Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9365 del 21/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9365 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) PROFILO GIACOMO N. IL 25/09/1949
avverso l’ordinanza n. 43/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
27/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni3Oe1PG Dott.

Uditi difeqs6r Avv.;

Data Udienza: 21/11/2012

- Letta la memoria presentata in data 26-6-2012 dal Procuratore generale della
repubblica presso la Corte di Cassazione, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Profilo Giacomo è stato sottoposto alla misura di prevenzione della

sorveglianza speciale di PS con due distinti decreti del Tribunale di Lecce: col
primo decreto, emesso il 10/3/1992, la misura è stata imposta per quattro anni

secondo, emesso il 28/5/2003 – 25/3/2004, la misura è stata imposta per cinque
anni ed è stato aggiunto l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

2. Il Profilo ha lamentato, con ricorso del 4-8-2011, la duplicazione dei
procedimenti a suo carico e delle relative statuizioni ed ha chiesto, ai sensi
dell’art. 669 cod. proc. peri., l’esecuzione del provvedimento a lui più favorevole.

3. La Corte d’appello di Lecce, con provvedimento del 27-2-2012, ha rigettato
l’istanza, sul presupposto che le due misure sono state emesse per fatti diversi
(il primo per reati di truffa e di usura e per contiguità alla “sacra corona unita”; il
secondo per concorso esterno alla “sacra corona unita”) e perché la coincidenza
dei fatti è stata espressamente esclusa dal giudice del secondo procedimento.

4. Insorge, con unico motivo, il Profilo, per violazione degli artt. 649 e 669 del
cod. proc. pen., nonché dell’art. 125, comma 3, stesso codice. Deduce che,
erroneamente, la Corte d’appello non ha ravvisato la violazione del principio del
ne bis in idem, posto che lo stesso giudice del secondo provvedimento riconosce
che, alla base della misura, vi è “la stessa pericolosità” soggettiva, risalente al
1992, e posto che i due procedimenti hanno “ad oggetto il medesimo fatto
attribuito alla stessa persona”, sono stati avviati ad iniziativa dello stesso
Pubblico Ministero e devoluti alla cognizione dello stesso giudice. Deduce altresì
che, per effetto del cumulo delle misure disposte coi due provvedimenti, il limite
di cinque anni previsto dalla L. 1423/56 è stato ampiamente superato
In data 14-11-2012 il difensore del proposto ha presentato memoria ai sensi
dell’art. 611 cod. proc. pen., con cui ha insistito nei motivi di ricorso.

5. Il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, con
memoria del 26-6-2012, ha chiesto il rigetto del ricorso. Rileva che il principio
del ne bis in idem è applicabile anche nel procedimento di prevenzione, ma la
preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus, sicché non impedisce

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ed è stato aggiunto il divieto di soggiorno in Puglia e nella provincia di Napoli; coi

l’applicazione di una nuova e più grave misura ove vengano acquisiti elementi
sintomatici di una maggiore pericolosità.
CONSIDERATO IN

onurro

Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha, in più occasioni, affermato il principio che non asta
all’applicazione di una misura di prevenzione la circostanza che una misura dello
ancora in atto – e che non opera, in questo caso, il limite temporale massimo di
cinque anni per la durata complessiva delle due distinte misure, che rimangono
autonome ed indipendenti e non vanno confuse tra loro in un tertium genus, che
ne oscura i presupposti legittimanti e ne ridimensiona gli effetti operativi.
L’adozione della nuova e successiva misura deve trovare, però, la sua base
giustificativa in fatti ed accertamenti successivi e sopravvenuti rispetto a quelli
presi in esame in occasione dell’emissione della misura precedente, con l’effetto
che i distinti giudizi di pericolosità non sono la risultante di una valutazione
frazionata della stessa realtà, ma la esplicazione di un percorso valutativo
rapportato a dati fattuali distinti e diversi, perché riferibili a momenti diversi del
sistema di vita del proposto.
L’esecuzione della nuova misura è destinata, quindi, a saldarsi con quella
della prima senza soluzione di continuità, non esistendo, in linea di principio,
ostacoli al cumulo (cfr. in senso sostanzialmente conforme, Sez. I 8/2/1983,
Capizzi; Sez. I 6/3/1985, Scillari; Cass. Sez. I 21/1/1986, Nirta; Sez. V
14/7/1993, Marchese; Sez. I 7/2/01, Libri).
Nel caso in esame, è indubbio che col decreto del Tribunale di Lecce in data
28-5-2003 sia stata imposta al Profilo una nuova misura di prevenzione,
ancorata a dati di fatto nuovi e successivi al precedente decreto del 1992 e
sintomatici della pericolosità qualificata a norma degli art. 1 e ss. della legge n.
575/65. Infatti, a base della nuova misura vi è l’accertato concorso esterno in
associazione di tipo mafioso, a partire dal 1992, nonché la costituzione, la
direzione o il finanziamento di associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti – pagg. 12 e segg. del secondo decreto -, mentre alla base
della prima misura vi è la prolungata attività criminosa posta in essere,
quantomeno a partire dal 1983, in ambito associativo (art. 416 cod. pen.), con
la ricettazione di assegni di provenienza illecita e l’uso di strumenti di
contrassegno falsi, utilizzati per truffare svariate imprese della penisola, nonché
mediante usure perpetrate nei confronti di numerosi soggetti. E’ vero, come
sostenuto dal difensore, che anche nel primo provvedimento viene valorizzata,
per l’applicazione della misura, la familiarità del Profilo con pericolosi delin
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stesso genere sia stata precedentemente inflitta – finanche ove la stessa sia

(quali il De Tommasi), ma non risulta che questa “vicinanza” abbia dato luogo
alla contestazione di reati associativi dì tipo mafioso, nemmeno sotto il profilo del
concorso esterno.
Di tanto ha preso atto la Corte territoriale, rilevando che le situazioni
considerate nei due decreti sono diverse e riguardano periodi diversi della vita
del proposto, caratterizzati da peculiari risvolti criminali, per cui è possibile
fondare su di esse differenti misure di prevenzione, che non violano il principio
del ne bis in idem.
per questo è immune da censure.
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21-11-2012

La decisione fa puntuale applicazione della regola iuris sopra enunciata e

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