Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9397 del 05/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9397 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1.

PROCURATORE GENERALE presso la Corte di Appello di Napoli;

2.

DALIA ROBERTO, nato il 10/10/1977;

avverso la sentenza del 27/02/2015 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per i
motivi dedotti da entrambi i ricorrenti;
uditi i difensori, avv.ti Giuseppe Siciliano (per Dalia) e Gennaro lepre (per la
parte civile), che hanno concluso chiedendo, rispettivamente, il rigetto del
ricorso del Procuratore Generale e l’accoglimento del proprio ricorso;
l’inammissibilità del ricorso dell’imputato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27/02/2015, la Corte di Appello di Napoli, previa
eliminazione della recidiva reiterata specifica ritenuta dal primo giudice, in
parziale riforma della sentenza pronunciata in data 19/11/2013 dal giudice
monocratico del tribunale della medesima città, riduceva la pena inflitta a DALIA
Roberto, per il reato di truffa e confermava nel resto.

Data Udienza: 05/02/2016

2. Contro la suddetta sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione sia il
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli, sia l’imputato a mezzo
del proprio difensore.

3. Il Procuratore Generale ha dedotto:
3.1. LA

VIOLAZIONE DELL’ART.

99

COD. PEN.

per avere la Corte eliminato la

recidiva senza che sul punto fosse stato dedotto alcuno motivo di appello da

3.2. LA

VIOLAZIONE DELL’ART.

165/2

COD. PEN.

per avere concesso

la

sospensione condizionale della pena senza subordinarla all’adempimento di uno
degli obblighi previsti dal comma primo del medesimo articolo.

4.

L’imputato a mezzo del proprio difensore, ha dedotto la

DELL’ART.

606

LETT. E) COD. PROC. PEN.

VIOLAZIONE

per avere la Corte omesso la valutazione

delle prove a discarico dell’imputato; per non avere rinnovato l’istruttoria
dibattimentale tramite l’assunzione dei testi indicati; per non avere considerato
la documentazione in atti (documentazione bancaria) che conclamava la
fondatezza della tesi difensiva; per avere ritenuto la versione dei fatti resa
dall’imputato non attendibile senza fornire adeguata motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ricorso Dalia.
Il ricorso è manifestamente infondato.
La Corte, da pag. 4 a pag. 6 della motivazione, dopo avere ricostruito il
fatto, illustra la tesi difensiva (pag. 5), ma, la confuta alla stregua di puntuali
elementi di natura fattuale e logica, dando rilievo alla tesi della persona offesa e,
ritenendo che la svolta istruttoria consentiva di decidere, senza necessità, quindi,
di rinnovare l’istruttoria (pag. 6).
In questa sede, il ricorrente ha dedotto la censura illustrata in parte
narrativa, con la quale, in sostanza, si è limitato a ribadire la propria tesi
difensiva.
Al che deve replicarsi che le censure dedotte attengono, sostanzialmente, al
merito della vicenda processuale in quanto sono relative a pretese carenze
motivazionali in ordine alla ricostruzione del fatto per cui è processo, e alla
mancata considerazione dell’alternativa tesi difensiva.
Questa Corte osserva che si tratta di questioni che hanno costituito oggetto
di ampio dibattito processuale in entrambi i gradi del giudizio di merito, alle quali
la Corte territoriale ha dato una congrua risposta sulla base di puntuali riscontri
2

parte dell’imputato;

di natura fattuale e logica, disattendendo, quindi, la tesi difensiva dell’imputato
riproposta in modo tralaticio nuovamente in questa sede di legittimità.
Le censure riproposte con il presente ricorso, vanno, quindi, ritenute
null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una
nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame
dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto
coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi
difensiva.

carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dag ricorrente, la censura,
essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e,
quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in
quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è
pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con

«i limiti di una

plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel momento del controllo di
legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv
230568; Cass. 1004/1999 rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi quanto alla mancata riapertura
dell’istruttoria dibattimentale espressamente disattesa dalla Corte territoriale con
motivazione incensurabile in ordine alla non necessità della medesima
consentendo le risultanze probatorie di decidere senza altra integrazione.

2. Ricorso del Procuratore Generale
Entrambi i motivi sono fondati.
Quanto alla violazione dell’art. 99 cod. pen., perché, come correttamente
dedotto dal ricorrente, «il giudice di appello non può escludere la recidiva
riconosciuta in primo grado in assenza di uno specifico motivo di appello
dell’imputato e ciò in quanto si tratta di un’ipotesi non prevista dal comma quinto
dell’art. 597 cod. proc. pen. che individua in modo tassativo il potere di
intervenire di ufficio sulla pena» Cass. 47025/2013 riv 257752).
Quanto alla violazione dell’art. 165/2 cod. pen. perché, avendo l’imputato
già usufruito del beneficio della sospensione condizionale della pena, la
medesima avrebbe potuto nuovamente essere concessa solo previa
subordinazione «all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente».

3

Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese incongruità,

3. In conclusione, l’impugnazione dell’imputato deve ritenersi inammissibile
a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore
della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00, oltre le spese
a favore della costituita parte civile.

ANNULLA
La sentenza impugnata limitatamente all’esclusione della recidiva e della
concessione della sospensione condizionale della pena con rinvio ad altra sezione
della Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso proposto da Dalia Roberto che condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende, nonché alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile
De Cristofaro Marcello, spese liquidate in C 3.600,00 oltre spese generali, cpa ed
Iva.
Così deciso il 05/02/2016

P.Q.M.

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