Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9369 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9369 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TONNI EMILIO N. IL 20/04/1939
avverso la sentenza n. 4010/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv ttGiloPtY’ !itt (729‘ r Uditi difensor Avv. 4C,C,CAA-

Data Udienza: 20/11/2013

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FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per cassazione Emilio Tonini avverso la sentenza della Corte d’appello
di Milano in data 20 ottobre 2011 con la quale, in parziale riforma della sentenza di
primo grado, è stata dichiarata la prescrizione del reato di “concorso in aggiotaggio”
ed è stata altresì confermata, agli effetti civili ed ai sensi dell’articolo 578 cpp, la
condanna inflitta in primo grado, al risarcimento del danno in favore della parte civile

All’imputato,era stato contestato di avere, nella qualità di direttore generale della
fondazione M.P.S. agito in accordo con Cimbri Carlo, condirettore generale di Unipol
S.p.A., nella determinazione di quest’ultimo di compiere – attraverso il direttore
finanziario di Unipol, Dell’Aglio, e il rappresentante della SIM incaricata, Gattimanovre speculative sul titolo “Unipol privilegiate” (manovre realizzate acquistando
consistenti pacchetti della detta azione in modo da provocare, nel giro di 10 sedute
borsistiche, il rialzo del prezzo del titolo da euro 1,66 a euro 1,78): manovre che si
erano rese necessarie affinché M.P.S. aderisse all’offerta di vendita di un pacchetto di
4.500.000 azioni Unipol privilegiate, avanzata da altra società del gruppo Unípol. Una
offerta formulata ad un prezzo (pari a euro 1,76) superiore al valore di mercato del
momento e che poteva essere accolta da MPS “a condizione che” quel prezzo
divenisse, invece, prossimo al valore di mercato, per tale motivo artificiosamente
gonfiato.
Il reato di aggiotaggio, ipotizzato come commesso nel 2003, era stato contestato
nella configurazione che, all’epoca, era prevista dall’articolo 2637 c.c., nel testo
introdotto con decreto legislativo in data 11 aprile 2002, n. 61, secondo cui “Chiunque
diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici
concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti
finanziari, quotati o non quotati, ovvero ad incidere in modo significativo
sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi
bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni”.
Ai fini del chiarimento sulla “continuità normativa, va detto subito che tale ipotesi di
reato, per quanto concerne gli strumenti finanziari quotati, rimane, oggi, regolato
dall’articolo 185 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria (introdotto con decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58), come novellato
per effetto della legge n. 62 del 18 aprile 2005 che, con l’art. 9 comma 2, ha
determinato la sostituzione dell’intero capo IV ( della parte V titolo I) di quel decreto,
con il titolo 1 bis, denominato “abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del
mercato”. In questo, l’art. 185 , appunto , con la rubrica” manipolazione del mercato”
disciplina e punisce la condotta di cui sopra, da intendersi riferita a strumenti quotati,
essendo, la condotta relativa a strumenti non quotati rimasta regolata dal vigente art.
2637 cc.
Ebbene, il giudice dell’appello ha ripercorso e condiviso integralmente la ricostruzione
della vicenda come effettuata dal giudice di primo grado.
In sostanza risulta accertato e non contestato , perché riportato anche nel ricorso in
esame, che la Fondazione Montepaschi Siena aveva ricevuto, in data 27 febbraio
2003, un’offerta di vendita di 4.500.00 azioni privilegiate Unipol, dalla Finsoe spa,
i

Consob.

Il nucleo del ragionamento del giudice dell’appello, per confermare la responsabilità
dell’imputato, è che l’origine e il motivo della iniziativa manipolativa, materialmente
realizzata da Dell’Aglio, doveva rintracciarsi nel fax del 27 febbraio 2003 con il quale
Giovanni Consorte aveva proposto l’operazione per conto di Unipol, facendo
riferimento anche a “previ accordi” con l’interlocutore fondazione M. P.S.: la prova,
cioè di un accordo con finalità illecite, tra i vertici di Unipol e Fondazione M.P.S.
Quanto a Tonini, sia il giudice di primo grado (come ricordato a pagina 15 della
sentenza) che lo stesso giudice dell’appello (pagina 20 della sentenza) hanno
affermato che , avendo egli impartito l’ordine di acquisto delle azioni solo nel
momento in cui queste avevano raggiunto il valore unitario di euro 1,76, “aveva dato
un contributo causale alla realizzazione del fatto criminoso, consentendo il
raggiungimento dello scopo dell’intera operazione”.
Si aggiunge peraltro anche, nella sentenza impugnata, citando ancora quella del primo
giudice, che “il fax del 27 febbraio 2003, le telefonate inequivoche tra Gatti e
Dall’aglio nonché l’acquisto di azioni da parte di M.P.S.. nel momento in cui il prezzo
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società controllante della stessa Unipol, al prezzo unitario di euro 1,76, mentre il
valore di mercato si attestava, in quel periodo, al prezzo di euro 1,69.
Si erano poi registrate, a partire dalla seduta di borsa del 19 marzo 2003, attività
pacificamente manipolative dello strumento finanziario in questione, ad opera del
direttore finanziario di Unipol S.p.A., Dell’Aglio, e di Gatti Davide , trader per conto
della società di intermediazione finanziaria COFIRI, successivamente uscito di scena
con un patteggiamento: attività che essendo consistite nel ripetuto acquisto (in nome
e per conto di Meie Aurora spa, società interamente controllata da Unipol), nel corso
di successive nove sedute, sino cioè al 31 marzo 2003, di ingenti pacchetti delle azioni
privilegiate Unipol, aveva determinato l’artificioso gonfiamento del relativo prezzo fino
al momento in cui, spinte le azioni ad accrescere del 7% il loro valore, era stata
perfezionata la vendita del pacchetto di 4.500.000 azioni, il 31 marzo 2003, da Finsoe
alla fondazione MPS, per il tramite di rispettivi intermediari finanziari.
Per quest’ultima, la disposizione di acquisto era stata data dall’imputato.
Dal lato di Finsoe, l’operazione così condotta aveva consentito l’acquisizione di un
maggiore introito di oltre C 500.000 di cui la società necessitava per fare fronte
all’ipotesi , già avviata, di un aumento di capitale sociale, volto supportare programmi
di investimento della società.
La tesi accreditata in sentenza, avvalorata anche dal contenuto di conversazioni
telefoniche, è quella secondo cui tutte le operazioni di investimento in azioni Unipol
privilegiate, per conto di Meie Aurora del gruppo Unipol, erano finalizzate a far
rialzare artificiosamente il prezzo del titolo fino a raggiungere un valore di mercato
che apparisse temporaneamente stabilizzato e tale che, l’acquisto, a quel valore
gonfiato, delle azioni, da parte di MPS, risultasse apparentemente rispettoso del
principio gestionale del buon padre di famiglia. Come tale non soggetto ad
osservazioni da parte degli enti di controllo.
In altri termini, secondo i giudici, attraverso condotte di per sé lecite, si era tuttavia
realizzato un comportamento capace di alterare il regolare funzionamento del
mercato finanziario .

Deduce il ricorrente
1) la violazione degli articoli 110 c.p. e 2637 c.c.
Sostiene che avrebbe dovuto essere assolto se la Corte d’appello avesse portato
alle dovute conseguenze i principi di diritto da essa correttamente enunciati in
materia di aggiotaggio.
Infatti costituiva circostanza pacificamente accertata che, quando il 31 marzo
2003 l’imputato, per conto della fondazione M.P.S. , aveva ordinato l’acquisto
del pacchetto di 4,5 milioni di azioni Unipol privilegiate, il titolo in questione
aveva già subito una sensibile variazione in crescita a causa delle massicce
operazioni di acquisto, poste in essere per conto di altra società del gruppo
Unipol.
Pertanto, posto che la norma penale in contestazione punisce le operazioni
simulate idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti
finanziari, il reato, al momento dell’intervento del ricorrente, doveva ritenersi
già consumato.
Viceversa, la condotta consistita nell’acquisto dei titoli al valore manipolato,
potrebbe al massimo essere considerato un post-fatto non punibile perché
attiene alla realizzazione di un evento destinato a rimanere una conseguenza
solo eventuale della fattispecie.
La Corte d’appello aveva dimostrato di condividere l’analisi della struttura del
reato e non aveva neppure ricondotto gli acquisti manipolativi all’imputato o al
gruppo M. P.S.
Pertanto era caduta in una vistosa violazione di legge quando aveva giustificato
l’affermazione di responsabilità del ricorrente alla luce del contributo causale
che egli avrebbe dato al fatto criminoso, con la disposizione di acquisto delle
azioni;
2) il vizio della motivazione anche riferimento alla conferma delle statuizioni civili.
Osservano i difensori che il giudice dell’appello si era limitato a riportare la
vicenda come ricostruita nella relazione della Consob in sede ispettiva, peraltro
trascurando che in quella stessa relazione i responsabili erano stati individuati
esclusivamente in soggetti operanti nell’ambito dell’Unipol.
In secondo luogo è mancata del tutto la analisi del fatto, dimostrato nel
processo attraverso la produzione della relativa sentenza, che il coimputato
Cimbri – colui, cioè che alla stregua dell’imputazione avrebbe dovuto
rappresentare l’Unipol nella definizione dell’accordo raggiunto con M. P.S. nella
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raggiunge il livello indicato dal fax di Consorte, sono circostanze che evidenziano come
l’operazione sia stata il risultato di un previo accordo”.
Osserva ancora la Corte d’appello, a pagina 19, che “l’operazione complessivamente
considerata è stata il risultato di un previo accordo apicale fra Unipol e la Fondazione
M. P.S. perché, altrimenti, sarebbe risultata priva di senso l’operazione, riconducibile a
Tonini, dell’acquisto del pacchetto di azioni soltanto nel momento in cui il valore
unitario si era, in brevissimo tempo, impennato fino a raggiungere il valore preteso da
Consorte.

persona di Tonini- era stato mandato definitivamente assolto per non aver
commesso il fatto. Non era più configurabile, per via di tale novità, il concorso
morale contestato nell’imputazione.

In terzo luogo non era stata data risposta alla questione, posta nei motivi
d’appello, della violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza,
determinata dal fatto che già il giudice di primo grado aveva, nella sua
motivazione, espunto la figura ed il concorso del Cimbri, per passare a ritenere
determinante un non meglio definito accordo raggiunto a livello “apicale” tra i
gruppi Unipol e Montepaschi.
In quarto luogo era stata pretermessa l’analisi del fatto, riferito da Tonini alla
Consob e non contestato, che egli aveva operato, con analisi finanziarie e
trattative, per il contenimento del prezzo di acquisto delle azioni, così
dimostrando quantomeno un comportamento inconciliabile e incompatibile con
quello di concorso nelle iniziative di Dell’Aglio e Gatti.
Comunque era rimasto privo di qualsiasi prova l’assunto che Tonini avesse in
qualsiasi modo contribuito alle manovre di compravendita volte a provocare il
rialzo del valore di mercato del titolo Unipol.
D’altra parte doveva marcarsi come assolutamente contraddittoria
l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’imputato avrebbe potuto
acquistare, al più basso prezzo di mercato, il titolo: un’affermazione destituita
di fondamento sia per la contraria volontà espressa dalla parte venditrice
dell’intero blocco di azioni, sia in ragione del fatto che, procedendo al
rastrellamento delle azioni sul mercato borsistico ordinario, ci sarebbe
imbattuti in costanti quanto inevitabili rialzi del titolo, derivanti proprio dai
tentativi di acquisto parcellizzati;
3) l’inosservanza dell’articolo 187 undecies T.u.f.
Il riconoscimento, in favore della parte civile Consob, delle spese sostenute in
appello non era stato preceduto dal deposito delle conclusioni e tantomeno della
nota.
Quanto alla condanna al risarcimento del danno, la difesa sostiene che questo,
riconosciuto unicamente in relazione alla lesione del regolare andamento del
mercato, dipendeva dalla norma sopra citata che, tuttavia, era entrata in vigore
successivamente ai fatti per i quali il processo.
Essa, avendo attribuito alla Consob una facoltà di carattere sostanziale del tutto
nuova, non poteva essere applicata retroattivamente come già riconosciuto
dalla Cassazione con sentenza n. 8588 del 2010.
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Inoltre non era stato considerato che, come riferito da Scocca- collaboratore
tecnico del ricorrente- l’acquisto delle azioni Unipol era stato ritenuto un fatto
positivo per M.P.S.., anche al prezzo alfine definito, perché il titolo era destinato
ad avere un trend in crescita, in ragione di circostanze esterne che avrebbero
influito sul suo valore.

Quanto al dedotto vizio della motivazione resa ai fini civili, nella memoria si
osserva che la mancata valutazione della assoluzione di Cimbri non inficia la
motivazione stessa.
E ciò perché tale èvenienza, determinata dalla sentenza della Corte d’appello di
Milano del 2010 che ha comunque riconosciuto una implicazione in capo a
Consorte e Tonini, non ha comportato una immutazione del fatto, tale da avere
leso le prerogative difensive dell’imputato sotto il profilo della violazione del
principio di correlazione fra accusa e sentenza.
L’imputato è stato infatti, nella sentenza impugnata, ritenuto colpevole di essersi
accordato con i vertici Unipol, essendo irrilevante , ai fini del delineato concorso,
che tali vertici vadano identificati nella persona di Cimbri o di Consorte.
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In data 6 maggio 2013, la parte civile Consob ha presentato una memoria.
Ha dedotto, quanto al motivo di ricorso sulla inosservanza dell’articolo 2637 c.c.,
la infondatezza della affermazione della difesa del ricorrente secondo cui il
comportamento di questi potrebbe al massimo costituire un post-fatto non
punibile. Invero tale nozione sarebbe citata in maniera inappropriata poiché non
ricorre l’elemento caratterizzante, rappresentato dal fatto che la condotta
dell’imputato dovrebbe comunque essere astrattamente suscettibile di
configurare, di per sé, un reato.
Ed invece la condotta dell’imputato, per la parte presa in considerazione dalla
difesa, non configura certamente un reato, seppure sia innegabile che
l’operazione di acquisto ai blocchi, del menzionato pacchetto azionario, fosse
legata da un rapporto di mezzo a fine rispetto alla precedente operatività illecita
sul titolo Unipol.
Ciò nonostante, si ravvisano, nei fatti accertati, gli elementi capaci di integrare il
concorso di persone.
In altri termini, il comportamento materialmente tenuto dal ricorrente-quello cioè
dell’acquisto dei titoli-pur essendo successivo alla consumazione del reato,
rappresenta non il reato in sé ma è segno indicatore del fatto che, previamente,
quella stessa condotta non poteva non essere stata promessa alla controparte,
in modo tale, quindi, da avere rafforzato l’altrui proposito criminoso . Ciò che
vale di integrare la prova del concorso di persone nel reato secondo !a costante
giurisprudenza di legittimità (vedi fra le molte rv 210757; rv 210410;rv 187511).
È tale assunto che, secondo la parte civile, dà il senso del ragionamento del
giudice del merito laddove lo stesso ha fatto espresso riferimento alla prova
logica che ha ritenuto raggiunta a proposito del previo accordo sull’intera
operazione ai vertici delle due società interessate: l’acquisto delle azioni, cioè,
non ha rappresentato altro che l’esecuzione dell’accordo intercorso per
l’accettazione dell’offerta Unipol esattamente nei termini e nei tempi da questa
imposti.
In tale prospettiva la difesa di parte civile contesta l’osservazione del ricorrente
secondo cui il contributo non può che essere fornito prima della consumazione
del reato: una osservazione basata sul travisamento della motivazione nella
quale non era stato attribuito, all’atto di acquisto delle azioni, il valore di
condotta punibile a titolo di concorso nel reato di aggiotaggio.

In ordine alla richiesta di esclusione della parte civile, la difesa fa presente che la
questione è coperta dal giudicato interno, non essendo stata posta nei motivi
d’appello, pur non essendovi motivi ostativi.
D’altro canto sostiene che la stessa questione non può essere decisa di ufficio
dalla Cassazione anche perché la sentenza del giudice di legittimità, citata nel
ricorso, non può essere considerata fonte di diritto sopravvenuto ( jus
superveniens).

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La parte civile contesta anche la critica del ricorrente alla motivazione sulla
possibilità che egli avrebbe avuto di acquistare il titolo ad un prezzo di mercato
più basso.
Secondo la parte civile l’imputato non poteva avere interesse all’acquisto del
titolo al prezzo elevato raggiunto, ma soltanto ad attendere l’allineamento delle
quotazioni sul mercato al prezzo di vendita fissato da Finsoe, in modo da
dimostrare l’apparente rispetto del criterio gestionale del buon padre di famiglia
(già richiamato nel promemoria di Scocca) onde evitare critiche per la violazione
delle norme che disciplinano le fondazioni bancarie.
È proprio tale necessità rendeva evidente il senso dell’accordo sull’ aggiotaggio,
nei termini sopra descritti, e cioè, come osservato dal primo giudice, il senso di
un accordo a livello apicale, preordinato a determinare un’apparenza di
convenienza per MPS che le consentisse l’acquisto ( ag. 63 sent. primo grado).
Aggiunge la difesa che, soltanto quando il prezzo di mercato delle azioni Unipol
privilegiate ha raggiunto e superato il prezzo fissato inizialmente da Consorte,
per la cessione del pacchetto, e la media dei prezzi delle 10 sedute precedentielemento di confronto rilevante per la fondazione MPS- risultato pari a euro 1,73,
dunque il 31 marzo 2003, Tonini ha deciso di impartire l’ordine di acquisto del
blocco di azioni Unipol.
Questo il significato dell’espressione, utilizzata dalla Corte d’appello, secondo cui
l’imputato ha consentito che venisse raggiunto lo scopo dell’azione criminosa.
Nella stessa ottica, le iniziative di acquisto poste in essere da Dell’aglio sono
state frazionate nell’arco di 10 sedute borsistiche, nove delle quali precedenti la
data in cui è stata effettuata la cessione, per dare attuazione al criterio del buon
padre di famiglia secondo cui il prezzo utile deve essere poco lontano dalla media
ponderata dei prezzi dei 10 giorni precedenti l’operazione.
Ad avviso della parte civile, ulteriore elemento di conferma sarebbe dato dalla
telefonata intercorsa il 1 aprile 2003 tra Gatti e Dell’Aglio, nel corso della quale il
primo si preoccupava di sostenere il prezzo del titolo azionario Unipol “per non
fare la figura da peregrino” ossia per non dare ai vertici della MPS la sensazione
che il prezzo pagato non fosse quello di mercato.
La difesa infine sottolinea che anche nella sentenza della Corte di cassazione in
data 23 febbraio 2012, con la quale è stato definito il giudizio a carico di Cimbri,
è stato riconosciuto che l’iniziativa di Dell’Aglio era stata decisa da Consorte e
Tonini (pagina 70).

Infine la difesa dedica articolate critiche ai principi di diritto formulati nella
sentenza della Cassazione n. 8588 del 2010.
Chiede anche che sia respinto il motivo di ricorso sulla condanna alle spese,
essendo state, le conclusioni, rassegnate dalla parte civile oralmente a verbale
ed essendo, le spese, liquidabili sulla base della tariffa forense.

Il ricorso è fondato ai soli effetti civili, mentre va respinto per quanto concerne la
pronuncia di prescrizione del reato, apprezzandosi vizi nella motivazione del
provvedimento impugnato, da emendare nella competente sede civile, ma non tali da
integrare il presupposto della “evidenza” della innocenza dell’imputato, ai sensi
dell’art. 129 cpp.

00000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000

1. E’ incontroverso, nella giurisprudenza di questa Corte, così come nelle sentenze di
merito e nel ricorso, che il reato di aggiotaggio manipolativo rientri tra i reati di
pericolo concreto eventualmente permanenti e che si consumi nel tempo e nel luogo in
cui si concretizza, quale conseguenza della condotta, la rilevante possibilità del
verificarsi della sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, a nulla
rilevando che l’evento naturalistico non si verifichi ( Rv. 255525).
Esso cioè si consuma nel momento e nel luogo in cui la condotta assume connotati di
concreta lesività, manifestando la sua pericolosità per il normale corso dei titoli cui si
riferisce( Rv. 254323).
Può dunque ribadirsi che i delitti di aggiotaggio previsti, rispettivamente, dall’art. L
í’
2637 cod. civ. e dall’art. 185 D.Lgs. n. 58 del 1998, sono reati di di mera condotta, i I
per la cui integrazione è sufficiente che siano posti in essere i comportamenti idonei, ii /
diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, f
senza che sia necessario il verificarsi di tale evento ( Rv. 253754).
2. Il tema rilevante ai fini della soluzione delle questioni poste dal ricorrente è
piuttosto quello di come si atteggi il concorso di persone, ex art. 110 cp, nel reato di
aggiotaggio, dovendo questo venire a manifestarsi come apporto alla condotta tipica,
ossia alla attività o al comportamento che siano risultati idonei a cagionare una
sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari.
Peraltro, posto che il reato concorsuale è previsto dalla legge come reato a struttura
unitaria nel quale l’azione tipica è costituita dall’insieme degli atti dei vari
compartecipi, ai fini dell’affermazione della responsabilità di un soggetto a titolo di
concorso in un delitto doloso viene ritenuto sufficiente che lo stesso abbia apportato
un contributo di ordine materiale o psicologico, idoneo, con giudizio di prognosi
postuma, alla realizzazione anche di una soltanto delle fasi di ideazione,
organizzazione o esecuzione dell’azione posta in essere da altro soggetto, con la
coscienza e la volontà di concorrere con costui alla realizzazione della condotta
criminosa.
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3. Non vi è dubbio che la prova di tale concorso possa essere data anche valorizzando
l’attività diretta a favorire gli autori del reato posta in essere dopo che questo fu
commesso, quando e a condizione che , di questa forma di aiuto, sia stata data
8

E’ per questo che il concorso pacificamente si realizza anche soltanto con una qualsiasi
condotta cosciente e volontaria, diretta a rafforzare l’altrui proposito criminoso.
La giurisprudenza, non richiede neppure che il contributo concorsuale debba assumere
efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, reputando sufficiente
quello che assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza
la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori
incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è stato ritenuto sufficiente
che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che
arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il
rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri
concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne
l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza
del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti ( Rv.
187981; Rv. 229200; conf. Rv. 253347).
Non costituisce un indispensabile requisito,
il preventivo accordo criminoso del
concorrente con gli altri soggetti, in quanto è sufficiente che lo stesso abbia dato
quantomeno un contributo agevolatore che abbia reso più facile la consumazione del
reato. (Rv. 201244; analogamente Rv. 232853; conformi: N. 1025 del 1983 Rv.
157296, N. 8870 del 1984 Rv. 166215, N. 6912 del 1987 Rv. 176075, N. 9482 del
1992 Rv. 191728, N. 9296 del 1995 Rv. 203077, N. 821 del 1996 Rv. 203487, N.
1365 del 1998 Rv. 209689, N. 6489 del 1998 Rv. 210757, N. 1271 del 2004 Rv.
228424; Rv. 243901; Rv. 255260).
Infatti, la giurisprudenza costantemente riconosce che la volontà di concorrere non
presuppone nemmeno la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo
sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista
unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o
come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione
all’opera di un altro che rimane ignaro ( Rv. 218525 ).
Tutto ciò premesso a proposito della >4 circostanza che il contributo causale del
concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della
condotta criminosa , va sottolineato che le Sezioni unite (Sentenza n. 45276 del
30/10/2003 Ud. (dep. 24/11/2003 ) Rv. 226101 hanno messo doverosamente
l’accento sul dovere, che il giudice di merito ha, di motivare sulla prova dell’esistenza
di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare
sotto quale forma essa si sia manifestata….., non potendosi confondere l’atipicità
della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con
l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà.
Può quindi riconoscersi, alla stregua della giurisprudenza citata, che il concorso nella
condotta di aggiotaggio, materialmente posta in essere da altri, debba essere provato
quantomeno con la dimostrazione di un contributo anche soltanto agevolatore all’altrui
attività manipolativa, dato anche nella sola forma del rafforzamento dell’altrui
proposito, e pur a prescindere dalla prova dell’esistenza di un previo accordo.

4. Orbene, a tale onere motivazionale, non sembra che la sentenza impugnata abbia
dato il dovuto seguito, con argomenti esaustivi e capaci di replicare adeguatamente ai
rilievi difensivi.
Occorre, invero, qui ripercorrere i passaggi salienti della motivazione della sentenza di
I° Grado , posto che questa costituisce la base del ragionamento, sostanzialmente del
tutto reiterativo e confermativo, del giudice dell’appello.
Ebbene, il Gup ha abbracciato la tesi del “previo accordo” che sarebbe stato raggiunto
da Tonini con i vertici di Unipol per la operazione manipolativa in esame.
Le prove valorizzate nella motivazione in questione sono rappresentate in primo luogo
dal fax del 27 febbraio 2003, contenente la proposta di Unipol, con la precisazione che
è stato inviato da Consorte- presidente di Unipol- a Mussari -presidente della
fondazione M.P.S.: una proposta di cessione del pacchetto di 4.500.000 azioni Unipol
privilegiate ad un prezzo di euro 1,76 che era il prezzo, non comprimibile, di iscrizione
a bilancio.
Il Gup ha mostrato di attribuire al fax importanza nevralgica (p. 52) perché conteneva
la menzione di precedenti “accordi intercorsi”: un accordo (v. anche p. 60), che
perciò, egli dice raggiunto a livello apicale, (v. anche p. 64) con la indicazione di
quello che doveva essere il risultato economico finale da raggiungere, e che il Tonini
avrebbe posto in esecuzione (p. 64; 65)
Il Gup ha aggiunto anche che Tonini è stato investito da Mussari quale direttore
generale della Fondazione; che costui a sua volta ha dato incarico di istruttoria a
Scocca; che l’operazione è sempre stata giudicata comunque conveniente sotto tutti i
profili per la validità del titolo, mentre il prezzo (euro 1,76) era stato considerato (vedi
parere Scocca) elevato non in senso assoluto ma solo perché distante dal valore di
mercato (euro 1,69)(p. 53): una situazione che rendeva critica l’adesione di MPS alla
proposta di Unipol perché la prima è una Fondazione che non può perseguire scopi di
lucro e deve improntare le proprie scelte strategiche alla cosiddetta “diligenza del
buon padre di famiglia” (p. 61).
Si è rilevato anche, da parte del Gup, che Scocca monitorava costantemente
l’andamento del prezzo del titolo e teneva costantemente informato Tonini (p.61).
Dopo una serie di sedute borsistiche che avevano fatto registrare il rialzo del prezzo
del titolo fino al livello di euro 1,76, Tonini aveva impartito l’ordine di acquistare sul
cosiddetto “mercato dei blocchi” ossia sul mercato riservato nel quale si trattano
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preventiva promessa o prospettazione , che abbia rafforzato l’altrui proposito
criminoso.
Infatti, come ricordato esattamente dalla parte civile nella sua memoria, secondo la
costante giurisprudenza di legittimità, la preventiva promessa di aiutare gli agenti a
consolidare il profitto integra già a pieno titolo una condotta rilevante ai sensi dell’art.
110 cod. pen..( in tal senso v. Sez. 1, Sentenza n. 6489 del 28/01/1998 Ud. (dep.
03/06/1998) Rv. 210757)
In alternativa, sarebbe idonea la prova di una condotta dell’agente che, al di fuori del
concorso morale, si inserisca nella azione materiale tipica del concorrente, anche a
prescindere dal previo accordo, apportando, al perfezionamento di essa , un apporto
materiale in qualche modo efficiente.

Quindi, riepilogando,nell’argomentare del giudice di primo grado, la esistenza di un
previo accordo doveva desumersi (p 63) da tre elementi: il fax, la tempistica
dell’acquisto e la conversazione Dell’aglio – Gatti del 1 aprile.
5.1 motivi di appello che qui vale la pena rievocare brevemente perché è rispetto ad
essi che si è apprezzato il vizio di motivazione, sono stati volti a confutare ad uno ad
uno i tre punti cardine della motivazione della sentenza di primo grado.
In via preliminare era stato, invero, denunciato essere un errore di diritto quello di
ritenere che l’acquisto, da parte di Tonini, delle azioni a prezzo già manipolato potesse
essere considerato un comportamento rilevante a titolo di concorso nel reato di
aggiotaggio.
Passando ai tre elementi probatori valorizzati dal GUP, si era poi sostenuta

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pacchetti rilevanti senza produrre contraccolpi sulla negoziazione degli altri titoli,
realizzata nel mercato ufficiale.
In tal modo, aveva consentito a Unipol di concludere positivamente le trattative alle
condizioni da essa poste, lucrando un vantaggio economico di oltre 400.000 euro,
dovuto all’artificioso gonfiamento del prezzo per azione, vantaggio che doveva essere
speso nella operazione di aumento del capitale previsto per marzo 2003 (p. 60)
Il giudice di primo grado ha argomentato poi le ragioni-da nessuno, invero, poste in
discussione-circa la idoneità manipolativa del mercato da riconoscere alle iniziative
poste in essere da Unipol per il tramite di Dell’Aglio e Gatti: iniziative consistite nell’
acquistare ingenti pacchetti delle azioni Unipol privilegiate, in un arco di tempo assai
ristretto, al fine di determinare il rialzo del prezzo, addirittura nel contesto di un
mercato negativo (p. 55); per poi cessare il giorno seguente a quello in cui si era
perfezionata l’operazione di cessione dell’ingente pacchetto azionario di Unipol in
favore di MPS.
A p. 58, il giudice aveva osservato che, non essendo pensabile che Dell’ Aglio avesse
agito autonomamente, potrebbe essere stato Cimbri ad impartirgli l’ordine del
massiccio acquisto dei titoli con finalità manipolative del relativo prezzo.
Ha rilevato anche che l’acquisto disposto da Tonini alla data del 31 marzo rispondeva
anche alla logica di far sì che il valore finale di euro 1, 76 per azione, risultasse il
prezzo medio ponderato di un numero significativo di sedute borsistiche. L’attesa e il
monitoraggio di Tonini, dopo aver ricevuto la proposta, erano il sintomo dell’accordo
già concluso, senza il quale non avrebbero avuto senso le operazioni poste in essere
da Unipol per provocare il rialzo del prezzo del titolo.
In tale ottica, ha qualificato, il Gup, la posizione di Tonini come quella di chi ha
“consapevolezza” della manovra di Unipol, perché veniva aggiornato da Scocca e
perché lo avrebbe ammesso egli stesso dinanzi alla Consob(p. 64); inoltre perché,
altrimenti, avrebbe acquistato quando il titolo costava meno (p. 64).
Il Gup aveva anche negato qualsiasi dignità probatoria all’argomento della difesa sulla
effettività della trattativa per il ribasso del prezzo di offerta tra Scocca(mai indagato) e
Cimbri (p. 63).

In conclusione, la tesi difensiva che si chiedeva di analizzare era quella secondo cui
l’acquisto era l’adesione all’offerta di Unipol, già valutata come positiva, e non
l’esecuzione di un accordo illecito, tant’è che la Consob non aveva denunciato Tonini
e nessuno dei dirigenti della MPS, (v. p. 7 memoria avv. Fontana) all’autorità
giudiziaria.
6. Nella memoria difensiva presentata al giudice dell’appello dall’avvocato Fontana, i
temi suddetti erano stati ripresi ed ampliati segnalandosi in più
– che il capo di imputazione aveva prospettato il concorso fra l’imputato e Cimbri, per
conto di Unipol; invece nella motivazione, quell’accordo era scomparso così come il
concorso morale del ricorrente che, ancora nel capo d’imputazione, era stato
11

1) l’inesistenza di qualsivoglia trattativa o accordo diretto a realizzare l’aumento del
prezzo dei titoli Unipol. Non vi era prova storica al riguardo mentre il giudice aveva
espresso solo un punto di vista personale.
I contatti c’erano stati, infatti, solo fra Cimbri e Scocca ed erano pacificamente
volti a tentare di ridurre il prezzo di acquisto.
Il fax non era diretto a Tonini ma era oggetto di una interlocuzione fra soggetti
(Consorte e Mussari) mai implicati concretamente nel processo, sicché il contenuto
del fax, pure riferito a precedenti accordi, non poteva essere ritenuto dimostrativo di
accordi illeciti ma solo di accordi per l’invio del fax contenente la proposta, come del
resto ammesso da Mussari che aveva parlato di un colloquio con Consorte (v. anche
p. 10 della memoria presentata in appello dall’avv. Fontana).
Era poi risultato che non vi era nessun accordo ma che la proposta era stata
demandata agli uffici competenti (da Mussari a Tonini e da Tonini a Scocca) per la
valutazione;
2)che le conversazioni intercettate non contenevano nessuna allusione all’imputato.
3) che la tempistica dell’acquisto era stata determinata in primo luogo dai termini
dell’offerta destinata a scadere alla fine di marzo; in secondo luogo il Dott. Scocca
aveva espresso parere favorevole all’acquisto, col solo invito a tentare di contrattare
il prezzo; non era stata pertanto posta, da MPS, alcuna condizione all’acquisto,
diversamente da quanto contestato nel capo d’imputazione; non era stata neppure
espressa una posizione precisa essendosi, MPS, riservata di valutare l’offerta; e
questa si presentava oggettivamente favorevole , anche al prezzo richiesto, perché il
titolo Unipol si prospettava con performance di rilievo (p.8) e la fondazione
perseguiva obiettivi di rendimento a medio e lungo termine, in quanto investitore
istituzionale.
In tale prospettiva andava letta l’iniziativa di stabilire un contatto con Cimbri per
ottenere un ribasso del prezzo fino al valore di mercato (euro 1,70) e, alla risposta
negativa, la trattativa era stata interrotta.
Nel frattempo tuttavia era continuato il doveroso monitoraggio perché il titolo
interessava e perché l’offerta restava valida, al prezzo di euro 1,76, fino alla fine del
mese di marzo.
Prima di quella data non sarebbe stato possibile comprare il blocco di 4500000 azioni
ad un prezzo inferiore e non perché ci fosse un accordo al rialzo ma perché l’offerta
non veniva modificata.

12

precisato in relazione alla condizione, che Tonini avrebbe posto a Unipol, affinché il
prezzo proposto per la vendita fosse molto prossimo al valore di mercato del titolo.
Una immutazione della contestazione che aveva innescato il difetto di correlazione
fra accusa e sentenza.
– il comportamento contestato all’imputato, consistito nella sola disposizione
dell’acquisto dei titoli, era stato tenuto, al più, nella consapevolezza della manovra
manipolativa ed era privo di efficacia causale rispetto al già consumato reato di
aggiotaggio;
– il fax non poteva essere dimostrativo di un accordo quantomeno perché chi lo aveva
spedito (Consorte) e chi lo ha ricevuto (Mussari) non erano soggetti ritenuti, dagli
inquirenti, protagonisti dell’accordo apicale di cui parla il giudice e non erano stati
iscritti nel registro degli indagati (v. anche p. 18);
– la iniziale difficoltà di incontrarsi sul prezzo della compravendita delle azioni aveva
comportato una “situazione di stallo”, sottolineata anche dalla Consob nella relazione
a pagina 74 (p. 11), per contrastare la quale era possibile che Unipol,
unilateralmente, avesse innestato manovre manipolative atte ad incrementare il
valore del titolo e ad abbattere le perplessità della fondazione (p. 19). Rispetto a tali
manovre il Tonini sarebbe rimasto in posizione di chi subiva (p. 19) e comunque non
agiva con il dolo del concorso ossia con la volontà di operare in comune con gli autor
della manipolazione ;
– la telefonata del 1 aprile 2003 tra Dell’aglio e Gatti, valorizzata come elemento a
carico per definire la configurazione dell’accordo, in realtà attestava una inversione di
rotta nella strategia degli ordini di investimento impartiti al Gatti, avendo Dell’Aglio
affermato di avere “beccato la romba” ossia raggiunto lo scopo e, replicando il primo,
che non si poteva fare “figura da pellegrino” abbandonando improvvisamente il
sostegno al titolo con ulteriori acquisti del medesimo (p.13-14);
– l’ordine di acquisto non era stato il frutto di un previo accordo a livello apicale ed anzi
era stato formulato quando la media ponderata per il periodo significativo era ancora
sensibilmente inferiore al livello del prezzo richiesto da Unipol (p. 15);
– la consapevolezza della manovra da parte di Tonini, così come riconosciuto dal
giudice nella sentenza, non dimostrava ancora un attivo contributo materiale o
morale alla realizzazione dell’aggiotaggio; comunque non vi sarebbe prova neppure
di quella consapevolezza come è possibile dedurre dal fatto che Scocca aveva
dichiarato, essendo creduto del giudice, di non avere avuto accesso alle informazioni
sull’identità di chi stesse contribuendo al rialzo del titolo e che Tonini effettuava il
monitoraggio sulla base delle comunicazioni di Scocca. Viceversa non risponde al
vero che Tonini, nel corso dell’audizione dinanzi alla Consob, il 3 aprile 2004, avesse
dichiarato di essere a conoscenza della manovra manipolativa. Egli aveva soltanto
affermato le ragioni per le quali riteneva favorevole l’acquisto delle azioni Unipol,
prevedendosene il rialzo del valore (p.17). Aveva, semmai, assunto un
comportamento attendista perché il criterio gestionale del buon padre di famiglia gli
impediva di acquistare le azioni finché si manteneva ferma l’offerta di vendita a un
prezzo superiore al valore di mercato;
– la malafede dell’imputato non poteva essere dimostrata con il ragionamento controfattuale secondo cui l’acquisto delle azioni avrebbe potuto essere effettuato quando il
prezzo era più basso: il grosso quantitativo di azioni (blocco), se fosse stato

7. Tanto premesso, va rilevato, come sopra anticipato, che la sentenza impugnata si è
limitata a ripercorrere, condividendola, tutta la sentenza di primo grado: con ciò
esaurendo l’impegno motivazionale e quindi incorrendo, data la rilevanza dei motivi di
appello, nel vizio della mancanza di motivazione, denunciato fondatamente dai
ricorrenti agli effetti civili della sentenza.
Infatti , va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice di
appello può, invero, motivare la propria decisione richiamando le parti corrispondenti
della motivazione della sentenza di primo grado, ma solo quando l’appellante si sia
limitato alla mera riproposizione delle questioni di fatto o di diritto già espressamente
ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ovvero abbia
formulato deduzioni generiche, apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti (v.
tra le molte, Sez. 6, Sentenza n. 17912 del 07/03/2013 , Rv. 255392).
Nel caso di specie, la pur non breve motivazione indugia su una serie di importanti
elementi di fatto, ripresi fedelmente dalla sentenza del Gup, quali l’andamento al
rialzo del titolo Unipol priv. nelle sedute dal 19 marzo al 10 aprile;la storia del fax del
27 febbraio inviato da Consorte a Mussari e le successive attività di MPS in relazione
alla offerta di vendita ricevuta, con il promemoria di Scocca che aveva espresso
parere favorevole , e la rappresentata “opportunità di tentare di negoziare un prezzo
allineato al valore di mercato” (p.12); il criterio di gestione del buon padre di famiglia
cui doveva attenersi la Fondazione MPS; la natura comunque conveniente
dell’acquisto anche per MPS, secondo l’analisi di Tonini e Scocca (p. 13).
Nella sentenza di appello si mostra poi di recepire la conclusione del primo giudice a
proposito della significatività del fax, come prova dell’accordo fra i vertici delle due
società per la compravendita del pacchetto azionario di 4500000 azioni al prezzo di
euro 1,76, superiore al valore di mercato e si menziona il ragionamento del Gup anche
riguardo alle altre due prove del presunto previo accordo in questione , date dalle
telefonate tra Gatti e Dell’Aglio e dalla tempistica dell’acquisto. Infine si cita la
affermazione del primo giudice riguardo la prova logica del reato e cioè quella della
malafede di Tonini che si ricaverebbe anche dal fatto che ha acquistato il titolo ad un
prezzo ( euro 1,76) molto più alto di quello ( euro 1,70 ) giudicato opportuno da
Scocca e, però, coincidente con quello perseguito da Consorte- Unipol, società peraltro
collegata a MPS da compartecipazioni ad altre società.
La parte della sentenza impugnata, in cui va ricercata la valutazione critica della Corte
territoriale in relazione ai motivi di appello, è, peraltro, quella sviluppata da metà di p.
19 a metà di p.20, redatta , per giunta,con attenzione al criterio della “non estraneità
di Tonini” al reato: un criterio che, già in sé, appare evocare il parametro
argomentativo e di giudizio dell’art. 129 comma 2 cpp, certo non sufficiente a
garantire l’espletamento dell’onere motivazionale fissato dall’art. 578 cpp, in relazione
alle statuizioni civili della sentenza.
Ebbene, in tale motivazione si conferma ( p. 19) in primo luogo la esistenza e la prova
dell’accordo “a livello apicale”, riferibile a Tonini, costituente prova del concorso di
costui nel reato di aggiotaggio.
13

negoziato sul mercato ufficiale avrebbe provocato delle brusche alterazioni delle
quotazioni.

Ulteriore vuoto argomentativo si rileva in relazione alla contestazione della difesa,
riguardante la valenza probatoria attribuita al comportamento positivo registrato a
carico del Tonini e, in special modo, la interpretazione da dare alla sua scelta
attendista e al monitoraggio del titolo Unipol,culminato nella disposizione di acquisito:
una analisi che si richiede in forma tanto più rigorosa se la disamina del precedente
punto argomentativo non dovesse produrre risultati utili per la tesi accusatoria.
Ed infatti, mentre la prova del previo accordo in cui fosse implicato personalmente
Tonini, servirebbe a delineare la originaria tesi del concorso morale, in mancanza di
questa, la prova del concorso dovrebbe riguardare la possibilità di attribuire, al
comportamento tenuto da Tonini durante la manovra speculativa, la valenza di un
apporto materiale, anche privo di efficacia causale, ma comunque agevolativo della
condotta di rilevanza penale posta in essere materialmente da terzi.
Perché è indubbio che tale apporto materiale non può essere individuato né in un
atteggiamento meramente passivo in sé considerato (quello di attendere), né, come
esattamente evidenziato dai difensori, nella disposizione di acquisto dei 4,5 milioni di
azioni, data da Tonini: una disposizione che, di per sè, non vale a integrare gli estremi
del “concorso” ex art. 110 cp, ai fini che ci occupano,sia perché cronologicamente
collocabile in un momento nel quale la manovra speculativa era stata già perfezionata,
sia perché adottata con riferimento al mercato dei “blocchi” ossia ad un tipo di
negoziazione che era per definizione incapace di determinare variazioni di prezzo sul
mercato azionario ordinario.
14

Si tratta , tuttavia, di una affermazione gravemente carente sul piano motivazionale
perché, essendo basata sugli stessi elementi di fatto menzionati dal Gup , risulta
omissiva della doverosa risposta ai rilievi difensivi con i quali si era fatto notare che la
tesi deraccordo” dimostrato anche documentalmente dal fax, non poteva inferirsi,
secondo le regole della logica argomentativa, se si fosse tenuto conto del percorso del
fax, inviato da Consorte a Mussari e da questi consegnato a Tonini, per poi essere
girato a Scocca per la necessaria istruttoria; con successiva chiamata in causa di
Cimbri per conto Unipol. Un percorso , cioè, che vedeva quali principali attori, soggetti
rimasti- tutti, tranne Tonini- estranei (il Cimbri, alfine, per assoluzione, come
denunciato nella memoria dell’avv. Fontana) al processo e alla contestazione di
concorso in aggiotaggio.
E’ rimasto, in altri termini, per tale via, in un inammissibile cono d’ombra, la
ricostruzione plausibile dell’evocato “previo accordo”, certamente non costituito dal
fax ma semmai, da tale documento, evocato; e comunque , riferito dalla Corte
territoriale , troppo genericamente, ad un “livello apicale” : una espressione che
necessita di essere riempita di contenuti storici o sostenuta con assunti logici,
soprattutto in considerazione del fatto che il riposizionamento della accusa sul punto,
dopo la assoluzione del concorrente Cimbri testualmente individuato nella iniziale
formulazione del capo di imputazione a carico di Tonini, è ammissibile – onde no
cadere nel lamentato vizio delli mancata correlazione tra accusa e sentenza- nella
misura in cui possa dimostrarsi, con elementi di fatto concreti, che la caduta della
originaria impostazione accusatoria non ha lasciato un vuoto di contestazione ma è
supplita da una ricostruzione della vicenda, sul punto, del tutto omogenea o in
rapporto di continenza con la prima.

Il difetto di motivazione fin qui rilevato non vale certo a manifestare una mancanza
“evidente” di prove della accusa ma soltanto i limiti di una argomentazione priva di
adeguate risposte ai rilievi, ammissibili, della difesa.
15

Ebbene, a prescindere dalla espressione non condivisibile del giudice a quo (p.20),
riguardo alla valenza dell’atto di acquisto, quale espressione di “apporto causale”,
manca del tutto, nella sentenza impugnata, la risposta al rilievo della difesa secondo
cui il famoso monitoraggio del titolo fu, in realtà, materialmente eseguito da Scocca
che ne riferiva i risultati a Tonini, non indagato- il primo- perché ritenuto non in grado
di accedere ai dati sulla identità degli speculatori .
Ma soprattutto manca, nella sentenza impugnata, la valutazione della prospettazione
offerta dalla difesa ai dati emersi, per interpretare i fatti in modo alternativo rispetto a
quello ipotizzato dalla accusa e accreditato nella sentenza di primo grado.
E sul punto, il principio del ragionevole dubbio impone al giudice della legittimità di
non fermarsi alla valutazione della plausibilità della ricostruzione accreditata dal
giudice a quo ma di verificare che tale ricostruzione fosse anche da ritenere, alla
stregua del giudizio di merito, l’unica possibile , perché capace di travolgere e
smentire la capacità dimostrativa della tesi opposta dalla difesa.
Orbene, la Corte territoriale ha mancato del tutto di valutare la plausibilità e la tenuta
della alternativa versione dei fatti, che non appare manifestamente pretestuosa,
secondo cui l’offerta avanzata da Consorte col famoso fax sarebbe stata seguita da
trattative, basate anche sul parere favorevole di Scocca (per MPS) che aveva reputato
vantaggioso anche il prezzo indicato dall’offerente; che, in tal senso, era stato stabilito
il contatto con Cimbri ( per Unipol) per ottenere un ribasso del prezzo; che è stato
indicato come doveroso il monitoraggio, dato che MPS era comunque interessata
all’acquisto del titolo e non aveva alcuna possibilità di comperare, nel libero mercato,
un pacchetto rilevante (4.500.000) di azioni al prezzo unitario di mercato di 1,69, che,
inevitabilmente, si sarebbe rialzato ai primi tentativi di rastrellamento; che tale
assunto trovava conferma nel rilievo che l’acquisto era poi avvenuto sul mercato
appunto dei “blocchi”; che, dunque, l’acquisto poteva essere considerato non
l’esecuzione di un accordo illecito ma la adesione ad una offerta di vendita da attuarsi
sul mercato dei blocchi e quindi con negoziazione che non rispondeva agli stessi criteri
della negoziazione sul mercato libero; che la manipolazione del mercato ad opera di
personale Unipol ben poteva essere stata una iniziativa tutta di Unipol per superare la
situazione di stallo determinata dal fatto che tale gruppo non poteva vendere ad un
prezzo unitario inferiore a quello iscritto a bilancio e MPS aveva difficoltà a comperare
ad un prezzo superiore a quello di mercato, dati gli scopi non di lucro della
Fondazione; che Tonini, come dimostrato dall’appellante citando il verbale di audizione
dinanzi alla Consb, non si era neppure dichiarato consapevole della manovra
manipolativa di Unipol ma aveva spiegato che il monitoraggio era necessario proprio
per attendere che il titolo raggiungesse il prezzo di mercato più vicino a quello
richiesto da Consorte che, altrimenti non avrebbe venduto.
Manca infine la valutazione della diversa interpretazione attribuibile , alla luce degli
argomenti fin qui sviluppati, alla conversazione intercettata tra Dell’Aglio e Gatti,
neppure autonomamente valutata nella motivazione propria del giudice dell’appello.

Per tale ragione , la sentenza dichiarativa della prescrizione non può essere annullata
mentre tale sorte compete alle statuizioni civili.
Con la doverosa affermazione che, la denunciata assenza di legittimazione della
Consob a costituirsi parte civile nel processo, per gli argomenti in diritto svolti nel
motivo sub 3) , è questione inammissibile per preclusione, non essendo stata posta
nei motivi di appello.
L’ulteriore motivo, sulla liquidazione delle spese della PC in appello, resta assorbito.

Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili, e rinvia al giudice civile competente
per valore in grado di appello. Rigetta il ricorso agli effetti penali.
Così deciso il 20 novembre 2013
il Cons.est.

PQM

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