volte dalla giurisprudenza di questa Corte, nel solco di SU, n. 17 del
21/06/2000, Primavera, Rv. 216664.
Invero si rinviene nella sentenza impugnata una giustificazione estesa, del tutto adeguata e
immune da vizi logici e giuridici circa l’esclusione della riqualificazione dei fatti corruttivi
invocata dal ricorrente con riferimento all’art. 319-quater c.p. (p. 51 e ss.).
Inoltre, la trattazione unitaria dei motivi di appello di analogo contenuto proposti dagli
imputati – relativi in massima parte a questioni attinenti alla qualificazione giuridica dei reati
loro rispettivamente ascritti – ha consentito una trattazione di quelle questioni insieme
economica, completa e precisa (p. 46 e ss.), laddove al contrario è proprio il ricorso ad essere
sul punto del tutto aspecifico, in quanto non precisa quali passaggi argomentativi del
provvedimento impugnato sarebbero viziati o mancanti e non indica le ragioni dell’asserita
rilevanza, su ciascuno dei temi in esame, dell’assoluzione intervenuta in grado d’appello per il
reato associativo di cui al capo 110 dell’imputazione.
b) Del pari inammissibile, in quanto del tutto generico, è il motivo col quale il ricorrente
CERATO ha prospettato violazione degli artt. 416, comma 2, c.p.p. e 130 disp. att. c.p.p. e
vizi di motivazione per incompleta trasmissione, con l’avviso di conclusione indagini, degli atti
ihseriti nel fascicolo stralciato a carico degli enti per responsabilità amministrativa. La
doglianza si limita al generico richiamo di una categoria di documenti, dei quali pure si riferisce
la piena conoscenza, senza giustificarne in alcun modo la rilevanza in funzione difensiva in
riferimento a specifici atti.
c) Non consentiti e manifestamente infondati sono i motivi proppsti da CERATO e CANEO in
o

relazione al diniego di rinnovazione dibattimentale avente per escussione dei dolenti. In primo
luogo, la sentenza impugnata esplicita correttamente a più riprese che tutti i reati contestati ed in particolare quelli di cui all’art. 326 c.p. – ledono interessi non disponibili della pubblica
amministrazione, cui si riferiscono con precisione le pertinenti circolari emanate tempo per
tempo dagli enti competenti, sicché sotto questo profilo manca all’evidenza la decisività della
prova pretesa dai ricorrenti. Inoltre, l’ammissione di tali mezzi di prova non era stata
tempestivamente richiesta al Tribunale e i ricorsi non indicano le ragioni per le quali l’asserita

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sua decisione, nonché pienamente rispondenti all’esigenza di giustificazione propria del

decisività delle testimonianze in questione avrebbe potuto essere rilevata solo ad esito del
giudizio di primo grado.
d) Inammissibile è anche il motivo con il quale Lo Verde Vito e Francesco denunciano
violazione degli artt. 415-bis e 416 c.p.p. e mancanza di motivazione con riferimento alla
“mancata ossia viziata notifica” a Francesco Lo Verde dell’atto di citazione a giudizio e ad
entrambi i ricorrenti dell’atto di citazione in appello. Il Collegio osserva a tal proposito che la
prima doglianza non figura tra i motivi di gravame enunciati nell’intestazione dell’atto d’appello
dei due ricorrenti, nel quale si rinviene unicamente un fugace e generico accenno a tutte le
questioni di carattere procedurale già coltivate nella precedente fase e risolte dal giudice di

dibattimentale. Sia il ricorso che il citato atto d’appello non si confrontano minimamente con
tali provvedimenti, risultando pertanto del tutto aspecifici. Il ricorso è del tutto generico anche
per quanto riguarda la doglianza relativa alla mancata notifica ai due ricorrenti dell’atto di
citazione in appello, che non precisa in cosa si sarebbe sostanziato il denunciato vizio e in
quale luogo avrebbero dovuto essere effettuate quelle notifiche. In ogni caso, dal verbale
dell’udienza tenutasi dinanzi alla Corte d’Appello il 14/10/2014 risulta la presenza di entrambi i
difensori di fiducia dei ricorrenti, avvocati De Giorgio e Stasi. Il Collegio ricorda inoltre che
anche una notifica irregolarmente effettuata presso il difensore, in costanza di rapporto
fiduciario, non è di per sé astrattamente inidonea ad assolvere la propria funzione
comunicativa. Resta la possibilità che in un singolo caso concreto l’informazione non sia stata
trasmessa, per negligenza o dolo del professionista, per dolo o negligenza dell’interessato,
ovvero per causa di forza maggiore. Ma la giurisprudenza di questa Corte ha posto in rilievo a
tale riguardo il dovere generale dei difensori di attivarsi per l’informazione verso gli assistiti e
l’onere per colui che sappia di essere assoggettato ad un giudizio penale di restare reperibile
per il proprio difensore. Il rilievo vale sul piano della meritevolezza della tutela evocata (la
nullità delle notifiche in questione), ma prima ancora al fine di delineare un “modello” di
Credibile deduzione del malfunzionamento (così, da ultimo, Sez. 6, n. 1668 del 16.11.2014,
Colucci, che opera un’esaustiva ricostruzione della giurisprudenza di legittimità e di quella
costituzionale): una deduzione che non prospetti alcuna causa in grado di neutralizzare le
aspettative connesse alla fisiologia del rapporto fiduciario e non alleghi idonei elementi di
conferma, si condanna quindi, in ogni caso, all’inammissibilità.
e) Il motivo di ricorso col quale Valente lamenta violazione dell’art. 448 c.p.p. conseguenti vizi
di motivazione per mancato recupero della richiesta di patteggiamento proposta in udienza
preliminare – e reiterata nel corso degli atti preliminari all’apertura del dibattimento senza
incontrare il consenso del p.m. – è pure inammissibile. Il Collegio osserva al riguardo che
essendo intervenuta l’assoluzione del ricorrente in grado di appello per il reato associativo a lui
contestato al capo 110 dell’imputazione, la richiesta di patteggiamento, che tale reato
considerava e comprendeva, deve considerarsi superata, sicché oggettivamente non consentito
appare il suo recupero.

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primo grado mediante il riferimento operato nella sua sentenza a pregressa ordinanza

f) Generiche e manifestamente infondate sono poi le doglianze con le quali i ricorrenti

Panzarino e Cavalletti lamentano l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Marco Pusceddu,
imputato in procedimento connesso, in sede di interrogatorio. La sentenza impugnata giustifica
infatti in modo del tutto adeguato e immune da vizi logici e giuridici come il decesso del
Pusceddu fosse evento imprevedibile alla data in cui egli ebbe a rendere il suo interrogatorio
(p. 37). I ricorsi di Panzarino e Cavaletti sono inoltre sul punto generici, poiché non indicano gli
specifici passaggi dell’interrogatorio utilizzati dai giudici di merito e la loro rilevanza a fini
decisionali.
2.2. Tutte le questioni attinenti alla qualificazione giuridica dei fatti sono a vario titolo

g) quella proposta da Cerato in ordine alla mancata riconduzione dei fatti corruttivi sotto
l’alveo dell’art. 319-quater c.p. è del tutto generica, in quanto non assolve all’onere di
allegazione di fatti dai quali desumere l’inesistenza della posizione paritaria tra imprenditori e
operatori obitoriali che ha caratterizzato il patto corruttivo e che la Corte territoriale giustifica,
al contrario, con puntuali riferimenti di fatto e di diritto (pp. 46 e ss., ed in particolare p. 52 e
s.).
h) generica è altresì, per le stesse considerazioni testé svolte, quella proposta dal ricorrente

D’Antoni circa la mancata qualificazione giuridica dei fatti corruttivi nella fattispecie della
concussione. (317 c.p.). La Corte territoriale giustifica infatti in modo puntuale l’esistenza di
una posizione paritaria tra i soggetti partecipanti all’accordo corruttivo (pp. 46 e ss.; p. 52 e
s.), mentre il ricorrente non si confronta con tale – del tutto adeguata – motivazione se non in
modo non circostanziato e apodittico.
i) Manifestamente infondato è poi il motivo proposto da

Cerato, D’Antoni, Panzarino,

Cavaletti, Caneo, Zanellato, Cusimano, Loverde Vito e Francesco, Merello, Precipuo in
riferimento al mancato assorbimento del reato di rivelazione a terzi di notizie destinate a
rimanere segrete (art. 326, comma 1, c.p.p.) nel delitto di corruzione propria.
.La giurisprudenza di questa Corte è infatti costante nell’affermare che: a) la disposizione
dell’art. 326 c.p., quale risulta a seguito della modificazione operata con L. n. 86 del 1990,
pone ad oggetto, nel primo comma, la rivelazione della notizia e, nel comma 3, l’avvalersi della
notizia stessa; b) il coordinamento delle due previsioni porta a concludere, e per motivi
letterali (rivela – si avvale) e per motivi sistematici (concorso con la corruzione) e per motivi
teleologici (superfluità altrimenti della previsione del terzo comma), nel senso che la condotta
del pubblico ufficiale che riveli un segreto di ufficio è esaustivamente prevista nel primo
comma, applicabile anche se tale rivelazione è fatta (come nel caso di specie) per fini di utilità
patrimoniale in adempimento di una promessa corruttiva, concorrendo in questo caso la
corruzione con il delitto di cui alla disposizione in esame; c) la fattispecie contemplata dal terzo
comma riguarda invece l’illegittimo avvalersi da parte del pubblico ufficiale, che lo sfrutti per
profitto patrimoniale o non patrimoniale, non del valore economico eventualmente derivante
dalla rivelazione del segreto, ma proprio del contenuto economico o morale in sé delle
informazioni che devono rimanere segrete (Sez. 6, n. 37559 del 27/09/2007, Rv. 237447;

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inammissibili, ed in particolare:

Sez. 6, n. 39428 del 31/03/2015, Rv. 264783; Sez. 1, n. 39514 del 03/10/2007, Rv. 237747).
In piena coerenza con tali assunti questa Corte ha inoltre affermato che non sussiste violazione
della regola del “ne bis in idem” nel caso in cui all’imputato, assolto da un addebito di
corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, si contesti come reato autonomo l’atto compiuto
in violazione dei doveri di ufficio, consistente nel delitto di rivelazione del segreto di ufficio,
costituito dall’avere rivelato notizie riservate (Sez. 6, n. 13906 del 16/02/2012, Rv. 252583).
La sentenza impugnata ha fatto corretto uso di tali principi (p. 56 e s.), anche laddove ha
ritenuto l’inconferenza della decisione resa dalla stessa Corte d’Appello di Milano nei confronti
di altri imputati che avevano definito la propria posizione mediante rito abbreviato.

.invocato la riqualificazione dei fatti corruttivi loro contestati come violazione dell’art. 326,
comma 3, c.p. deve ritenersi manifestamente infondato.
Mentre la condotta del pubblico ufficiale che riveli un segreto di ufficio è esaustivamente
prevista nel primo comma dell’art. 326, la fattispecie contemplata dal terzo comma riguarda
invece l’illegittimo avvalersi da parte del pubblico agente, che lo sfrutti per profitto
patrimoniale o non patrimoniale, non del valore economico eventualmente derivante dalla
rivelazione del segreto, ma proprio del contenuto economico o morale in sé delle informazioni
che devono rimanere segrete (Sez. 6, n. 37559 del 27/09/2007, Rv. 237447). Correttamente
dunque è stata esclusa nel caso in esame (in cui gli operatori obitoriali hanno rivelato a terzi il
segreto sulla base di un patto corruttivo, senza avvalersi direttamente e personalmente del
contenuto in sé delle informazioni) la realizzazione di quest’ultima fattispecie e ritenuto invece
il concorso del delitto di cui al primo comma dell’art. 326 c.p. con quello di corruzione.
m) Palesemente privi di pregio sono anche i motivi di ricorso secondo i quali il delitto di cui
all’art. 326, comma 1, c.p. non sarebbe configurabile nel caso di specie, poiché può avere ad
oggetto solo le notizie d’ufficio coperte da segreto assoluto (erga omnes e in ogni tempo),
‘mentre il certificato di morte redatto da medico ospedaliero è atto pubblico e l’evento
certificato non è oggetto di segreto.
La più recente e prevalente giurisprudenza di questa Corte ha infatti statuito che in tema di
rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, il contenuto dell’obbligo la cui violazione è
sanzionata dall’art. 326 cod. pen. non è limitato soltanto alle informazioni sottratte alla
divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma si estende anche alle informazioni
la cui diffusione (pur prevista in un momento successivo) sia vietata dalle norme sul diritto di
accesso, perché effettuata senza il rispetto delle modalità previste, ovvero nei confronti di
soggetti non titolari del relativo diritto (Sez. 6, n. 11001 del 26/02/2009, Rv. 243578; Sez. 6,
n. 9726 del 21/02/2013, Rv. 254593; Sez. 6, 49133 del 29/10/2013, Rv. 257652; Sez. 5, n.
15950 del 15/01/2015, Rv. 263590). Le doglianze in esame non si confrontano del resto con la
sentenza impugnata, la quale ha puntualmente e correttamente sottolineato come nel caso di
specie non fosse certamente il decesso la notizia di primaria rilevanza ai fini della realizzazione
del profitto a cui entrambe le parti contraenti dei patti corruttivi erano interessate, bensì le
notizie relative all’individuazione dei parenti e delle loro coordinate telefoniche e anagrafiche,

10

I) Per quanto precede, anche il motivo col quale i ricorrenti Ganzerli e Martinazzoli hanno

onde consentire agli imprenditori di pompe funebri di contattarli. Senza contare, come pure
perspicuamente rilevato dai giudici di merito, che l’obbligo del segreto imposto agli operatori
obitoriali – in particolare dalla pertinente normativa regionale – era specificamente funzionale
ad evitare che alcuna delle ditte di pompe funebri fosse favorita nella captazione della
clientela.
All’evidenza sprovviste di fondamento sono anche le censure con le quali si è sostenuto che nel
caso di specie le condotte delle persone che hanno ricevuto la notizia non rientrano nel
precetto di cui all’art. 326 c.p. e non sono quindi punibili. Già nel 1981 le Sezioni Unite di
questa Corte hanno chiarito che il delitto di rivelazione dei segreti di ufficio si risolve in una

notizia e alla previsione della punizione nei confronti del solo autore della rivelazione, nel
senso, cioè, che il mero recettore della notizia non può essere assoggettato a pena in
conformità del principio di legalità. Tuttavia, in base all’ordinaria disciplina del concorso di
persone nel reato, non può escludersi la partecipazione morale del destinatario della
rivelazione; partecipazione, questa, che, oltre alle tradizionali forme della determinazione e
della istigazione, comprende anche l’accordo criminoso e, comunque, può estrinsecarsi nei
modi più vari ed indifferenziati, ribellandosi a qualsiasi catalogazione o tipicizzazione, a cui
invece deve uniformarsi la condotta dell’autore dell’illecito e, quindi, del concorrente che
esegue l’azione vietata dalla norma e non già quella del partecipe. (SU, n. 420 del 28/11/1981,
Rv. 151619). Si tratta di principi esattamente richiamati dalla sentenza impugnata e
costantemente riaffermati dalla giurisprudenza di legittimità, sicché può considerarsi

ius

receptum che in tema di rivelazione di segreti d’ufficio, ai fini della sussistenza del concorso nel
reato dell’extraneus, è necessario che questi, lungi dal limitarsi a ricevere la notizia, abbia
istigato o indotto il pubblico ufficiale a porre in essere la rivelazione (v. per tutte: Sez. 1, n.
5842 del 17/01/2011, Rv. 249357). Questa è peraltro esattamente la condotta della quale i
ricorrenti estranei alla P.A. sono stati ritenuti penalmente responsabili, sicché, anche sotto
questo profilo, i loro ricorsi si palesano manifestamente infondati.
n) Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso col quale D’Antoni, Lo Verde Vito e
Loverde Francesco deducono violazione di legge e mancanza di motivazione per avere i
giudici di merito ritenuto la sussistenza del reato di corruzione propria anziché quello di cui
all’art. 513 c.p. (Turbata libertà dell’industria e del commercio). Si tratta invero, come
correttamente osservato dalla Corte territoriale, di fattispecie di reato che hanno diversa
collocazione sistematica, tutelano beni giuridici diversi e hanno all’evidenza diversa struttura.
In particolare, l’elemento materiale del reato di cui all’art. 513 c.p. consiste in un’azione
impeditiva o perturbatrice dell’industria o del commercio realizzata attraverso violenza sulle
cose o mezzi fraudolenti (che quindi, contrariamente a quanto previsto dall’art. 513 bis c.p.,
non si sostanzia in atti di concorrenza compiuti con violenza o minaccia al fine di realizzare uno
sviamento di clientela, in quanto tale incidente sul raggiungimento del consumatore), la quale
esclude o limita la possibilità stessa di produrre o scambiare beni o servizi ancor prima di
.arrivare alla platea dei potenziali clienti, così incidendo direttamente sulla libertà di iniziativa

11

fattispecie plurisoggettiva anomala, essendo la condotta incriminata legata a chi riceve la

economica (Sez. 2, n. 20647 del 11/05/2010, Rv. 247272). Quanto all’elemento psicologico,
nell’art. 513 c.p., è necessario il dolo specifico (“per impedire o turbare l’esercizio…”). I fatti
corruttivi per i quali i giudici di merito hanno ritenuto – a titolo di concorso con gli operatori
obitoriali incaricati di pubblico servizio – la penale responsabilità dei ricorrenti sfuggono dunque
all’inquadramento in tale fattispecie, poiché caratterizzati da condotte ad essa estranee (patto
corruttivo; dazioni illecite; finalizzazione al compimento di atti contrari a doveri d’ufficio dei
pubblici agenti), per di più volte proprio allo sviamento di clientela oggetto della diversa
fattispecie di cui all’art. 513 bis c.p.. Senza considerare che lo stesso art. 513 c.p. contiene
espressa clausola di esclusione laddove il fatto costituisca più grave reato.

Panzarino, Cavaletti e Precipuo alla ritenuta qualifica degli operatori obitoriali – con
riferimento ai nosocomi ed ai reparti in cui ciascun ricorrente operava – quali incaricati di
pubblico servizio. Tale qualifica è stato invero costantemente ritenuta, in casi del tutto analoghi
al presente, dalla costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Sez. 6, 23.4.2008, n.
27933), alla quale il Collegio aderisce. La motivazione della sentenza impugnata (p. 48 e ss.) è
dunque sul punto del tutto congrua e immune dai vizi denunciati, anche per quanto riguarda la
specifica posizione del ricorrente Precipuo (p. 63 e s., ove si valorizza il diretto collegamento
tra la camera mortuaria e il reparto in cui operava il ricorrente).
2.4. I motivi coi quali Panzarino, Cavaletti, Caneo, Zanellato e Cusimano si dolgono
del diniego dell’attenuante speciale di cui all’art. 323-bis c.p. (fatto di speciale tenuità)
rappresentano, al di là della qualificazione ad essi attribuiti dai ricorrenti, la mera
riproposizione di questioni di merito alle quali la sentenza impugnata ha offerto adeguata
risposta, del tutto immune dai vizi logici e giuridici denunciati (p. 48). Correttamente è stata
pertanto esclusa la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 323 bis c.p., che richiedono che il
reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità di contenuto rilievo (Sez. 6, n. 14825
del 26/02/2014, Rv. 259501), in considerazione della non irrilevante entità dei compensi illeciti
percepiti dagli operatori obitoriali e dalla particolare gravità dei fatti e del danno arrecato al
buon andamento e all’imparzialità della Pubblica Amministrazione.
2.5. Manifestamente privo di pregio è poi il motivo con cui Cerato assume l’erronea
applicazione degli artt. 110, 117, 326 c.p. e l’omessa motivazione sul punto della
consapevolezza del ricorrente extraneus circa la segretezza delle informazioni rivelate dagli
operatori obitoriali e la loro indiscriminata fruibilità. Anche tale doglianza rappresenta la mera
riproposizione di questione di merito alla quale la Corte territoriale (pp. 59-61) ha offerto
risposta adeguatamente giustificata in diritto (l’art. 117 c.p. opera solo con riferimento alla
qualifica soggettiva dell’intraneus) e in fatto (il Cerato, esperto imprenditore del settore, era a
perfetta conoscenza della normativa e delle circolari applicabili e delle vicende, anche di
carattere penale, che le avevano originate, sicché era pienamente consapevole della natura
delle informazioni comprate – non a caso oggetto di specifici patti corruttivi – e della qualifica
soggettiva degli operatori obitoriali).

12

2.3. Generiche e manifestamente infondate sono altresì le censure rivolte dai ricorrenti

2.6. Inammissibile è anche il motivo proposto da Cerato in ordine al reato di falso a lui
contestato al capo 97 dell’imputazione. Nella parte in cui sollecita una diversa interpretazione
del tenore di intercettazioni di conversazioni – invero tutt’altro che equivoco o travisato – il
ricorso prefigura un’attività non consentita sede di legittimità se non nei limiti della manifesta
illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (ex multis, Sez. 2, n.
35181 del 22.5.2013, Rv. 257784; Sez. 6, n. 11794 dell’11.2.2013, Rv. 254439) ovvero in
presenza del travisamento della prova, cioè nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato
il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile
(Sez. 6, n. 11189 dell’8.3.2012, Rv. 252190), ipotesi queste certamente non sussistenti nel

nient’affatto illogica delle ragioni per le quali deve essere condivisa la lettura data della
conversazione in esame dal giudice di primo grado (p. 61).
La sentenza impugnata indica inoltre espressamente le pubbliche finalità – di carattere
probatorio e in funzione di successivi controlli amministrativi – per le quali erano stati istituiti i
registri delle camere mortuarie, sicché l’atto oggetto del falso in questione riguardava l’attività
pubblicistica dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano (p. 61).
I Giudici di merito hanno fatto dunque buon governo del quadro di principii che regolano la
materia, uniformandosi al costante insegnamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo
cui rientrano nella nozione di atto pubblico rilevante ai fini dell’integrazione del reato di falso
documentale anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel
procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione (Sez. Sez.
6, n. 11425 del 20/11/2012, Rv. 254867; Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Rv, 249858). Di
talché il ricorso del Cerato deve ritenersi, sotto questo profilo, manifestamente infondato.
– 2.7. Il motivo col quale il ricorrente Cusimano lamenta violazione dei criteri legali di
valutazione della prova e di quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio, nonché travisamento di
prove testimoniali e conseguenti vizi di motivazione sono del tutto aspecifici e non si
confrontano con la sentenza impugnata, che nell’operare corretto richiamo di quella di primo
grado, anche in relazione alla posizione del coimputato Merello, si è con ciò riferita ai plurimi
elementi di prova (conversazioni intercettate intercorse tra i due e tra il Cusimano e i dolenti;
ammissioni dello stesso Cusimano, ricostruzione dei patti corruttivi realizzati presso l’Ospedale
Niguarda) che già il giudice di prime cure aveva ritenuto pienamente dimostrative della
ritenuta responsabilità penale del ricorrente per i reati a lui contestati ai capi 15 e 16
dell’imputazione.
2.8. Manifestamente infondato è invece il motivo di ricorso col quale Merello deduce vizi di
motivazione circa la sua responsabilità per i fatti corruttivi a lui contestati. Si tratta infatti
della mera riproposizione di doglianze di merito alle quali la sentenza impugnata ha fornito
risposta del tutto adeguata e immune da vizi logici e giuridici (p. 62 e s.), anche con
riferimento alla valutazione delle conversazioni telefoniche captate – significative delle plurime,
Mercenarie segnalazioni di decessi – che trovano conferma nelle deposizioni Gammone e
Selmi.

13

‘caso di specie. La Corte territoriale ha dato infatti conto con motivazione puntuale, congrua e

2.9. Infondati sono gli articolati motivi di ricorso coi quali

Panzarino e Cavaletti

denunciano violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alle specifiche posizioni dei
ricorrenti e alle censure da loro formulate con i rispettivi atti di appello. Pur se il richiamo
operato su tali punti dalla sentenza impugnata all’apparato motivo di quella di primo grado è
estremamente sintetico (p. 57 e s.), esso appare rispettoso dei canoni al riguardo più volte
enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte, nel solco di SU, n. 17 del 21/06/2000, Rv.
216664, poiché: opera riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del
procedimento, la cui motivazione risulta congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria
‘del provvedimento di destinazione; fornisce la dimostrazione che il giudice ha preso

meditate e ritenute coerenti con la sua decisione (in particolare, per quanto attiene
l’identificazione del ricorrente Panzarino come il soggetto che si occupava dei contatti con gli
infermieri degli Ospedali San Carlo, Policlinico, Sacco e Pio Albergo Trivulzio, in relazione: al
suo ruolo di socio del Gruppo Varesina Sofam (GVS); all’esistenza di conversazioni intercettate
interessanti l’utenza telefonica condivisa col Cavaletti, anch’egli socio della Sofam; al
riconoscimento effettuato in dibattimento dalla teste Parrinello, che lo indica a quel proposito
materialmente al giudice; alle dichiarazioni rese da Pusceddu Marco, che cita espressamente il
Panzarino e il Cavaletti come gli interlocutori degli operatori obitoriali nei rapporti con la Sofam
Varesina); la sentenza di riferimento, della quale pure sono trascritti in quella impugnata ampi
stralci, è conosciuta dagli interessati al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà
di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo
dell’organo della valutazione o dell’impugnazione.
2.10. Manifestamente infondato deve ritenersi il motivo proposto nell’interesse del
ricorrente Cerato con riferimento all’asserita mancanza di motivazione in ordine al trattamento
sanzionatorio dei reati posti in continuazione. A pagina 80 dell’impugnata sentenza si rinviene
infatti adeguata giustificazione circa la diversità degli aumenti di pena applicati a titolo di
continuazione, graduati alla stregua della condotta effettivamente tenuta, al numero degli
episodi accertati e al ruolo concretamente tenuto da ogni singolo imputato.
2.11. Manifestamente infondato è anche il motivo col quale il ricorrente Merello ha dedotto
l’insussistenza della continuazione interna relativa alla contestazione del delitto di cui all’art.
319 c.p.. La sentenza impugnata motiva infatti estesamente circa la sussistenza della
responsabilità penale del ricorrente per più fatti corruttivi (p. 63), sicché correttamente la
Corte territoriale ha calcolato gli aumenti relativi alla continuazione (interna ed esterna al reato
di corruzione).
2.12. Manifestamente infondato l’ulteriore motivo proposto nell’interesse di

Panzarino e

Cavaletti in relazione al mancato riconoscimento della continuazione con i fatti di bancarotta
di cui a procedimento definito con sentenza di patteggiamento irrevocabile. La sentenza
li-ripugnata ha infatti escluso l’unicità del disegno criminoso sulla base di motivazione congrua e
immune dai vizi denunciati, basata, tra l’altro, sull’evidente incompatibilità tra gli intenti delle
condotte criminose allo scopo considerate (p. 62).

14

cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le ha

*
2.13. La sentenza impugnata giustifica inoltre in maniera del tutto adeguata e immune da
vizi logici e giuridici la determinazione della pena conseguente all’assoluzione di tutti i ricorrenti
dal reato associativo originariamente contestato (pp. 77-80), sicché i corrispondenti motivi di
ricorso proposti nell’interesse di D’Antoni, Caneo, Zanellato, Lo Verde Francesco e Lo
Verde Vito devono ritenersi manifestamente infondati. In particolare, non si rinviene alcun
deteriore trattamento sanzionatorio del Caneo rispetto alla sentenza di primo grado, essendo
stato correttamente espunto l’aumento di un mese per la continuazione esterna del reato di
,Corruzione, ritenuto più grave da entrambi i giudici di merito, con quello associativo per il quale
è intervenuta assoluzione. Lo Verde Francesco e Vito lamentano mancanza di motivazione in

all’applicazione di pena base superiore al minimo edittale e all’eccessivo aumento per la
continuazione. L’impugnata sentenza fornisce inoltre adeguata giustificazione circa il
complessivo trattamento sanzionatorio – derivante dalla concessione in loro favore delle
attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva e, in favore del solo
Vito, del beneficio della sospensione condizionale della pena – riservato ai ricorrenti Lo Verde
Francesco e Lo Verde Vito, nonché degli elementi considerati per la determinazione della pena
base, nonché degli aumenti di pena applicati a titolo di continuazione, operando per il resto
corretto ed esauriente richiamo alla sentenza di primo grado (pp. 77-80 della sentenza
impugnata).
2.14. La sentenza impugnata individua e giustifica correttamente gli elementi dai quali ha
desunto la genericità dei motivi d’appello coi quali i ricorrenti

D’Antoni, Panzarino,

Cavalletti, Caneo, Zanellato, Loverde Vito e Francesco avevano contestato la sussistenza
e l’entità del danno morale riconosciuto alle parti civili costituite (p.68 e ss.). L’originaria
genericità di quei rilievi, che di fatto sollecitano una nuova valutazione di merito relativa alla
liquidazione del danno morale sofferto dagli enti intervenuti in giudizio, è replicata nei ricorsi in
esame, che devono pertanto essere dichiarati inammissibili. Infine, correttamente la sentenza
impugnata ha riconosciuto una posizione giuridica autonoma e differenziata del Comune di
Milano rispetto alle esigenze generali di tutela della collettività e il suo conseguente danno
morale da reato, sia sotto il profilo della menomazione della funzionalità dell’ente pubblico,
statutariamente e concretamente impegnato per la prevenzione e il contrasto al
procacciamento di clienti da parte delle imprese funebri in quanto portatore di specifiche
competenze e interessi in materia di polizia mortuaria e di servizi funebri, sia in relazione al
discredito sofferto a causa della risonanza della vicenda in un campo d’azione posto a presidio
della collettività degli utenti, in situazione di particolare vulnerabilità, presenti sul territorio
(Sez. 3, n. 29905 del 09/06/2011, Rv. 250661), dovendo la legittimazione alla costituzione di
parte civile dell’ente territoriale che invoca un danno alla propria immagine ritenersi
a,mmissibile anche in riferimento a reati commessi da soggetti non legati al Comune da
-rapporto funzionale o organico, purché tale tipologia di danno, come nel caso di specie, sia in
concreto configurabile (Sez. 2, n. 13244 del 07/03/2014, Rv. 259560).
2.15. Va infine esaminato il motivo proposto dai ricorrenti Cerato, Caneo, Zanellato e

15

ordine: al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p.; al diniego dei doppi benefici;

Merello con riferimento all’individuazione della data di commissione dei fatti corruttivi (e, per
il solo Cerato, a seguito della memoria 23.11.2015, dei reati di cui agli artt. 110, 326 c.p. e
482 c.p. a lui contestati) e alla loro intervenuta prescrizione. Il Collegio osserva a tale
riguardo: a) che tali doglianze non sono state dedotte dinanzi ai giudici di merito; b) che
l’individuazione di un

“dies a quo”

diverso da quello indicato nelle imputazioni contestate ai

ricorrenti e ritenute nelle sentenze di merito richiede, come fatto palese dallo stesso tenore dei
ricorsi, attività di apprezzamento delle prove; c) che i termini prescrizionali indicati dai
.ricorrenti si sarebbero verificati in date successive a quella della sentenza d’appello; d) che
l’inammissibilità dei ricorsi preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai

successiva alla pronunzia della sentenza di appello. Sicché anche tali motivi di ricorso devono
essere dichiarati inammissibili.

Al rigetto dei ricorsi presentati nell’interesse di Panzarino e Cavaletti e all’inammissibilità dei
restanti ricorsi conseguono le pronunce di cui all’art. 616 c.p.p., come precisate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di Panzarino Francesco e Cavaletti Maurizio e condanna i predetti ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi residui e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 9 dicembre 2015.

sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data

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